Call for Scores - Capitolo 13 - Rubik's Song di Alvise Zambon by Francesco Fusaro

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

Rubik’s Song di Alvise Zambon

Rubik’s Song è una composizione di Alvise Zambon per Flauto, Clarinetto, violino, violoncello, pianoforte non preparato e vibrafono. L’intero lavoro ha una durata di circa tre minuti ed è notato in modo tradizionale. Il brano sembra ricreare lo spostamento delle facce di un Cubo di Rubik. Ammettiamo di non essere molto pratici di questo sorprendente rompicapo: le nostre conoscenze sono proprio basilari. I colori devono essere spostati da una faccia all’altra del cubo seguendo il meccanismo permesso dal gioco stesso. Le facce del cubo sono 6, ciascuna delle quali occupata da nove quadrati colorati. In totale le sfaccettature sono cinquantaquattro.

Questa nostra aporia non ci permette di capire quale l’algoritmo compositivo scelto da Zambon per computare la sua composizione. Risulta evidente che per “mettere a posto” un colore, il compositore crea una sequenza di nove note. La progressiva nascita di una sequenza completa avviene però in modo irregolare: come nella risoluzione del cubo, occorre sacrificare momentaneamente una raggiunta conquista per poter conseguire un risultato sempre più vicino alla faccia monocroma. Abbiamo provato ad immaginare che ciascuno dei sei strumenti dell’ensemble fosse una faccia del cubo. Abbiamo anche provato ad immaginare che tutti gli strumenti dovessero presentare le nove facce (note) ordinate al loro interno. Ma il cubo di Alvise non sembra concludersi con la soluzione. Le ultime misure sono infatti la simmetrica riproposizione dell’inizio del brano.

Lasciando da parte gli algoritmi a noi sconosciuti, il brano può essere visto in modo macroscopico, lasciando a menti più enigmatiche della nostra la visione dell’infinitamente piccolo. Il cubo sembra partire e concludersi da una situazione di risoluzione: il gioco inizia quando il primo cubo viene spostato. Il movimento dello scivolamento delle facce viene descritto dagli evidenti glissando degli archi. Alla stessa maniera il gioco si conclude nell’esatto stesso in cui viene spostato l’ultima faccia.

Sarà Alvise Zambon stesso, speriamo, a darci un sistema di lettura dei singoli microspostamenti interni a questo brano. A noi non resta altro che guardare le mani veloci di un ragazzo che agili e rapide conquistano la soluzione di questo rompicapo. Noi ci stupiamo e, forse per pigrizia, forse per limiti di età oramai sopraggiunti, ci limitiamo a congratularci con il solutore per un gioco intellettuale che siamo convinti non aggiungeremo alle nostre competenze di base.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Rubik’s Song è un brano enigmatico che fin da subito ci ha conquistati: si inserisce in modo organico nel percorso di 19’40’’ attraverso la musica razionale (Sebastiano De Gennaro). Inoltre il nostro Enrico Gabrielli ha già affrontato una serie di composizioni di Enigmistica Musicale (ad uso esclusivo degli abbonati al canale Patreon di 19’40’’): il cubo di Zambon rimane per noi una scatola cinese ancora da sciogliere.

L’esecuzione del brano inoltre si presenta come una sfida entusiasmante: la parte di vibrafono rasenta il virtuosismo e il gioco di incastri su questa rende il lavoro in ensemble davvero divertente.

Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Come un cubo di Rubik, la registrazione dell1 e 2 febbraio è diventato un difficile gioco di incastro: necessità lavorative e famigliari dei fondatori di 19’40’’, infortuni, trasferte e altri sfortunati eventi ci hanno messo in difficoltà. Abbiamo ad un certo punto pensato di posticipare la registrazione. Per poter rendere più semplice il processo di registrazione, abbiamo deciso di sacrificare parte della formazione originale prevista per questo lavoro accogliendo nuovi musicisti tra le fila degli Esecutori.

Sperando che il nostro amico C-19 non metta ancora i bastoni tra le ruote alla nostra attività, non vediamo l’ora di chiuderci in studio per immergerci finalmente de facto tra le note del CfS2021.

Chi è Alvise Zambon?

Alvise Zambon (1988) ha studiato al Conservatorio di Venezia con Corrado Pasquotti e all’Accademia di Santa Cecilia con Ivan Fedele. Suoi lavori sono stati eseguiti alla Biennale Musica, al Teatro La Fenice di Venezia, alla Fondazione Pinault e al Parco della Musica di Roma. Nel 2018 l'opera Push!, su libretto di Maria Guzzon, è stata rappresentata con la regia di Kathrin Hammerl al 62. Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia. Nell'ottobre dello stesso anno Sette espressioni intraducibili, per ottavino e clarinetto, commissionato da Ischiamusica, è stato eseguito da Federica Lotti e da Fabio Battistelli presso i Giardini Ravino di Forio (Ischia). Nel 2019 Kintsukuroi, per orchestra da camera, è stato eseguito in prima assoluta al Parco della Musica di Roma dall'Ensemble Novecento, diretto da Carlo Rizzari. Nel novembre dello stesso anno Federica Lotti ha eseguito Cord'amare per flauto solo presso l'Istituto Italiano di Cultura di Oslo. A Gennaio del 2020, Sul limitare della notte, per orchestra sinfonica, è stato eseguito al Teatro Malibran di Venezia dall’orchestra del Teatro La Fenice diretta da Daniel Cohen. Nel 2021 One point five per fixed media, su progetto di Danilo Pastore e video di Andrea Leonessa, è stato eseguito alla GG3 – Gallery for Sustainable Art di Berlino.

I Calamari by 19'40"

Potete vedere l’intervista completa cliccando qui.

Enrico, chi sono I Calamari?

I calamari sono cinque idioti. Si  definiscono come tali in realtà anche loro: non c’è nessun problema. Sono cinque individui che hanno cinque storie molto diverse e che si sono uniti negli anni ‘10 del 2000 per fare cabaret e numerose serate a Milano, Bologna e forse anche a Roma, se non ricordo male. Lo spirito era quello del cabaret Milanese storico: facevamo canzoni dei Gufi, Jannacci e cose anche inventate tra di noi. Siamo composti da me [Enrico Gabrielli] in veste di idiota, Effe Punto, Filippo Cecconi, che lavora con noi a questa rassegna bellissima [ContempoRarities 5], Gianluca De Rubertis di Il Genio e di altri progetti, Federico Dragogna dei Ministri e Dente di Dente. 

Da quant’è che non fate una serata insieme?

Da un sacco di tempo! Forse l’ultima volta è stato nell’osteria storica dove andava sempre Battisti. Le serate sono sempre molto divertenti e molto stupide. In questo caso saremo al servizio di un lavoro meraviglioso che è l’Arca di Rodrigo, De Moraes, Bacalov, Bardotti.

Enrico, tu scrivi ancora musica a mano, vero?

Certamente: io scrivo musica a mano per due motivi: prima di tutto non mi sono mai aggiornato con il setup informatico. Ho cominciato a scrivere MIDI sei mesi fa. E poi perché so che questa pigrizia mi porterà ad un punto in cui il ciclo di ricorsi mi riporterà ad essere di attualità. Ci sarà un fascino perverso per la scrittura a mano quando questa andrà in estinzione. Mi ricordo che quando ho cominciato a studiare composizione si diceva molto che la calligrafia del compositore determinava non poco la qualità della scrittura stessa. Per cui continuo a farlo. E poi è più rapido.

Come hai affrontato il lavoro per L’Arca?

Come in altri casi, come fu per Plantasia e Penguin Cafè Orchestra e tante cose che abbiamo fatto insieme: cuffie, ascolti il brano. Meticolosamente tiri giù le singole parti e poi ne fai spartito. Alcuni strumenti come basso e batteria li lasci informalmente all’esecutore. Per gli strumenti classici come oboe tromba e clarinetto invece devi scrivergli le parti, altrimenti non lo eseguiremo mai.

Rispetto alla strumentazione di Bacalov?

L’orchestrazione di Bacalov fa uso di legni, come sarà nell’organico nostro. Quello che a noi mancherà sono il trombone e il bassotuba, oltre a un gruppo di archi un po’ nutrito: avremo soltanto un violino. Però per il resto la resa sarà abbastanza simile. Sarà richiesto a Sebastiano De Gennaro di fare il batterista samba brasiliano, passando dalla Musica Razionale a quello. Vedremo cosa salta fuori.


ContempoRarities 5 @Santeria by 19'40"

Torna il Festival di musica anticlassica al Santeria di Viale Toscana

Al via la quinta edizione di ContempoRarities il Festival di musica classica, anticlassica e contemporanea di 19’40’’ all’interno della Santeria di viale Toscana 31 a Milano.

Dopo un anno “perduto” ecco in arrivo tre giorni di musica decisamente coraggiosa che, ci auguriamo, chiudano un cerchio di una fase accidentata per la musica presente. L’auspicio è di rinnovare il rito della condivisione e della fiducia nella scoperta sonora collettiva.

E per questo motivo i tre programmi proposti sono decisamente unificanti: il primo (Black Classical Music, 5 dicembre) lo è dal punto di vista storico, il secondo dal punto di vista linguistico (Musica Razionale, 12 dicembre) e il terzo dal punto di vista generazionale (L’Arca, 19 dicembre).

BLACK CLASSICAL MUSIC - Domenica 5 dicembre, ore 18.30, @ Santeria Toscana 31

Si tratta di un importante programma di musica da camera di compositori afrodiscendenti. La nostra selezione copre un periodo molto ampio che va dal settecento di Joseph Bologne, Chevalier de Saint-Georges, passa per il tardo Romanticismo di Florence Beatrice Price e di Samuel Coleridge-Taylor, e arriva agli anni Cinquanta di William Grant Still e George Walker e ai Settanta di Julius Eastman. Con impaginati come questo vorremmo sollecitare a percepire la storia della musica scritta occidentale come un evento fluido dal punto di vista sociale, storico e geografico, e non come un inscalfibile muro di bianchissimo marmo ad memoriam.

Esecutori di metallo su carta + Damiano Afrifa e Francesco Fusaro

Yoko Morimyo, violino
Eloisa Manera, violino
Chiara Ludovisi, viola
Marcella Schiavelli, violoncello
Damiano Afrifa, pianoforte e presentazione
Enrico Gabrielli, clarinetto e sassofono contralto
Sebastiano De Gennaro, vibrafono
Francesco Fusaro, performing e presentazione

MUSICA RAZIONALE - Domenica 12 dicembre, ore 18.30 @ Santeria Toscana 31

Si potrebbe definire Rational Music o Math Music o, in italiano, Serialismo Ritmico. La musica originale che ci propone il percussionista Sebastiano De Gennaro di 19’40” è generata dalle serie numeriche. In virtù della natura logica e non estetica di questa musica, consigliamo, a coloro che faranno ingresso in questo “calcolatore sonico”, di sospendere ogni criterio pre formato sui concetti di bello e brutto, di seguire gli eventi sonori come fossero meteore in un cielo d’estate, senza sapere da dove vengono e dove vanno.

Il metodo dodecafonico di Schoenberg fu la prima tecnica compositiva ad utilizzare questo sistema, nata nei primi del novecento, utilizzava una serie di 12 note. Nel corso del secolo passato la tecnica si affinò fino a prendere la forma del serialismo integrale di Pierre Boulez, nel quale tutti i parametri musicali venivano rigorosamente regolati secondo la serie. Il progetto Rational Music di Sebastiano De Gennaro raccoglie l’eredità della così detta Seconda scuola viennese per dar vita ad un nuovo sviluppo che si potrebbe definire “serialismo ritmico aperto”. Matematica in musica, musica in matematica. Assieme a lui i magnifici visual del maestro del sound reacting visual Andrew Quinn.

L’ARCA (Concerto di Natale) - Domenica 19 dicembre, ore 18.30, @ Santeria Toscana 31 -

Diciamocelo: sono stati anni tremendi per la dimensione infantile. Al di là della chiusura preventiva delle scuole, ci pare poi che non siano state date valide alternative per tenere in esercizio la scoperta e l’avventura dei bambini. In maniera un po’ apotropaica (e speriamo che i mesi a venire procedano al meglio) abbiamo deciso di offrire l’ascolto dal vivo del più bel disco per l’infanzia mai scritto in questo paese.

Endrigo, De Moraes, Bacalov, Bardotti sono il manipolo di autori di questo piccolo grande monumento alla canzone morale. Portate i vostri figli e in un ora li rimettiamo a nuovo. Anche perché ci saranno pure i Calamari a fare gli insegnanti d’asino... Pardon, d’asilo... Con gli Esecutori di Metallo su Carta e Francesca Biliotti, Eduardo Stein Deichtar, Dente, Federico Dragogna, Gianluca De Rubertis, Effe Punto.

Visual a cura di FOLP

19m40s_Speciale_05 Tz0 The Ghost Game by Sebastiano De Gennaro

Per me raccontare un storia con la musica è un impresa impossibile. Dal mio punto di vista la musica è fatta di un materiale troppo inafferrabile ed astratto perchè si presti al racconto. Lo so, un cantautore, o un compositore d’opera vorrà e potrà obbiettare qualcosa, ma io mi sono convinto che la musica non è una lingua completa e tantomeno un linguaggio universale, le manca un po quella grammatica che è necessaria al racconto. A noi musicisti farebbe bene smitizzarla, questa musica, e ammettere che per ben raccontare una storia, l’arte del fumetto (per esempio) funziona indubbiamente meglio. Fare un fumetto non è cosa facile, potrebbe essere molto più avventuroso e faticoso che scrivere una canzone.

Riferendomi alla personale esperienza che mi ha fatto tirare le sopra scritte conclusioni, aggiungo che quando ho compiuto quarant’anni (ora ne ho quarantadue) sulla mia testa sono piovute una serie di vicende (o forse meglio definirle ‘sfighe’) che mi hanno messo alla prova. E’ come se si fosse esaurita la sabbia di una clessidra, e dal primo giorno degli ‘anta’ la mia vita ha preso dei toni opachi, facciamo pure scuri. In buona sostanza per due o tre motivi piuttosto precisi ho ricominciato a soffrire, come da adolescente, ma ora non c’era più la scusa dell’adolescenza. E’ risaputo che gli artisti, quando sono depressi, scrivono e danno voce al loro sentire; magari lo fanno solo per dare forma al dolore, guardarlo con distacco e buttarlo alle spalle. Magari per addolcire la medicina. Comunque, anche se non diventi Jeff Buckley, è un bel vantaggio. 
Ma a me, che con la musica mi sono sempre occupato fino a spaccarmi le orecchie e la testa, a quel punto non bastava: quanto è inutile di per sé l’arte dei suoni per un quarantenne infelice del mio tipo.

Invece ho scoperto i videogiochi. Per scrivere la storia che volevo raccontare un videogioco era perfetto. I videogame sono un territorio creativo davvero completo, compositi al punto giusto per raccontare e vivere le storie. Hanno pure la musica, per non farci mancare nulla. 
Così è nato il progetto di questo gioco, che in effetti ha visto come primo passo la scrittura della soundtrack ancor prima di venire disegnato e programmato.

Tz0 è un Platform semplice, pieno di riferimenti agli arcade, un gioco a suo modo molto classico. Un platform game programmato non da un informatico ma da un musicista (..aiuto..). Il gioco permette di entrare e muoversi in quegli ambienti che, una manciata di brani musicali, avevano cominciato a descrivere. Mi piace anche definirlo un gioco fatto per ascoltare musica anche se non è del tutto vero. Di certo deluderà gli smanettoni addestrati su Ghost and Goblins e su scalate epiche come in Celeste. In questo videogame poi, vincere è del tutto superfluo e non può dipendere dalle vostre abilità sui pulsanti, anzi, vincere forse è proprio impossibile. Non dico altro, lo scoprirete giocando.

La storia è molto semplice, un pallino verde che si muove. All’inizio è proprio così, Tz0 è un puntino verde. Insomma una storia che non aveva bisogno di grandi architetture narrative né tantomeno di grandi ambienti evocativi. Eppure non saprei raccontare un pallino verde solo attraverso la musica, nemmeno se avessi a diposizione il Concertgebouw di Amsterdam. 


La storia si potrebbe riassumere così: cose che potevano accadere ma che non sono accadute, questo tipo di non-cose sono tantissime mentre il mondo che vediamo è fatto di pochissime cose che potevano accadere e sono davvero accadute.
Ora queste non-cose potrebbero essere pensieri non portati a termine, gesti che stavamo per fare e poi non abbiamo fatto (tipo non rispondere al telefono perchè ha smesso di squillare troppo presto), cose di questo tipo e moltissime altre. In questo videogioco le non-cose arrivano da lontano, sfiorano la nostra realtà e tentano di divenire realtà compiuta e tangibile, ma per l’appunto, in pochissime ci riescono. Questo luogo vicino a noi che ancora ‘non è’, è il luogo dove Tz0 si muove, assomiglia ad un limbo, e muta mano a mano che ci si avvicina alla porta.

Per concludere, io il videogioco lo ho fatto, ci ho messo due anni. Ora tu dovresti almeno concedergli un tentativo di gioco. Se sei un abbonato con uscita speciale lo riceverai nella notte di Halloween 2021, potrai giocarci o semplicemente ascoltarti la soundtrack suonata da noi Esecutori di Metallo su Carta. 
Se non sei abbonato ma non resisti al fascino misterioso di Tz0, puoi comunque stare tranquillo, lo troverai a breve in vendita proprio su questo sito.

Cosa resta da dire? giusto 4 cose:

1-funziona su Windows e Linux.

2-freccie destra e sinistra per muoversi.

3-freccie su e giù per arrampicarsi.

4-barra spaziatrice per saltare.

Buon divertimento.

Sebastiano De Gennaro

Ghosts Goblins Ghouls by 19'40"

Schermata 2021-03-31 alle 21.14.01.png

il 14 aprile 2021 uscirà il nostro quattordicesimo disco e sarà un tributo alla sensazionale game music che nella metà degli anni ottanta composero rispettivamente Ayako Mori per Ghosts’n Goblins (1985), e pochi anni dopo Tim Follin per Ghouls’n Ghosts (1988).

Enrico e Sebastiano vi raccontano cosa ascolterete il 14 aprile, ma prima abbiamo pensato di introdurvi a questa uscita programmando un mini-game appositamente per l’occasione.
Magari riusciremo a risvegliare in voi il ricordo di qualche glorioso pomeriggio passato a consumar tasti in sala giochi.
Come nella miglior tradizione: tasti freccia per procedere a destra o a sinistra, barra spaziatrice per saltare, tasto X per lanciare.
Occhio agli Zombi, non vi lasceranno in pace fino all’albero. E sopratutto occhio al clavicembalista!

Ora tocca a te Sir Arthur, fai play per giocare.

On April 14, 2021 our fourteenth album will be released and it will be a tribute to the sensational game music that in the mid-eighties composed respectively Ayako Mori for Ghosts'n Goblins (1985), and a few years later Tim Follin for Ghouls'n Ghosts (1988).

Enrico and Sebastiano tell you what you will listen to on April 14, but first we thought to introduce you to this release by programming a mini-game especially for the occasion. Maybe we can awaken in you the memory of some glorious afternoon spent consuming keys in the game room.

In the best tradition: arrow keys to move left or right, space bar to jump, X key to shoot. Watch out for the Zombies, they won't leave you alone until the tree. And above all, watch out for the harpsichordist!

Now it's your turn Sir Arthur, PLAY to play.

Generazione “coin-op”

Faccio parte indubbiamente della generazione “coin-op”, figlia di un tempo in cui nelle sale giochi e nei bar si poteva fumare attivamente e passivamente. Quei cabinati a gettone (“coin-operated”, appunto) con levetta e pulsanti colorati facevano molto rumore, subivano le scariche nervose dell’errore e resistevano agli attacchi più violenti. I videogame erano concepiti per guadagnare denaro facendoti perdere gradualmente la pazienza. Forgiavano un tipo particolare di “gamer” anfetaminico, un vincente yuppie di provincia, esposto al pubblico ludibrio. Ci si stringeva attorno al fenomeno di turno che riusciva, con solo duecento lire, a raggiungere l’ultimo “schema” (stage) con le ultime “palline” (life) rimaste, e che spesso puzzava come un calciatore senza toelettatura. 

I videogiochi di quell’epoca — si parla di metà anni ‘80 — erano prestazionali, pieni di ostacoli, velocissimi e (quasi sempre) a scorrimento. Si chiamavano, in gergo, “platform game”, come ad esempio Super Mario Bros., Donkey Kong o Pitfall!, dove il personaggio è di profilo e l’ambiente è bidimensionale. Io recentemente ho provato a cimentarmi a Ghouls ’n Ghosts ma ho fatto veramente fatica perchè non si è più abituati ad affrontare il pericolo in trasversale. La visuale in soggettiva arriverà dopo e spopolerà dagli anni ‘90 con i cosiddetti “sparatutto” quali  Doom e Quake. Sarà questo genere che caratterizzerà il gaming immersivo così come lo intendiamo oggi, rampa di lancio verso la  VR (Virtual Reality) con titoli per Oculus come Half Life: Alyx o Lone Echo.

In questa uscita omaggiamo due dei platform game più rappresentativi di sempre, che malgrado le limitazione tecniche del programming vantano colonne sonore sensazionali. Timothy John Follin (classe 1970), fratello di Geoff e di Mike rispettivamente programmatore audio e produttore di videogames era il prototipo del teenager nerd genialoide: non componeva semplicemente musica, ma la “programmava” con un cesello complicatissimo di codici e stringhe e lo faceva probabilmente in uno scantinato simile a quello del film “Explorers” del 1985. Trascrivere questa selezione di musiche su carta è stato come applicare colori ad olio su un dipinto con tinte fluo. L’occasione di studiare questo materiale fu la realizzazione di un programma durante la seconda edizione di ContempoRarities al Santeria Social Club 2018 dal titolo “Arcade Music” in cui a Ghouls’n Ghosts avevamo accostato i 7 Triostücke für 3 Trautonien di Paul Hindemith e alcuni brani del sedicente Chino Goia Sornisi (vedi 19m40s_08). 

Quello che personalmente penso è che se nel 2021 non siamo ancora riusciti a colonizzare altri pianeti è perché l’evoluzione tecnologica domestica è passata dalla cruna dell’ago del videogame: laddove la realtà rendeva tutto più difficile, la simulazione ha sopperito. E, adesso, di gran lunga superato. 

Enrico Gabrielli

"Coin-op" generation

I am undoubtedly part of the "coin-op" generation, the heir of a time when you could—actively and passively—smoke in public arcades and bars. Those coin-operated cabinets, with their colored levers and buttons, made a lot of noise, suffered the nervous shocks of error and resisted the most violent attacks. Video games were designed to earn money by gradually causing you to lose patience. They forged a particular type of amphetamine “gamer”, a provincial winner of the yuppie cohort, exposed to public mockery. We huddled around the hero of the moment who managed, with only two hundred lire, to reach the last "scheme" (stage) with the last "balls" (life) left, and who often smelled like a football player. The video games of that era—I am talking about the mid-Eighties here—were high-performance ones, full of obstacles, very fast and (almost always) of the scrolling tipe. They were called, in jargon, "platform games", such as Super Mario Bros., Donkey Kong or Pitfall!, where the character is seen in profile, and the environment is two-dimensional. I recently tried my hand at Ghouls 'n Ghosts but I really struggled because gamers are no longer used to facing the danger coming to them crosswise. The first-person view would come later and gain popularity since the Nineties with the so-called "shooters", such as Doom and Quake. It will be this genre that will characterize immersive gaming as we understand it today, a launch pad towards VR (Virtual Reality) with such titles designed for the Oculus devices such as Half Life: Alyx or Lone Echo.

With this release, we pay homage to two of the most representative platform games of all time, which despite the technical limitations of programming boast sensational soundtracks. Timothy John Follin (born in 1970), brother of Geoff and Mike respectively, audio programmer and video game producer, was the prototype nerd teenager of the genius type: he did not simply compose the music, but he "programmed" it with a very complicated chisel of codes and strings and he did it probably in a basement similar to that of the 1985 film Explorers. Transcribing this selection of music on paper was like applying oil paints to a fluorescent painting. The opportunity to study this music material came with the second edition of ContempoRarities at the Santeria Social Club in 2018, with a special gig called "Arcade Music", in which Ghouls 'n Ghosts was paired with 7 Triostücke für 3 Trautonien by Paul Hindemith and some music excerpts by the so-called Chino Goia Sornisi (see 19m40s_08).

I think that if we are yet to colonize other planets, it is because domestic technological evolution has passed through the eye of the videogame needle: where reality made everything more difficult, simulation has made up for it. And, now, far outdated.

Enrico Gabrielli

Makaimura, il villaggio del mondo demoniaco

Credo che trovare informazioni complete su Ayako Mori sia arduo quanto sconfiggere il Great Demon King nel videogioco Ghosts’n Goblin (Makaimura il titolo originale), il celebre platform game del 1985, (spesso citato come il più difficile da giocare di tutti i tempi) del quale lei, Ayako Mori, compose l’indimenticabile colonna sonora. Eppure si tratta di una star della game music, nonché pioniera di un campo, quello della musica per videogiochi, che nella metà degli anni ottanta stava decollando.

Tra l’84 e l’86 Mori lavorò come compositrice per la casa di produzioni giapponese Capcom (Capsule Computer), firmando una buona decina di titoli tra i quali SonSon, 1942, Gunsmoke, Trojan e Ghosts’n Goblin. Compare a volte con lo pseudonimo di Wood ed altre con quello di Kinchaku Aya.

Quella generazione di compositori, si avventurava in un territorio che dal punto di vista di un musicista era assolutamente inospitale: i protocolli MIDI erano solo in una fase sperimentale, e non era prassi (come invece fu dagli anni novanta in poi) traghettare comodamente le idee musicali ad un computer tramite i tasti bianchi e neri di una tastiera. Bisognava programmare, scrivere musica con i numeri. Musicisti come Ayako Mori e Tim Follin sono senza dubbio autentici talenti, coi limiti della tecnologia degli Arcade Game dell’epoca, è probabile che per loro comporre musica per videogiochi fosse una vera e propria sfida. In un'intervista del 1986, Mori dice più o meno questo: “L'hardware con cui lavoro oggi restringe molto le mie possibilità espressive. Ho a disposizione un multitraccia che non supera i 6 o 8 canali e ne vorrei almeno 10…”. 

Nonostante gli hardware del 1985, le musiche di Ghosts’n Goblins sono bellissime, talmente belle che ascoltandole in un giorno dell’ottobre 2020, mentre con Enrico progettavamo questo disco, ho condiviso con lui il desiderio di provare a suonarle con il clavicembalo, strumento che in qualche modo porta nella sua natura meccanica alcune limitazioni che ricordano quelle dell’hardware di Mori: difficoltà di articolazione sulla tastiera, assenza di dinamiche e assenza di suoni tenuti. Detto fatto. L’esperimento di trascrivere la colonna sonora di Ghosts’n Goblin per clavicembalo e Clavinet (l’omologo elettrico del clavicembalo) è riuscita: dalle composizioni di Ayako Mori emergono echi Scarlattiani, Bachiani e Mozartiani. D’altronde la riuscita di questa operazione in pieno stile 19’40”, non era poi così imprevedibile; le influenze della musica classica sui compositori Capcom emergono frequentemente. Un esempio su tutti: il compositore inglese Mark Cooksey, che curò le musiche di Ghosts’n Goblin per la versione Commodore 64 del 1986, utilizzò il Preludio Op. 28, No. 20 di Frédéric Chopin, una pagina emblematica (e molto bella) del romanticismo ottocentesco.

Sebastiano De Gennaro

Makaimura, the Village of the Demonic World

I believe that finding complete information on Ayako Mori is as difficult as defeating the Great Demon King in the Ghosts 'n Goblins video game (Makaimura in the original Japanese title), the famous 1985 platform game—often cited as the hardest to play of all time—of which she, Ayako Mori, composed the unforgettable soundtrack. Yet she is a star of game music, as well as a pioneer in a field, that of video game music, which was taking off in the mid-Eighties.

Between 1984 and 1986 Mori worked as a composer for the Japanese production house Capcom (Capsule Computer), signing a good dozen titles including SonSon, 1942, Gunsmoke, Trojan and indeed Ghosts 'n Goblins. Sometimes she appears under the pseudonym of Wood and at other times with that of Kinchaku Aya.

That generation of composers ventured into a territory that, from the point of view of a musician, was absolutely inhospitable: MIDI protocols were only in an experimental phase, and it was not common practice (as it was from the Nineties onwards) to comfortably ferry ideas to a computer using the black and white keys of a keyboard. It was necessary to program, to write music by numbers. Musicians like Ayako Mori and Tim Follin are undoubtedly authentic talents: With the limitations of the Arcade Game technology of the time, it is likely that composing music for video games was a real challenge for them. In a 1986 interview, Mori says more or less this: “The hardware I work with today greatly restricts my expressive possibilities. I have a multitrack that does not exceed 6 or 8 channels and I would like at least 10…”.

Despite the 1980s hardware used, the music of Ghosts 'n Goblins is beautiful, so beautiful that listening to them on a day in October 2020, as Enrico and I were planning this very record, I shared with him the desire to try to play them with the harpsichord, an instrument which somehow brings, with its mechanical nature, some limitations reminiscent of those of Mori's hardware: the difficulty of articulation on the keyboard, the absence of dynamics and of held notes. No sooner said than done. The experiment of transcribing the soundtrack of Ghosts 'n Goblins for harpsichord and Clavinet (the electric counterpart of the harpsichord) was successful: Scarlattian, Bachian and Mozartian echoes emerge from the compositions of Ayako Mori. On the other hand, the success of this operation in full 19’40” style was not so unpredictable: The influences of classical music on Capcom composers emerge frequently. One example for all: the English composer Mark Cooksey, who edited the music of Ghosts 'n Goblins for the Commodore 64 version of 1986, used Frédéric Chopin's Prelude Op. 28, No. 20, an emblematic (and very beautiful) page of Nineteenth-century Romanticism.

Sebastiano De Gennaro

Nel 2021 serve ancora un orchestra a Sanremo? by Enrico Gabrielli

Articolo apparso sul numero speciale Sanremo 2021 di Rolling Stone Italia

Grazie a Claudio Todesco e Alessandro Giberti

febbraio 2021

PHOTO-2021-02-19-15-53-26.jpg

[…]

Cinico Angelini fu il primissimo direttore musicale del primo San Remo del 1951 e il modello era l'orchestra sinfonica da repertorio operistico. I cantanti avevano voci vibranti, impostate, ad un passo dall'operetta. Nell'organico era presente l'arpa, il fagotto, un gran numero di archi e nessuna traccia di sezione ritmica. Già due anni dopo, nel 1953, ebbero l'idea di fare una doppia versione degli stessi brani in una veste "classica", arrangiata e diretta dall'Angelini, e una "moderna" affidata al genio di Armando Trovajoli. Le voci iniziavano a "corrompersi" e in mezzo alla timbrica pucciniana, comparvero i sassofoni e la chitarra elettrica. Imboccando il viale del ritmo sincopato, poi del soul, poi ancora della disco, poi del rock, del pop, dell'elettronica e delle ultime tendenze siamo giunti alla riduzione del numero di archi, la scomparsa dell'arpa, il prosciugamento dei legni, la definizione delle linee guida degli ottoni, l'ampliamento della parte "band" e l'incremento dell'armamentario informatico. Attualmente l'orchestra è composta da flauto (oppure ottavino), oboe (oppure corno inglese), due sassofoni (che suonano anche i clarinetti), due trombe, due tromboni, due corni, timpani (su cui ancora la zoomata è un rito immarcescibile), 8 primi violini, 8 secondi violini, 6 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi (poveri, sempre impilati negli angoli bui dell'Ariston). Si aggiunge la cosiddetta parte "band", che da sola ha un sound naturale decisamente anni Novanta: pianoforte (il preferito dalla regia, con lui iniziano il 95% dei pezzi in gara), 2 tastieristi, 3 chitarristi, batteria, basso, 2 percussionisti (stranamente sprovviste di vibrafono o marimba). Il ruolo più importante lo copre l'uomo in ombra, ovvero l'addetto alle programmazioni che è colui che detiene il potere sugli start (ogni brano ha in cuffia un countdown vocale), sui click e sulle basi ed è posto di fronte al podio in un punto ben visibile al direttore perché in caso di patatrak è l'unico che può intervenire interrompendo l'esecuzione.

Per dire: durante la belligeranza in diretta tra Morgan-Bugo, l'orchestra iniziò a vacillare all’interruzione del click in cuffia e solo in seguito si interruppe al gesto del direttore.

L'orchestra può imprimere un boost di pathos là dove servono un po' di tinte forti o far crollare in una valanga di melma un brano già troppo carico di retorica. Ha un peso specifico di una decina di elefanti in una cristalleria e per questo motivo, sapendo che si scrive per Sanremo, le canzoni spesso già in scrittura concedono lo spazio per l'orchestrona. Quando non si valuta questa cosa, escon fuori le canzoni di Sanremo che si vergognano di essere lì a Sanremo.

[…]

Otto merli sopra a un ramo by 19'40"

Francesco Fusaro e Sebastiano De Gennaro ci raccontano la video-opera dedicata e realizzata con otto bambini rinchiusi in quarantena nella prima ondata pandemica

otto merli foto.jpg
Otto merli sopra a un ramo 
Sedicenti musicisti
Cantan per ventiquattr'ore
Trentadue melodie tristi.
Son da tempo in quarantena
Perché fuori è un quarantotto!
Quanti giorni? 5/6?
Sembran più sessantaquattro!
"Per me son settantadue!"
Grida il bue da ottanta chili...
O forse erano ottantotto?
(Novesei, ma siam gentili...)
"Che sian cento con un quattro
C'entra poco se do dici!"
Disse un mago in tre secondi
A quei nove od otto amici.

Sono un grande ammiratore dell'opera di Toti Scialoja, che nella sua forma letteraria si declina spesso in un mondo di animali ritratti, con giochi di parole e allitterazioni funamboliche, in buffe avventure molto grottesche e molto antropomorfe. L'ammirazione si è estesa al cimentarmi con qualche poesia e filastrocca in stile, che ho chiamato scialojades e che tengo nei miei taccuini.

Fra questi omaggi privati, avevo cominciato a lavorare (sincronicità junghiana nella quale credo fortemente) ad un componimento a base numerica sui multipli dell'otto. Quando Sebastiano ha scritto ad Enrico e me per suggerirci di lavorare a qualcosa che potesse coinvolgere i suoi otto giovani e giovanissimi allievi, ho pensato fosse l'occasione giusta per portare il lavoro a compimento. Ma ahimè non riuscivo a trovare il taccuino su cui si trovava la bozza originale, così mi sono trovato costretto a riscriverla da capo. E forse è stato meglio così? Se un giorno la ritroverò, ve lo farò sicuramente sapere!

Venendo alla tradizionale analisi stilistica, vi posso dire che tutta la filastrocca è in ottonari, per essere coerenti con la base di partenza, ovvero i nostri otto giovani musicisti. 4 le stanze in totale, 16 i versi. La serie dell'8 termina a 104 per colpa del mago che, come tradizione vuole, scombina tutto facendoci saltare con un colpo di bacchetta direttamente al 12 (permettendoci anche il gioco di parole musicale, con citazione della nota di impianto della musica di Sebastiano) nella sua frase di 3 secondi che ci fa fare un breve passaggio proprio attraverso i multipli di 3 (citiamo infatti il numero 9, ovvero 12 - 3, ma anche 8 merli + 1 bue) e quindi, chiudendo da dove avevamo cominciato, ai nostri otto merli musicisti. Ci sono anche altri giochi di parole a base numerica ovviamente, come il 16 nascosto in "sedicenti", il 40 in quarantena o il 56 spezzato in 5/6 per rispettare il metro della filastrocca, e via dicendo.

Quando si è trattato di registrare la voce, ho pensato di abbassare la mia lettura di un semitono per darle una pasta da disco che perde pian piano giri, o da cassetta (ricordate le fiabe Fabbri Editori? Nel 2004 ci ho fatto anche un disco con due cari amici, campionandole e rimontandole in maniera molto irriverente...) che si sta lentamente smagnetizzando. Ho poi ripassato la voce ulteriormente con vari effetti per permettere a Sebastiano un montaggio variegato, sapendo che avrebbe gradito fare un editing a partire da materiale così surreale. Il risultato è una breve filastrocca per adulti fatta da bambini. Perché sono i bambini che hanno sofferto in questi mesi le burle amare di un mago molto pasticcione e distratto, e temo che solo il tempo ci darà la misura di ciò che hanno patito.

Francesco Fusaro

disegno mattia 2.jpg

Durante i mesi di lockdown nella primavera del 2020 mi sono trovato quotidianamente davanti al computer. Sullo schermo, a turno uno dopo l’altro, i miei otto giovani allievi di percussioni: Carlo, Zoe, Gioele, Lorenzo, Francesca, Matteo, Mattia, Kamillia. Alle loro spalle, un divano, la porta del bagno, il mobile della cucina, la sorella in tuta pronta per la lezione di danza da remoto, un cane che salta da destra a sinistra poi da sinistra a destra. Tutte le settimane a tentare di fare un’impossibile lezione di percussioni, senza strumenti, con mezzo secondo di latenza nell’audio, con connessioni per lo più scadenti, con un suono tremendo e a volte indecifrabile, e con la frustrante ed ossessionante domanda in testa: perché sono qui, anziché a fare i miei concerti? 
La risposta è banale: era importante continuare a coltivare quello scambio da persona a persona, quello scambio di informazioni ed affetto, che è poi il modo giusto di insegnare musica. Otto merli sopra a un ramo è l’idea che ci ha permesso di spingerci oltre alla faticosa esperienza DAD ed entrare nel più bel campo che esista, quello della creatività collettiva. Questa piccola video-opera raccoglie otto quadri di isolamento domestico e li mette in relazione attraverso una musica ed un testo composti appositamente per questi giovani musicisti. È stata ideata e realizzata eroicamente, in una situazione in cui le limitazioni erano pressoché totali per gli 8 piccoli musicisti e per i 4 adulti dietro a questo progetto.

La musica di questa video-opera è fatta di necessità (e di virtù): otto glockenspiel giocattolo in quanto unici strumenti a disposizione di tutti, dei richiami per uccelli (disinfettati imbustati e consegnati via posta ai rispettivi domicili), delle parti modulate sui rispettivi livelli musicali dei bambini e soprattutto eseguibili con un metronomo in cuffia (ostacolo gigantesco) ed infine la necessità di avere uno strumento musicale con frequenze acute, le uniche frequenze che si mantengono vagamente intelligibili attraverso l’audio di un telefonino. 
Il risultato è una sorta di minimalismo lo-fi d’infanzia, un carillon sinistro che non evoca certamente culle, bambole o caramelle bensì inquietudine e desiderio d’incontro.
Come nella migliore tradizione della minimal music americana (e ovviamente citando In C di Terry Riley)
il brano comincia, e termina, con un loop di Do ribattuti da tutta la compagine all’unisono. Gradualmente il loop si trasforma secondo l’ordine dei multipli dell’8 (sulla base del testo di Francesco), ed ogni cifra è rappresentata da un bambino che cambia leggermente il proprio loop, seguendo il ritmo della filastrocca.

Sebastiano De Gennaro

musica

Sebastiano De Gennaro

testo e voce

Francesco Fusaro

gli otto giovani musicisti

Carlo, Zoe, Gioele, Lorenzo, Francesca, Matteo, Mattia, Kamillia

disegno

Pietro Puccio


montaggio video


Marcello Corti

disponibile dal 12 novembre 2020, anche per non abbonati, su www.patreon.com/19m40s

Le pere di Pinocchio by Enrico Gabrielli

“In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!…

Dice Geppetto a Pinocchio quando il figlioletto non vuole mangiare buccia e torzoli di quelle tre poche pere.

Questo è un passo importante del capolavoro di Carlo “Collodi” Lorenzini datato 1881, un passo esemplificativo per definire il quadro socio economico in cui si ambienta la vicenda. Ristrettezze economiche e fame sono il motore immobile (e immobiliare) che spingono il meccanismo narrativo sin dall’inizio. E l’infanzia è male incastrata in questo meccanismo tremendo e inesorabile. Tutti elementi che purtroppo (nel 2020, chi l’avrebbe mai detto) sembrano iniziare una brutta risonanza con l’attualità. Ad oggi, rileggendo il Pinocchio, balzano alla mente le evidenze corrusche della realtà di fine ottocento e meno la fola de amicisiana paternalista che intontiva i bambini. La tesi del ragazzino buono che vince rispetto al monello impenitente che perde oggi non allieta, anzi intristisce. E piuttosto che de il Grillo Parlante vien da ricordarsi più volentieri di quell’orrendo Pesce balena Cane. La morale decade perché tra le problematiche di questa epoca essa non è prioritaria. Anzi è più importante “il morale” della morale, probabilmente, perché esso è ai minimi storici.

Il 13 dicembre uscirà la tredicesima uscita di 19’40’’ dal titolo per l’appunto “Pinocchio!” che raccoglie le struggenti musiche di Fiorenzo Carpi per lo sceneggiato RAI “Le avventure di Pinocchio” del 1972 di Luigi Comencini. Alla narrazione Francesco Bianconi e il suo dolce accento poliziano; all’interpretazione gli Esecutori di Metallo su Carta diretti da Marcello Corti. Olimpia Zagnoli in copertina.

Ascoltate questo disco e guardando fuori dalla finestra l’inverno che avanza mangiatevi una bella pera. Sperando che i tempi non ci costringano mai ad arrivare di aver obblighi morali con buccia e torzolo.

Le pere di Pinocchio.jpg

#Pinocchio #Carlo Collodi Lorenzini #Fiorenzo Carpi #Luigi Comencini

#Francesco Bianconi #Olimpia Zagnoli # Esecutori di Metallo su Carta #fame

La retorica protocollata by Enrico Gabrielli

IMG_6010.jpg

Potremmo tentare un consuntivo delle regoline applicate alle nostre misere vite di topolini usciti fuori dalle tane?

Direi che un quadro complessivo è impossibile. Ma a me pare più che la buona pratica del protocollo prevalga la retorica protocollata. Nel senso che la retorica del gesto sembrerebbe vincere sulla necessità sanitaria contingente. A volte anche a proprio favore…

C’è un ristorante a Torino in piazza Bodoni, ad esempio, che grazie alla disponibilità di spazio pubblico implementato dall’emergenza pandemica ha raddoppiato i coperti.

Un altro ristorante a Bologna oltre a non aver di fatto diminuito i posti a sedere dà il pane in un'unica busta di cartone dove per afferrarlo ogni commensale deve frugarci dentro in promiscuità.

Nei treni regionali di “nuova concezione” i finestrini sono sigillati e l’aria condizionata centralizzata a temperature illogiche (19°, controllato personalmente) e non si può nella maggioranza dei casi modificare (ad una mia richiesta il controllore mascherato risponde “il sistema è computerizzato e non è di nostra competenza”). L’aereo Ryanair  n° FR8826 da Brindisi a Torino è completo, senza remore sulle cosiddette distanze: una signora occupa per sbaglio uno dei nostri posti, si alza e prende posizione di fianco a me, in barba a sanificazioni e personalizzazioni igieniche del posto.  Le spiagge pugliesi sono una calca disordinata e senza passaggi specifici o percorsi divisori.

Benissimo, a me tutto questo generale sgonfiamento delle restrizioni piace pure. Ma dentro dentro covo un sospetto che tutto si stia traducendo in una retorica comportamentale più che in una reale esigenza.

Scomodando l’igienista Mantegazza, che fu uno dei primi in Italia a pubblicare manuali d’igiene personale quando ancora eravamo analfabeti e sottoproletari, lui diceva (se non erro) che saremmo nell’ordine della “buona creanza” più che dell’etica. Mentre in stazione risuonano ancora dagli altoparlanti gli obblighi alla “social distance”, ciò che viviamo oggi, a fine luglio 2020, a me sembra un “galateo socialoide”, una falsa danza tribale vicini-lontani-vicini.

D’accordo, ok. Basta dircelo. Io sono il primo a denunciare l’errore nel confondere “l’essere civili” con un’esigenza sanitaria; indossare la mascherina non è un’azione di civiltà: è una prevenzione medica. Come a dire: prendere una medicina non è un gesto connotato eticamente. Io sono un fumatore, il fumo fa male ma non per questo mi sento un cattivo cittadino.

Dieci o più giorni fa, mi imbatto in un concerto su RAI 5 con Daniele Gatti sul podio con l’Orchestra Nazionale della Rai a Torino in un programma con Morricone, Schönberg e Strauss. Tutti i musicisti indossano mascherina, sono distanziati e sparsi sui gradini del palco. La sala è vuota. Finito il programma (di per sé devo dire contrito e grave) la compagine ha applicato il solito iter gestuale con inchino, alzata dei musicisti, stretta di mano alla spalla, uscita preventiva del direttore. Tutto questo, inscatolato dentro ad un televisore e senza il briciolo di un applauso, ha un effetto bruttissimo, antiestetico, falsato; i musicisti son divenuti automi senza volto, il direttore un cardiologo in sala operatoria, la sala da concerto un teatro anatomico. Non si può celebrare il protocollo come fosse un buon esempio “culturale” in un tempio d’arte come un auditorium istituzionale: non siamo in un aereo in cui fare vedere dove son situate le uscite di sicurezza e i sistemi di emergenza, non si può trasformare in un funerale del gusto un concerto (specialmente di musica classica).

Noto che trasporti e ristorazione hanno adottato pesi e misure diverse rispetto alle attività concertistiche e teatrali, il che conferma che l’applicazione di quelle che son divenute a tutti gli effetti “morali” sanitarie in questa estate 2020 sia disfunzionale.

Rischiando una massimalizzazione in forma di slogan dico: le cose o si applicano a tutti o non si applicano a nessuno. E si fanno per bene, o non si fanno per nulla. Ripeto: basta dirlo.

Aggiungo solamente che per un computo di 96 cm (anziché 1 metro) tra due sedute sugli spalti dell’Idroscalo, i Calibro 35 in questo luglio non sono riusciti a suonare a Milano.

Per distrarmi, la sera in cui avrei dovuto suonare, mi sono fatto una pizza al ristorante.


EG

Il virus cambia la musica ma non le fa male by Sebastiano De Gennaro

Karlheinz Stockhausen, Tierkreis
the upside down versions
19m40s_11

(foto Lorenzo Brusci)

(foto Lorenzo Brusci)

17 marzo 2020

Prima sospesi ed ora sottosopra. Non è un film, ripeto dentro me. Sì è un film: siamo tutti protagonisti di un film a cui difficilmente crederemmo se non fosse davvero qui, fuori dalle nostre porte. E questa volta, senza volerlo, il disco in arrivo (se riuscirà a raggiungere le vostre case) è la perfetta metafora della drammatica attualità: il tempo e le nostre cose quotidiane, da un momento all’altro, hanno assunto lunghezze e forme diverse, a cui non eravamo proprio preparati.

Tierkreis (Zodiaco) The Upside Down Version (la versione sottosopra), sarà la nostra undicesima uscita, e la ricorderemo perché caduta nel mezzo di questa pandemia. Sarà un disco dedicato ai Tierkreis di Karlheinz Stockhausen; dodici melodie, una per ogni segno dello zodiaco. La nostra sarà una doppia versione, il diritto ed il rovescio, il prima e il dopo. Le prime dodici tracce sono infatti la mia versione, tesa ad una malinconica, intima e familiare poesia fatta di semplicità di mezzi e sottrazione di suono (tre tastiere Casio ed un violino). Altrettante dodici tracce sono la stessa opera ma osservata ‘dall’altra parte dello specchio’: la versione infetta di Lorenzo Brusci, che ha raccolto la nostra esecuzione dei Segni in occasione del festiva AngelicA di Bologna e la ha spettralmente elaborata. Lorenzo è riuscito a catturare l’ombra (il reverbero) di quei dodici segni, con l’abilità e la pazienza di chi cerca di catturare sulla pellicola fotografica l’invisibile.

Ascoltare questo disco per me è come osservare il prima, e l’adesso, la nostra quarantena. Ciò che era familiare e certo ora non lo è più, siamo nel sottosopra (citando la serie televisiva Stranger Things). Mi viene in mente un sogno ricorrente che facevo da ragazzino: è buoi ed io entro nella mia camera da letto facendo il consueto gesto verso l’interruttore per accendere la luce, ‘clik’, ma stranamente qualcosa non funziona, la lampadina si accende ma la sua luce è talmente fioca che la stanza rimane buia. Questo sogno mi faceva paura come me lo fa questa epoca pestilenziale.

C’è da dire che la paura è estremamente interessante (come diceva Hitchcock), ed infatti questo disco è interessante oltre ad essere profondamente bello e misterioso. Dato che pare dovremo adattarci alle grandi solitudini, Tierkreist sarà un buon compagno per rendere intense le nostre solitudini.

(video Furio Ganz)


Due appunti su “Mother Earth's Plantasia” by Stefano Mancuso

Che le piante siano, effettivamente, in grado di percepire il suono è un’acquisizione degli ultimi anni. Nel 2012, insieme a due colleghi, dimostrai che le radici delle piante erano in grado di percepire frequenze nell’intervallo fra 50 e 5000 Hz, rispondendo in maniera opportuna ai diversi suoni. I 200 Hz, ad esempio, rappresentando la frequenza sonora di picco nel suono dell’acqua corrente, piace moltissimo alle radici, che si dirigono verso la sorgente del suono senza indugio. Frequenze diverse, soprattutto quelle più alte, sono, al contrario, non molto gradite alle piante. Il suono delle vibrazioni delle ali degli insetti o dei loro richiami, di solito piuttosto acuto, è avvertito, infatti, dalle piante come pericoloso. La capacità delle piante di rispondere alle onde sonore nel loro ambiente è molto più diffusa di quanto pensiamo e numerose specie hanno sviluppato una serie di strategie per sfruttare il suono. Ad esempio, circa 20.000 specie vegetali diverse sono in grado di rilasciare il polline dai fiori solo quando sentono la corretta frequenza del suono prodotto dalle ali del proprio insetto impollinatore Su queste basi, non è sorprendente che in molti abbiano pensato ad una diretta influenza della musica sulla crescita delle piante.

Mother Earth's Plantasia è, senza dubbio, la realizzazione più straordinaria ed affascinante mai prodotta in questo senso. Warm earth music for plants... and the people who love them, è questo il sottotitolo del disco: musica per le piante e per chi le ama e Mort Garson ne era davvero convinto. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, da giovane ricercatore, partecipavo ad un convegno sulla fisiologia delle piante a Edimburgo. Avevo appena parlato delle capacità di senso delle piante, fra i mugugni e la disapprovazione della maggior parte dei miei colleghi più anziani. Ero giovane e piuttosto abbattuto per le critiche ricevute, quando un signore, a me totalmente sconosciuto, mi si avvicinò per complimentarsi e per assicurarmi che il mondo vegetale era perfettamente in grado di apprezzare la musica: era Mort Garson. Si presentò come “musicista” e mi raccontò delle sue musiche scritte “per le piante”. Mi raccontò che aveva collaborato con dei botanici per la scrittura di Mother Earth's Plantasia e che gli effetti sulle piante erano indubitabili.

Qualche settimana dopo ricevetti in laboratorio un pacchetto contenente il suo disco e una gentilissima lettera in cui mi pregava di sperimentare le sue musiche sulle piante. Non l’ho fatto, mi sembrava una perdita di tempo. Ho anche perso nei traslochi lettera e disco. Non avevo alcuna idea di che razza di musicista fosse Mort Garson e della sua leggendaria carriera. Quando lo scoprii era troppo tardi (Garson è morto nel 2008) per fargli sapere che aveva ragione. Così, quando Enrico Gabrielli – co-fondatore di questa collana – mi ha scritto chiedendomi “due righe” su Mother Earth's Plantasia mi è sembrato di poter, in qualche modo, utilizzarle per ricordare quell’insolito incontro e per ringraziare Mort Garson della sua gentilezza e per la sua intuizione sulle capacità delle piante. Ascoltate questo disco insieme alle vostre piante e ne uscirete tutti più felici.

The notion that plants can effectively detect sound is a recent acquisition. Together with two colleagues of mine, I was able to demonstrate in 2012 that the roots of plants can perceive frequencies sitting between 50 and 5000 Hz, and respond to them accordingly. For instance, 200 Hz is a pleasant frequency for roots, as it represents the sound peak for a water stream, thus stimulating them to direct themselves towards that sound source. On the other hand, other—usually higher—frequencies are much less pleasant for plants. The vibrations of a bug’s wings, or their calls, which are usually high pitched sounds, is in fact perceived as dangerous by plants.

Plants’ ability to respond to the different sound waves of their environment is much more widespread than we think, and some of them have developed a set of strategies to exploit sound sources. For instance, 20,000 different species release their pollen only when they hear the correct frequency corresponding to the vibrations emanating from the wings of their selected pollinator.

On these premises, it shouldn’t surprise that a few people have supposed a direct influence of music on the growth of plants. Mother Earth's Plantasia, is without a doubt the most fascinating example of this way of thinking. Its subtitle reads Warm earth music for plants... and the people who love them: Mort Garson was truly convinced about this theory.

At the end of the 90s, I was a young researcher attending a panel on the physiology of plants in Edinburgh. I had just delivered a speech on the sensory abilities of plants, which was met with my older colleague’s disapproval, when someone I didn’t know came up to my disheartened self to share his compliments and confirm plants are absolutely capable of appreciating music played to them. His name was Mort Garson. He told me he was a musician and that he had written music specifically for plants, as he collaborated with some botanists on a project called Mother Earth's Plantasia. He was in no doubt that the effects of music on plants are noticeable.

Some weeks later, I received at my lab a parcel with his album and a nice letter inviting me to play his music to our plants. I didn’t do it, as I deemed it a waste of time. I even ended up losing both the letter and the album when I moved house. At the time, I didn’t know what an amazing artist Mort Garson was and what a legendary career he had. When I discovered about him, it was too late to let him know how right he was: he passed away in 2008. So when Enrico Gabrielli—the co-founder of this album series—got in touch to ask me a few words on Mother Earth's Plantasia I thought this could be the occasion to somehow remember that odd encounter and thank Mort Garson for his kindness and his intuition on the acoustic abilities of plants. I invite you to listen to this album together with your plants: you will all come out of it much happier.

19m40s_03s: Google Bach by 19'40"

E, F, S, T

E, F, S, T

Parliamo di uscita speciale, quella realizzata dal nostro Francesco Fusaro per i nostri cari abbonati Moderato e Presto.


Il 21 marzo 2019, Google ha pubblicato un Doodle dedicato a Bach, incoraggiando i giocatori a comporre una melodia in due misure a loro scelta. Con la semplice pressione di un pulsante, Doodle utilizza quindi l'apprendimento automatico per armonizzare la melodia personalizzata nello stile musicale distintivo di Bach.
Quindi, seduto in un ufficio di Google a Londra, il nostro Francesco ha scelto una tonalità per ciascuna delle quattro persone che compongono 19'40" e ha scritto alcune melodie per ciascuna di esse.
Ha quindi trasferito i file MIDI in Ableton, li ha messi insieme e ha scelto quei suoni del popolare software di composizione che più gli ricordavano noi quattro. Il risultato sono 4 piccole miniature musicali che omaggiano lo stile di Bach, così come altre composizioni di 19’40". Per quanto riguarda il formato, ha scelto un CD in miniatura, perfetto per ospitare musica di così breve durata.
Le composizioni esistono in notazione tradizionale e potrebbero essere suonate anche da un quartetto d'archi... chissà se ad un certo punto non usciremo anche con quella versione…

19m40s_03s 1.png

LA TRACCIA VERDE, sceneggiato RAI del 1975...su come una pianta può essere testimone di un omicidio... by Enrico Gabrielli

Schermata 2019-12-16 alle 12.00.16.png



Vi era un tempo remoto in cui lo script si chiamava sceneggiatura e la serie aveva il nome di sceneggiato.
In quell’epoca, ma siamo almeno a trenta o quarant’anni fa, il servizio radio-televisivo italiano aveva uno specifico compito di mantenere “alto” il registro delle informazioni. Come un genitore ansioso (“mamma Rai”, si diceva), arginava le masse dall’abbrutimento e prima ancora che il pil e lo share penetrassero nei tavoli di discussione dei direttivi, il suo compito era dare emozioni al popolo senza semplificare.
Negli anni settanta gli sceneggiati si tingevano di nero. Il paranormale di Uri Geller, di Natuzza Evolo, di Gerard Croiset, il thrilling di Lamberto Bava e Dario Argento, la strategia della tensione in atto dalle forze occulte dello stato, il boom della fantascienza tascabile e molti altri elementi imponderabili generavano una miscela di inquietudine e di morte che alimentava il sub cosciente collettivo. “Il Segno del Comando”, “Ho visto un’ombra”, “Ritratto di donna velata”, “Gamma”, “Esp”, “Extra” e molti altri titoli erano la Prima Serata che adesso a noi parrebbe inimmaginabile.
Uno sceneggiato del 1976 dal titolo “Dov’è Anna?” (che consigliamo caldamente di vedere) detiene ancora il record di ascolti della tv italiana con 14 milioni di telespettatori.
Ma spostiamoci di un anno indietro, nel 1975. Siamo a Los Angeles.

Thomas Norton utilizzando la macchina della verità smaschera un ladro per necessità, che per vendetta nei confronti dello scienziato si suicida, provocandogli un grave turbamento. Poco dopo la signora Flora Sills, vicina di casa del celebre dottor Thomas Norton, viene misteriosamente uccisa, proprio nel laboratorio dello scienziato. Infatti, nell'ambito dei suoi studi su un modello sperimentale di “macchina della verità” di sua invenzione, Norton si era accorto che una dracena regalatagli dalla donna, opportunamente collegata con gli elettrodi all'apparecchio, reagiva agli stimoli esterni fino a palesare un'attività emotiva e per questo aveva invitato la donna ad assistere ai suoi esperimenti. Grazie alle sensazioni di un'altra pianta, unica testimone in vita dell'omicidio, collegata alla macchina di Thomas Norton, si arriverà a smascherare l'assassino.

Lo sceneggiato in questione si chiama “La traccia verde”, per la regia di Silvio Maestranzi ed è ispirato ad un romanzo di fantascienza (abbastanza introvabile) di Gilda Musa dal titolo “Giungla domestica”.
Queste tre puntate, da circa un’ora e un quarto ciascuna, sono davvero ben congegnate e non danno mai la sensazione di “teatro” che, ad un occhio moderno, potrebbero dare le vecchie produzioni RAI. L’attore che interpreta lo studioso Thomas Norton (Sergio Fantoni) è vibrante e credibile, un uomo posato e pensieroso; perfetto. Il bianco e nero rende tutto impalpabilmente psicanalitico.
Ma la caratteristica evidente che lega “La traccia verde” a noi oggi, è questo avviso che chiude ogni puntata:

«Fatti e personaggi di questo racconto sono immaginari, ma gli esperimenti sulle piante e le ipotesi relative fanno ormai parte del patrimonio scientifico acquisito negli ultimi anni attraverso studi condotti negli Stati Uniti e nell' Unione Sovietica. In particolare sono considerate fondamentali le esperienze del ricercatore statunitense Cleve Backster»

Immagino che il professor Mancuso potrebbe sorridere a legger il nome di questo oscuro signor Backster che, ai tempi in cui teorizzò il concetto di “percezione primaria” delle piante (memoria e capacità di percepire dolore), non era passato attraverso il vaglio della comunità scientifica. Ma a noi gli esperimenti di Cleve Backster fanno lo stesso effetto del coetaneo (classe 1924) Mort Garson che nel registrare Plantasia chiese al Department of Botany, Annamalai University of India una conferma scientifica sulla capacità della flora di crescere a suon di musica umana. Qualcuno sostiene che Garson si fosse lasciato sedurre da un libro del 1973 di Dorothy Retallack dal titolo “The Sound of Music and Plants”, ma a detta dello stesso Mancuso nella piccola prefazione alla nostra ultima uscita (19m40s_10), Garson era probabilmente convinto di per sé che le piante potessero essere sensibili a stimoli musicali. Per cui questa convinzione doveva venire da lontano.
“La traccia verde” dunque parla della plausibilità che una pianta diventi testimone di un omicidio.
E se così fosse davvero avremmo la conferma scientifica che vivere in campagna sarebbe più salutare.


PUNTATA UNO

https://www.youtube.com/watch?v=Jq6eesVa0uM

PUNTATA DUE

https://www.youtube.com/watch?v=j0PXmdTX9FI&t=2542s

PUNTATA TRE

https://www.youtube.com/watch?v=bRh5Y5ZaxnY&t=1671s

Schermata 2019-12-16 alle 11.50.26.png

Il CarNEvalE degLi AnIMAli sul TeTTo by Enrico Gabrielli

Le Boeuf ur le Toit par Dufy.jpg

Concerto di Natale

15 Dicembre 2019, h18

“Il Carnevale degli Animali sul Tetto”

“Le Carnaval Des Animaux” di Camille Saent-Saens

“Le Bœuf Sur Le Toit”, op. 58 di Darius Milhaud

Esecutori di Metallo su Carta:

Clara Cavalleretti, flauto e ottavino

Enrico Gabrielli, clarinetto, sintetizzatore e sax

Yoko Morimyo, violino

Eloisa Manera, violino

Lorenzo Boninsegna, viola

Marcella Schiavelli, violoncello

Roberto Benatti, contrabbasso

Sebastiano De Gennaro, percussioni

Damiano Afrifa, pianoforte, organo

Maria Silvana Pavan, pianoforte

I “Selton” Daniel Plentz, Ramiro Levy, voci recitanti

Pietro Puccio, visual

Marcello Corti, direttore

“A Parigi, ci sono due cavalli bigi, che vanno al trotto e al galoppo” dice la filastrocca. Ma un secolo fa a Parigi non c’erano mica solo cavalli:

c’era un’infinità di animali che facevano di tutto un po’. Intanto c’era un signor compositore, che era il più vecchio di tutti e che si

chiamava Camille Saint-Saëns: lui scrisse “Il carnevale degli animali” suite di brani caratteristici dove c’è il Leone in marziale colonna,

dove le Galline e i Galletti si azzuffano e il Cucù fa capolino nel folto del bosco. E ci sono certi Personaggi dalle orecchie lunghe (i critici musicali) che ragliano. Per via della verve polémique explicite contenuta in questa musica il burbero Camille ordinò che non venisse eseguita fino almeno oltre la sua morte. Che avvenne nel 1922, due anni dopo la prima esecuzione di un altro brano dove nel titolo c’è altro animale (il bue) rimasto sul tetto perchè non invitato al “carnevale”. Ma, in realtà, non è di animali a quattro zampe che si parla qui: piuttosto di personaggi caricaturali da bar, da club, da café chantant, da circo. E non sono animali anche loro in fondo? Non siamo anche noi adesso in un club circondati da strani bipedi dalle orecchie lunghe? Da pianisti ed emioni? Da bambini piccoli con le dita nel naso e bambini grandi con il cellulare in mano?

Il prolifico compositore Darius Milhaud (1892-1974) assieme al poeta Jean Cocteau (1889-1963) che scrisse l’azione scenica modellandola sui celebri circensi Fratellini, dettero vita ad una specie di “cinemà-symphonie” ambientato in un bar che appunto si chiamò “Le boeuf sur le Toit”, titolo ispirato ad una celebre canzone omonima di José Monteiro. Questo brano di musica è un “accrocchio” (in senso buono, ovviamente) di circa una trentina di celebri temi brasiliani e sudamericani che funzionano da pretesto per una vicenda strampalata dove un Barman, un Brooker, due Negri (di cui un pugile suonato - un classico), due Signore singolari, e un Poliziotto interagiscono fino alle più surreali delle conseguenze.

A leggere, o meglio a “reggere”, l’azione scenica in questo “nothing doing bar” a suon di caraibi e dadà, ci saranno i brasilianissimi Selton. Chi altri, sennò? A fare il Raoul Dufy della situazione invece ecco a voi l’eccentrico muggito sulla tela di Pietro Puccio.

Stasera al Santeria Social Club è permesso l’accesso ad ogni tipo di animale.

Benvemuuuuuuuuti

Pura Attualità by Enrico Gabrielli

Pura Attualità.jpg

Domenica 8 dicembre 2019, h18

“Pura Attualità”

musiche di Silvia Borzelli, Sara Caneva, Carlo Carcano, Luca Cavina, Leonardo Marino,

Francesco Filidei, Teho Teardo, Maria Teresa Treccozzi

Esecutori di Metallo su Carta:

Carlotta Raponi, flauto e ottavino

Enrico Gabrielli, clarinetto e clarinetto basso

Yoko Morimyo, violino e viola

Matteo Vercelloni, violoncello

Damiano Afrifa, pianoforte

Sebastiano De Gennaro, percussioni e batteria

Pietro Puccio, visual

Marcello Corti, direttore

Silvia Borzelli (1978)

Amazing stories, for one percussionist (2012-13)

Carlo Carcano (1970)

Quattordici uomini camminano lentissimi, per sei esecutori (2019)

Sara Caneva (1991)

Onomatopea dello scippo, per batteria (2019)

Luca Cavina (1981)

Ghosteps, per sei esecutori (2019)

Francesco Filidei (1973)

Toccata, per pianoforte (1996)

Teho Teardo (1966)

Novità (2019)

Maria Teresa Treccozzi (1981)

Ayre, for clarinet in B (rev. 2018)

Leonardo Marino (1992)

Dietro la luce, per sei esecutori (2019)

C’è solo un tratto caratteristico che unisce la popular music e la musica contemporanea colta, (quella - per intenderci - scritta e concepita su carta in ogni suo dettaglio): l’attualità. Per definizione, però, la popular music si occupa di intrattenere l’ascoltatore mentre l’altra fa tutto tranne che quello. La musica contemporanea colta rovista nel simbolico, pratica scelte severe, si pone su traiettorie storicizzate (o coscientemente anti-storicizzate) con un raro impegno ideologico, estende sugli strumenti prassi esecutive totalizzanti, trascina terminologie matematico scientifiche sul vocabolario musicale (polarizzazione, transiente, losanghe,

permutazioni, parametro…). Tutto l’opposto del “primitivismo” del pop. Quindi il concetto di attualità musicale quante declinazioni potrebbe avere? Come abbiamo visto, almeno due: lo jin e lo han dell’essere al passo con i tempi, potremmo dire.

Togliamoci di dosso però aggettivi zavorrati come “bello”, “emozionante”, “accattivante”: per la musica colta contemporanea queste cose non hanno senso e necessiterebbe un modo diverso di esprimere il gusto, o l’entusiasmo di un ascoltatore. Si dovrebbero inventarne di nuovi, così come il tentativo di reinventare il linguaggio di un brano è sempre (o quasi) radicale. Come si fa a dire “bravo” ad un performer di musica d’arte? Con quale kit di montaggio del senso estetico si può costruire una scala di valori?

Quest’oggi lasciamo all’ascolto, senza dire troppo prima per non sciupare l’effetto sorpresa, questa manciata di otto esperienze sonore di otto diversi compositori. Alcuni di loro sono già dei nomi importanti nel contesto della musica colta contemporanea (Francesco Filidei su tutti), altri sono menti fresche con un forte talento per la qualità della scrittura (Silvia Borzelli e Leonardo Marino), altri hanno una propensione innata per la regolamentazione espressiva del performing - e dunque dell’ironia intrinseca del gesto umano (Maria Teresa Treccozzi e Sara Caneva).

Poi c’è chi traghetta con disinvoltura esperienze che vanno dall’IRCAM di Parigi al campo arrangiativo - anche sanremese, why not? - (Carlo Carcano) e chi ha lavorato con un meraviglioso approccio empirico e firmato splendide colonne sonore di grandi nomi del cinema italiano (Teho Teardo). E chi non ci azzecca nulla ma siamo certi possa dimostrare un talento innato per la complessità anche senza l’inutile pentagramma (Luca Cavina degli “Zeus!”).

Al solito gli straordinari visual di Andrew Quinn aiuteranno, distoglieranno o disgregheranno la percezione d’ascolto in un tutt’uno che speriamo sia un utile vademecum per capire l’”adesso” in un altro luogo che non quello consueto.

————————————-

Silvia Borzelli (1978)

Born in Rome. She lives in Amsterdam.
She studied in Italy (Conservatorio O.Respighi) where she graduated in piano and composition, in Sweden (Malmö Musikhögskolan) and in The Netherlands (The Hague Royal Conservatoire) where she obtained a MA. She participated in masterclasses and courses such as Voix Nouvelles, Bartòk Seminar, De Musica, Impuls. Important for her artistic development the opportunity to meet and study with composers such as Brian Ferneyhough, Beat Furrer, Bernhard Lang, Yannis Kyriakides and Francesco Filidei.

She is interested in the relation between music and extra-musical concepts, in their dialogue with sound, form and perception; she is interested in the perseverance of ideas, in poetical mechanisms, in musical materials able to behave as “statements”. She worked on a cycle (2009-13) around the concept of amnesia and the processes of transformation and re-codification of memories.

She received commissions and performances by musicians and ensembles such as ASKO/Schönberg, Nieuw ensemble, Umze Ensemble, Ensemble Linea, Ensemble L’Arsenale, ensemble mdi, Ensemble Reconsil, Ensemble Notabu, Ensemble Klang, Sentieri Selvaggi, Ensemble 2e2m, Les Cris de Paris, Helsingborg Symphony Orchestra, Quartetto Maurice, Duo Dillon-Torquati, Maria Grazia Bellocchio, Dario Calderone, Manuel Zurria, Matteo Cesari, Bas Wiegers, Jean-Philippe Wurtz, Jurjen Hempel and others, in festivals and venues such as, among others, Venice Music Biennale (Venice), RomaEuropa Festival, Nuova Consonanza (Rome), AdM (Modena), music@villaromana (Florence), Musica insieme (Bologna), Festival Aperto (Reggio Emilia), Festival Rondò (Milan), Festival L’Arsenale (Treviso), Rassegna di nuova musica (Macerata), La Via Lattea (Lugano), Voix Nouvelles, Festival de Royaumont (Royaumont), Festival Musica (Strasbourg), Institut Culturel Italien de Paris, Danse élargie – Theatre de la Ville (Paris), Orgel Park festival, Nederlandse Muziek Dagen, Holland Festival (Amsterdam), Gaudeamus Muziekdagen, Gaudeamus Muziekweek (Utrecht), De Link (Tilburg), De Doelen (Rotterdam), November Music (Den Bosch), Festival Synergein (Valencia), Estonian Music Days (Estonia), Contempuls Festival (Prague), Unerhörte Musik (Berlin), Wien Modern / ISCM World New Music Days (Vienna), Gaudeamus Muziekweek New York, Columbia University (New York City).

Selected and awarded in competitions as the IMC International Rostrum for Composers, V. Bucchi International Competition, H. Bosmansprijs and ISCM World New Music Days. Her music has been commissioned and supported by institutions such as the French Ministry of Culture, Radio France, Ernst von Siemens Music Fondation and the Fonds Podiumkunsten Nederland; it has been broadcasted by Radio France (FR), RÚV/Rás1 (IS), Radio 4 (NL) Radio 3 (IT) and some of her works are published by Muziek Centrum Nederland (Donemus).

She teaches music in the Contemporary Dance department at Artez Academy of Modern Arts (Arnhem, Nl). She will be guest teacher 2018 in the Composition department at the Royal Conservatory in Den Haag.

Carlo Carcano (1970)

Nato a Como nel 1970, ho studiato ingegneria informatica all’Università di Padova e composizione al conservatorio Cesare Pollini di Padova ove mi sono diplomato. Diploma di alto perfezionamento all’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Momenti importanti della mia formazione musicale sono stati gli incontri e le lezioni con Gérard Grisey, Brian Ferneyhough e Salvatore Sciarrino. Ho studiato musica elettronica all’IRCAM, al Centro Temporeale e a Padova con Nicola Bernardini. Musiche mie sono state commissionate ed eseguite in diversi paesi, in occasioni come Musik-biennale Berlin, Festival Aix-en-Provence, Festival Archipel Geneve, De Eijsbreker Amsterdam, Voix Nouvelles Paris, PrimaVerona, Gaudeamus Music Week Amsterdam, Siren Musikdagar Göteborg, Bàrtok Festival, Jornadas de Musica Electroacustica Montevideo, Array Music Toronto, Wetterfest Wien, NovecentoMusica Milano, Metafonie-La Scala. Nel 2005 è creata a Poitiers l’opera lirica Cuore – libretto di Caroline Gautier, dalle opere di Edmondo De Amicis – che è poi replicata numerose volte in teatri tra i quali Opéra-Bastille Paris, Opéra de Massy, Opéra de Lille, théâtre de Angers, Opéra de Nantes.
Tra i progetti l’opera a più mani Pandora (Lipsia, 2007), il pezzo per mandolini e grande ensemble Sette silenzi, seminati dal riso (Paris, 2008) e il ‘DJ set rituale’ Compressed Cry Chronicles per orchestra, pezzi rock ed immagini (Poitiers, 2009), e l’album per pianoforte solo Cristal (17 finales sin abrazo, un silencio y un comienzo) (2015). Ho creato musica per numerosi spettacoli di danza, tra i quali Disteso, berceuse, commissione della Fondation Royaumont, coregrafie di Thierry Lafont (creato nel 2000 da Percussions de Strasbourg e Les Jeunes Solistes). Nel 2004 la commissione del Teatro Regio di Torino per Alice nel paese delle meraviglie su coreografie di Matteo Levaggi. Del 2006 il lavoro di ricerca su canto e movimento Nous Contre Nous con la coreografa Nicole Piazzon. Lunga la collaborazione con la coreografa Laura Pulin che ha prodotto numerosi spettacoli tra i quali Talismanìe, Alla radio Gardel, Casanova e Canto (2007) e con Luciano Padovani. Coltivo esperienze come performer di teatro musicale.
Attualmente è in corso una collaborazione come sound designer con la compagnia teatrale Effetto Larsen.

Sara Caneva (1991)

is a composer inside a conductor. Podium experience crossed her composing mind, leading to a special blend and care for the gestures that produce sound - in any music, pursuing the aim that immediacy and depth go together. Appointed composer in residence 2018 at the Schleswig-Holstein Künstlerhaus in Eckernförde, in 2016-2017 she has been fellow composer at the Teatro dell'Opera di Roma, where she also conducted the world premiere of a contemporary opera dyptich including her stage work On-Off. Her music has been awarded in several international selections and is being played in venues such as Teatro La Fenice di Venezia (2019), Parco della Musica Roma (2018), Teatro dell'Opera di Roma (2017), Musiikkitalo Camerata Helsinki (2018), Mozarteum Salzburg (2017), Moscow Philharmonic (2016), among others. She wrote for performers such as Neue Vocalsolisten Stuttgart, Schallfeld Ensemble, Mdi Ensemble, Moscow Contemporary Music Ensemble, PMCE, NAMES Ensemble, the pianist Ricardo Descalzo, among others. Since 2018 her works are published by Edizioni Suvini Zerboni. Since her debut in opera conducting in 2014, she has been active both as composer and conductor in internationally renowned contexts, working with orchestras like Danubia Orchestra Obuda, Savaria Symphony Orchestra, Südwestdeutsche Philharmonie Konstanz, LaVerdi, Youth Orchestra Teatro dell'Opera di Roma, Berlin Sinfonietta. Between 2015 and 2017 she conducted the Ensemble Formanti, oriented on contemporary and improvised music. She currently pursues an independent project researching impact of visual cues on the listening perception and social aspects of sound ecology through treasure hunts with sounds and soundwalks.

Luca Cavina (1981)

Nato a Imola, nasce a pane, Meshuggah e controllo della violenza. Militando attraverso svariate esperienze come bassista con Transgender, Calibro 35, Zeus!, Incidente on South Street, Arto e molte altre entità più o meno organiche o stabili. Non legge la musica in senso stretto, ma ne possiede estro e capacità talmente sviluppate da sopperire con memoria ed orecchie straordinarie. In qualità di compositore con Zeus! inventa congegni musicali auto generativi che molto hanno dell’esperienza math-rock più estrema, tanto da fare il giro e sembrare musica colta. Questo è il suo primo brano di musica scritta per ensemble acustico.

Francesco Filidei (1973)

Francesco Filidei è stato allievo di Salvatore Sciarrino. Dopo essersi diplomato in organo al Conservatorio di Firenze si è specializzato in composizione al Conservatoire de Paris. È stato membro dell’IRCAM della Casa Velasquez, e dell'Academia Schloss Solitude a Stoccarda. Le sue opere, edite da Rai Trade e Ars Publica sono state eseguite da diverse orchestre come l'Itinéraire, Alter Ego, Cairn, L'Instant donné, le Nouvel Ensemble Modern, Court-Circuit, l'Ensemble intercontemporain, le Percussions de Strasbourg, il Klangforum Wien. Alcune sue composizioni sono state trasmesse da Rai3 e RadioFrance. Filidei cerca con le sue opere, come ha affermato Sciarrino, di immaginare una musica privata dell'elemento sonoro, facendo rimanere solo lo scheletro, un suono leggero ma ricco. Come organista è conosciuto come interprete di Franz Listz di cui ha interpretato la produzione integrale per tale strumento. Ha suonato come solista alla Filarmonica di Berlino, al Festival d'Automne a Parigi, al Festival Archipel a Ginevra, alla Biennale di Venezia, a l'IRCAM et al Forum Neues Musiktheater di Stoccarda.

Teho Teardo (1966)

Teho Teardo, nato a Pordenone, è compositore, musicista e sound designer. Si dedica all'attività concertistica e discografica pubblicando diversi album che indagano il rapporto tra musica elettronica e strumenti tradizionali.

Vanta collaborazioni importanti come musicista prima ancora che come autore per immagini: negli anni ’90 fonda il suo primo gruppo, i Meathead, grazie al quale collabora con Cop Shoot Cop, Lydia Lunch, Erik Friedlander (Masada/J. Zorn) e Mick Harris (ex Napalm Death) con il quale dà vita a Birmingham al progetto Matera e all’album Same Here pubblicato sia in Europa che America.
Nel 1998 pubblica l'album Brooklyn Bank degli Here, realizzato a New York assieme a Jim Coleman (Cop Shoot Cop, Foetus). Con Scott Mccloud (Girls Against Boys) dà vita agli Operator, il cui album di debutto Welcome To The Wonderful World esce in Europa a marzo 2003; nello stesso mese gli Operator suonano con i Placebo all'Olympia di Parigi e, successivamente, gli stessi Placebo li invitano ad aprire i concerti del loro tour europeo.

Realizza molti remix per Placebo, Rothko, Pigface, C.S.I., Marlene Kuntz, Departure Lunge, Front 242, Sheep On Drugs, ecc.

Compone ed esegue le musiche per A Page Of Madness, film muto giapponese del 1926, presentato al festival Le Giornate Del Cinema Muto di Pordenone. Cura le musiche per Rooms, spettacolo della compagnia teatrale Motus. Crea le musiche per le installazioni del Museo degli Etruschi di Piombino e al Museo d’Arte Orientale di Torino. Rilevante è l’impegno di Teho Teardo nel mondo del cinema, realizza infatti colonne sonore per i più importanti registi italiani: Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Andrea Molaioli, Guido Chiesa, Daniele Vicari, Stefano Incerti, e Claudio Cupellini tra i tanti, divenendo nel giro di pochi anni un riferimento per la musica al cinema. Infatti, i riconoscimenti non sono mancati: primo fra tutti il David di Donatello per il film Il Divo di Paolo Sorrentino ma anche il Nastro d'Argento per Lavorare con lentezza e L'amico di famiglia; sempre grazie alle musiche composte per Lavorare con lentezza, si è aggiudicato il Ciak d'Oro nel 2005 e nel 2009 il Premio Ennio Morricone all’Italia Film Fest. Ha inoltre ricevuto diverse nomination al Nastro d'Argento e David di Donatello. Nel 2011 torna a collaborare con Andrea Molaioli realizzando la colonna sonora de Il Gioiellino, film ispirato al crak Parmalat.

Con la compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio realizza lo spettacolo Ingiuria in cui partecipano anche il violinista Alexander Balanescu e Blixa Bargeld degli Einsturzende Neubauten. Con quest’ultimo scrive e produce A Quite Life, una canzone per la colonna sonora del film Una vita tranquilla di Claudio Cupellini. Nel settembre 2011 collabora con il violoncellista Mario Brunello alla realizzazione di Bach: Street View, una rilettura de L’Arte della fuga di Bach. Collabora con importanti musicisti della scena internazionale come Erik Friedlander con cui registra Giorni rubati, album ispirato alla poesia di Pasolini. Con l’attore Elio Germano realizza lo spettacolo Viaggio al termine della notte, tratto dal capolavoro di Céline, e il brano “stanotte cosa succederà” in cui Germano presta la sua voce. Nel 2012 pubblica Music, film. Music, la raccolta delle sue migliori colonne sonore. Di lui Ennio Morricone dice: Teho Teardo searches for originality through difficult forms, using repetition, an economy of materials and a personal minimalism; in short, through a contínuous "passacaglia" he searches for solutions that can fit both his needs and those of the film he writes music for. Experience tells me that sooner or later, those who seek will find and between searching and finding there are important moments, moments such as the ones we hear on this beautiful album.

Partecipa alle registrazioni dell’album di Malka Spiegel dove suona con Johnny Marr degli Smiths, Colin Newman degli Wire e con membri di Stereolab e Tarwater. Crea la colonna sonora del film Diaz di Daniele Vicari, film premiato al Festival di Berlino. Con lo stesso regista lavora al documentario La Nave Dolce presentato con successo di critica all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Compone anche la colonna sonora del documentario Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo e Guido Gabrielli, decretato miglior film all’edizione 2012 del Torino Film Festival.

A settembre 2012 inizia una collaborazione con il fotografo francese Charles Fréger per allestire un progetto live che è stato presentato in anteprima il 17 ottobre all'Auditorium Parco della Musica di Roma e che è stato poi pubblicato il 26 gennaio col nome Music for Wilder Mann, dall’etichetta Specula Records. Il disco vanta la collaborazione del Balanescu Quartet, di Erik Friedlander e Julia Kent. Con Blixa Bargeld, leader degli Einsturzende Neubauten e storico braccio destro di Nick Cave nei Bad Seeds, ha scritto e pubblicato il 22 aprile 2013 un album di canzoni dal titolo Still Smiling. Il disco è stato accolto molto favorevolmente in tutta Europa e dopo una prima serie di concerti europei tutti sold out seguirà un intero tour in Europa. Compone la colonna sonora del documentario La Voce di Berlinguer di Mario Sesti, presentato il 23 novembre 2013 all’Auditorium del Museo Maxxi di Roma. Ha curato la registrazione con i Placebo, presso il suo studio romano, del brano Loud Like Love (piano version) contenuto nell’EP dall’omonimo titolo, pubblicato nel 2014 dalla band. Il 19 aprile 2014 pubblica, sempre con Blixa Bargeld, l’EP dal titolo Spring!.Contemporaneamente, compone le musiche di Ballyturk, l'opera teatrale di Enda Walsh che ha debuttato il 10 luglio al Festival di Galway e poi l’11 settembre al National Theatre di Londra per un mese. Nel cast anche Cillian Murphy e Stephen Rea. Il 21 ottobre pubblica l’album Ballyturk in cui compaiono anche Joe Lally (Fugazi), Lori Goldston, violoncellista dei Nirvana e Cillian Murphy come voce narrante. Compone le colone sonore per il documentario Senza Lucio di Mario Sesti e per il film Triangle di Costanza Quadriglio. Entrambe le opere sono presentate al Torino Film Festival 2014. Il 6 e il 7 dicembre 2014, a Villa Manin (UD), compone ed esegue dal vivo tre colonne sonore per tre film di Man Ray in occasione della mostra a lui dedicata. Lo stesso progetto è stato presentato anche nel 2015, il 6 febbraio al Museo Nazione del Cinema di Torino e il 7 febbraio al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma. Compone le musiche per lo spettacolo teatrale The Matchbox di Joan Sheehy che debutta il 15 luglio al Festival di Galway e sempre allo stesso Festival, il 20 luglio presenta in anteprima l’album Le retour à la raison che sarà pubblicato in tutta Europa il 19 settembre. In occasione del Pula Film Festival 2015, Teardo si aggiudica “The Golden Arena” per le musiche del film “You Carry Me” della regista Anita Juka.

Maria Teresa Treccozzi (1981)

Maria Teresa Treccozzi nata in Italia, si diploma in pianoforte, in composizione ed in musica elettronica. Ha studiato al conservatorio “G.Verdi” di Milano con Gabriele Manca, ha conseguito il diploma di alto perfezionamento in composizione presso l’Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma sotto la guida del M° Ivan Fedele ed ha  studiato alla Musikhochschule di Karlsruhe col M° Wolfgang Rihm tramite progetto Erasmus. Ha frequentato un Kontaktstudium in composizione presso la Musikhochschule (HfM Saar) di Saarbrücken con Arnulf Hermmann.Ha partecipato alle seguenti masterclass con: Dieter Ammann, Pierluigi Billone, Raphael Cendo, Azio Corghi, Chaya Czernowin, Hugues Dufourt, Emanuel Favreau, Ivan Fedele, Francesco Filidei, Beat Furrer, Stefano Gervasoni, David Helbich, Mauro Lanza, Fabien Lévy, Bruno Mantovani, Jean-Claude Risset, Yann Robin,  Lucia Ronchetti, Alessandro Solbiati, Marco Stroppa. I suoi brani sono stati eseguiti:  CGAC (Centro Galego de Arte Contemporánea) Santiago de Compostela, Darmstädter Ferienkurse, Museo del Novecento, piazza Duomo Milano, Cambridge Festival of Change, Harvard University (Graduate Music Conference), Bilbao, Fundación BBVA, Torri dell ́Acqua di Budrio,  Luxembourg Abbey Neimënster, Radio-Funkhaus Halberg- SR2 (Saarbrücken), Saarland Museum (Moderne Galerie, Saarbrücken), Teatro Dal Verme di Milano, Schloss Gottesaue Velte–Saal (Karlsruhe), Heiligenkreuz im lafnitztal (Austria) Opera Barga Festival (LU), Auditorium Verdi di Milano, Istituto Giapponese di Cultura di Roma per il festival “Nuova Consonanza”, Parco della Musica di Roma, Teatro dei Teatini (Lecce), Radio SR-AntennaSaar (Saarbrücken), Scuole civiche di Milano, Teatro Lattuada (Milano), Teatro Sociale di Como, Festival Urticanti, Contemporany Music Festival di Moui (Hawaii). Ha ricevuto commissioni da: Nuova Consonanza, Orchestra “Tito Schipa” di Lecce, Festival Sommermusik Saarbrücken. Ha collaborato con: la Deutsche Radio Philharmonie diretta da Roland Kluttig, l’Orchestra Sinfonica “G.Verdi” di Milano diretta da Dario Garegnani, con l’Orchestra “Tito Schipa”di Lecce diretta da Massimo Quarta, con l’Ensemble del Novecento diretta da Carlo Rizzari, con l’ensemble Vertixe Sonora, con il New Made Ensemble e con l’Ensemble Lucilin. Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti: Premio SIAE under 35 “Classici d’oggi”, “Künsteler-Förderstipendien Saarbrücken 2016”, una menzione d’onore al concorso di composizione indetto dalla Galleria di Arte Moderna di Milano, una menzione al concorso  Milano digitale IV con il progetto Piccoli in orchestra (2011) ed un premio al concorso internazionale di composizione Diventa Nota a Roma. Ha partecipato al festival eviMus 2014, 2015, 2018 di musica elettroacustica a Saarbrücken.
Maria Teresa dal 2006 fino al 2012, è stata impegnata nell′attività didattica musicale in diverse scuole italiane
Attualmente vive in Germania.

Leonardo Marino (1992)

È un compositore siciliano con base a Milano. È un musicista con background sia nella musica classica che nel jazz. Ha studiato composizione a Milano con Alessandro Solbiati e adesso è nella classe di Michael Jarrell, presso la Haute École de Musique de Genève. La sua musica è stata eseguita e programmata da diversi ensemble (Divertimento Ensemble, Mdi Ensemble, Ukho Ensemble, Ensemble Prometeo, Ensemble Contrechamps, IEMA etc.), direttori (Marco Angius, Luigi Gaggero, Daniel Kawka, Filippo Perocco, etc) e solisti (Dyna Pisarenko, Alfonso Alberti, Mariagrazia Bellocchio, Rachel Koblyakov, Viktor Rekalo, Tim Maas, Micheal Taylor, Laura Catrani, etc). La sua opera da camera “APNEA” è stata eseguita durante il “61esimo Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia” nel 2017.

Nel 2020 sarà uno dei due “mentored composer” della Péter Eötvös Foundation.

La sua musica è pubblicata da Edizioni Suvini Zerboni - SugarMusic S.p.A., Milano.

Penguin Cafe Orchestra: a Retrospective by Enrico Gabrielli

Sings of Life.jpg

ContempoRarities IV

Domenica 1 dicembre 2019, h18

“Penguin Cafe Orchestra: a retrospective”

Arthur Jeffes, chitarre e tastiere

Alessandro “Asso” Stefana, chitarre e tastiere

Esecutori di Metallo su Carta:

Yoko Morimyo, violino e viola

Angelo Maria Santisi, violoncello

Federico Pierantoni, trombone

Damiano Afrifa, tastiere

Enrico Gabrielli, fiati e tastiere

Sebastiano De Gennaro, percussioni

Andrew Quinn, sound reacting visual

“Nel 1972 ero nel sud della Francia. Avevo mangiato del pesce cattivo e stavo male. Mentre ero sdraiato a letto, avevo una strana visione ricorrente: davanti a me, c'era un edificio di cemento. Ho potuto vedere nelle stanze, ognuna delle quali era come fosse scansionata da un occhio elettronico. Nelle stanze c'erano tutte persone preoccupate. In una stanza una di esse si guardava allo specchio e in un'altra una coppia faceva l'amore, senza alcun trasporto. In una terza stanza un compositore ascoltava musica attraverso le cuffie e intorno a lui c'erano montagne di apparecchiature elettroniche: eppure tutto era silenzio. La scena era per me una desolazione ordinata. Era come se stessi guardando in un posto anonimo. Il giorno dopo, quando mi sentivo meglio, ero sulla spiaggia a prendere il sole e improvvisamente una filastrocca mi è saltata in testa: 'I am the proprietor of the Penguin Cafe, I will tell you things at random' (“sono il proprietario del Penguin Cafe, ti dirò cose a caso”).”

Also sprach il buon Simon Jeffes (Sussex, 1949-1997), il fondatore e mente dietro alla misteriosa e onirica concezione della “Penguin Cafe Orchestra”.

La PCO è stato un ensemble che eseguiva musica scritta originale, pasticciando con il mondo ambiguo del folk, del minimalismo e dell’ambient music. L’impianto della forma concettuale in realtà voleva avere qualcosa di “classico” ma la massiccia presenza di strumenti a corde e di objet trouvé (come armonium, percussioni elementari e organetti da due lire) tradiva quel particolare gusto inglese per l’intimità che non necessitava di una formazione colta o di virtuosismo tecnico.

La retrospettiva degli Esecutori di Metallo su Carta prende a piene mani dai dischi più importanti della loro produzione: “Broadcasting from Home” del 1984 e “Penguin Cafe Orchestra” del 1981 su tutti.

La presenza di Arthur Jeffes, figlio di Simon e musicista dalla mente brillante sancisce che questa musica mantiene una forza e una continuità che, speriamo, sarà consegnata all’incerto futuro. È un musica da una forte componente emotiva senza strepiti senza inutili sprechi di retorica: un giorno, questa attitudine, tornerà ad essere un valore.

Ne siamo certi.

ContempoRarities 2019, IV edizione (1, 8 e 15 dicembre h18) by Enrico Gabrielli

1, 8 e 15 dicembre 2019 h18

Santeria Social Club - Milano

In collaborazione con 19’40’’

contemporarities4.png


LA PRESENTAZIONE DI (UN) RITO

Al sopraggiungere della quarta edizione di un Festival come ContempoRarities sovviene una domanda: la garanzia di durata di un festival da cosa è data? Un influencer direbbe che “oggigiorno è determinata da ragguardevoli incassi e dalla grande diffusione sociale on line”. Eppure ContempoRarities non ha mai incrementato né il dané delle presenze e né tantomeno è finito in qualche passaparola virale sui social. E allora perché ha raggiunto la veneranda Quarta edizione? Il motivo forse andrebbe ricercato nell’idea utopistica di fondo: fare un festival in un posto, il Santeria Social Club, sensibile alle interazioni alto-basso, underground-istituzione, popolo-persona a prescindere dagli esiti economici. E fare un festival di scatole sonore multimediali semplici che raggiungano un pubblico non avvezzo alla complessità della musica scritta.

In più la formula con l’ensemble residente (gli immarcescibili Esecutori di Metallo su Carta, diretti sovente dall’eccellente Marcello Corti), un visual artist (sempre di altissimo livello) e un concept ben definito è un marchio che fa di ContempoRarities una specie di festival “da collezione”. Un po’ come per la sua entità matrice, la 19’40’’, che pubblica dischi ogni quattro mesi con l’intento di fornire all’ascoltatore non un dettaglio microscopico di sé stessi, ma un corpus completo sulla visione del fare musica scritta.

Questa, come le figurine, la sequenza delle giornate da collezione di ContempoRarities dal suo nascere (nel lontano 2016) ad oggi:

“Histoire du Soldat”, musiche di Igor' Fëdorovič Stravinskij

“The Planets, op.32”, musiche di Gustav Holst

“All my robots + Esecutori di Metallo su Carta: Progetto Generativo”, musiche di Sebastiano De Gennaro e musica italiana musicale massiva

“Pictures at an Exhibition”, musiche di Modest Mussorgsky (feat. The Winstons)

“Ai confini di Twilight Zone”, musiche di Bernard Herrmann

“Maximalist/Minimalist”, musiche di Romitelli, Pärt, Harrison, Andriessen

“Lesiman/Paolo Renosto, una retrospettiva” (feat. Calibro 35)

“Anti Minimalismo Italiano”, musiche di Battiato, Donatoni, Castaldi, Scelsi, Curran, Caldini

“Arcade Music”, musiche di Follin, Hindemith, Sornisi

“Pinocchio!”, musiche di Carpi, testo di Collodi (feat. Francesco Bianconi)

E queste le tre prossime:


1 dicembre 2019

“Penguin Cafe Orchestra: una retrospettiva”

Esecutori di Metallo su Carta

feat. Arthur Jeffes + Alessandro “Asso” Stefana

+ Andrew Quinn, sound reacting visual

8 dicembre 2019

“Pura Attualità”

musiche di Silvia Borzelli, Sara Caneva, Carlo Carcano, Luca Cavina, Leonardo Marino,

Francesco Filidei, Teho Teardo, Maria Teresa Treccozzi

Esecutori di Metallo su Carta

Marcello Corti, direttore

+ Pietro Puccio, immagini

15 dicembre 2019

“Il Carnevale degli Animali sul Tetto”

musiche di Darius Milhaud, Camille Saint-Saëns

feat. Daniel Plantz, Ramiro Levy, dei Selton

Esecutori di Metallo su Carta

Marcello Corti, direttore

+ Pietro Puccio, immagini

Chi, fin qui, ha avuto la fortuna di assistere a tutte le giornate un bel dì potrà raccontarlo ai posteri. Chi ancora non ne ha vista nemmeno una, avrà comunque la fortuna di iniziare un viaggio che ci auguriamo arrivi alla edizione numero infinito.

Buon ascolto e visione.

UK does it better: "Prom 27", The Sound of Space... by Enrico Gabrielli

Space RAH.jpg

Tutti sanno cosa sono i Proms.

Se qualcuno non lo sapesse, essi sono “The World’s Greatest Classical Music Festival”. Così dice, senza alcuna falsa modestia la didascalia in calce. Non è presunzione da colonialismo inglese, ma è la pura e semplice varietà.

Istituiti alla fine dell’800 sono una stagione concertistica estiva durante la quale vengono eseguiti uno o più concerti al giorno da una grande orchestra sinfonica (in genere la London Symphony Orchestra, ma a volte anche la London Simphonietta e la London Contemporary Orchestra). I programmi sono pensati appositamente per raggiungere un pubblico non necessariamente esperto ma il più vasto, innocente e diversificato possibile. E così facendo a volte certi programmi riescono a coinvolgere migliaia di persone, cifre ogni immaginazione per il panorama classico settoriale.

Si svolgono generalmente alla Royal Albert Hall di Londra, sala circolare con tutta una serie di complicazioni acustiche, ma dall’indiscutibile fascino secolare.

E poi trasmessi alla BBC radio, dati in streaming video ( unica nota negativa: noi extra–UK non vi possiamo accedere) e in ascolto integrale sul sito bbc.co.uk.

16701_1.jpg

Lo scorso 7 agosto 2019 la London Contemporary Orchestra, diretta dall’inglese Robert Ames (musicista di fiducia del circolo meraviglioso attorno a cui si è stretto il soundtrack targato UK come quello di Jonny Greenwood) è stato il concerto n° 27 dei Proms 2019 dal titolo altisonante di “The Sound of Space”.

Si è trattato di un inanellamento di partiture tratte da dieci film, perloppiù moderni, di fantascienza mainstream. Questa la presentazione sul sito:

“A Late Night Prom with a futuristic spin brings together some of the best sci-fi film music. Excerpts from cult soundtracks come together with recent works by Hans Zimmer and Mica Levi.

The award winning London Contemporary Orchestra – whose collaborators include Radiohead, Goldfrapp and Steve Reich – perform music from Under the Skin, Interstellar and the recent Netflix series The Innocents, among other titles, as well as from Alien: Covenant, whose soundtrack the LCO recorded.”

Quindi ecco la sequenza:

Stephen Price “Gravity”

Mica Levi “Under The Skin” (la mia partitura preferita tra tutte)

John Murphy “Sunshine”

Wendy Carlos “Tron - Scherzo”

Carly Paradis “The Innocents”

Clint Mansell “Moon”

Louis and Bebe Barron “Forbidden Planet”

Jed Kurzel “Alien Covenant”

Jóhann Jóhannsson “Arrival - Suite No 1” (altro grandissimo picco)

Hans Zimmer “Interstellar”

Non serve fare panegirici su quanto sia un passo in là la concezione di diffusione di massa della musica classica in UK e nemmeno quanto hanno fatto per rendere lo sci-fi quel filone magnifico che è dagli anni Cinquanta ad oggi.

Ma questo è un programma che a gente come noi, di 19’40’’, incastrati in questa sottile via di mezzo tra dederio compulsivo di comprendere e “far” comprendere le cose alla gente normale, ci ha entusiasmato a livelli incalcolabili.

EBZ1FFcXYAEKk5h.jpg

Qui si può ascoltare:

https://www.bbc.co.uk/sounds/play/m0007d2b

Fatelo e passerete del tempo prezioso con voi stessi e la musica che ha reso il cinema sci-fi importante per l’uomo e la sua origine di sognatore atavico…













https://www.bbc.co.uk/events/eqhj6q

https://www.bbc.co.uk/sounds/play/m0007d2b





Mort Garson’s "Mother Earth Plantasia" (1976) - warm earth music for plants...and the people who love them by Enrico Gabrielli

Plantasia_vinile.jpg

Un giorno Franceso Fusaro, l’ingegnoso musicologo e dj della 19’40’’ disse “ragazzi, perché non facciamo un disco ambientalista?”. Beh, ottima idea. Ma da dove cominciare? Ambientalista, ecosostenibile, ecologico sono tutte cose che in musica si traducono male. Anche perché a ben sentire, solo il silenzio è la musica più ecologica che ci sia. Il silenzio è il predominio della natura che suona, anzi: è il suono dell’uomo che lascia suonare il mondo. L’assenza dell’uomo sarebbe la cosa più ecologia che c’è. E quindi l’uomo non può fare un disco ecosostenibile per ragioni intrinseche. È un cul-de-sac. “Caro Francesco” stavo per rispondere “non se ne esce”.

Ma il musicista Sebastiano De Gennaro conosceva un disco bizzarro (a sua volta consigliato da Matteo Lenzi, in una catena infinita di relazioni), registrato nel 1976 da Mort Garson, un arrangiatore e compositore americano di musica leggera, che si intitola “Mother Earth’s Plantasia”. Forse sulla scia del movimento hippie californiano, questo curioso signore decise di produrre un lavoro sonoro specifico per “la crescita delle piante”. In copertina c’è uno schizzo naif di due personaggi stilizzati che attorno ad una specie di rampicante dentro ad un vaso sorridono felici. È un art work tremendo, sembra l’etichetta di un diserbante. Ad implementare l’improbabile quadro concettuale c’è una scritta firmata “Dr. T.C. Singh, Department of Botany, Annamalai University India”. Un disco dal pollice verde, certificato da una ignota istituzione Indiana.

A sollevare però il tutto dall’operazione astruso-antropocentrica ci pensa il fatto che questa musica contenuta su disco è meravigliosa.

I dieci brani dai buffi titoli tipo “Rapsodia in verde” o “Concerto per Filodendro & Photos”, provengono dall’ingegno di un vero artigiano della forma strumentale, da uno che di scrittura armonica e di coscienza compositiva ne sapeva (Garson studiò alla Juilliard School). Ne più e ne meno del livello di Piero Umiliani o di Burt Bacharach. Probabilmente l’ossatura del progetto nacque dal pianoforte, ma poi, il signor Garson decise di registrare tutto quanto con l’uso del Moog e di altri sintetizzatori di cui, all’epoca, era un felice pioniere.

Per quanto “Plantasia” non sia un disco ecosostenibile di fatto e non contribuisca minimamente alla crescita delle piante (il consumo elettrico di un laboratorio fonologico pieno di oscillatori nel 1976 non era certo parsimonioso), è un progetto talmente para-scientifico, da essere perfetto per la crescita dei bambini! Genitori di tutto il mondo lo sperimentano di persona e pare funzioni a meraviglia. Un giorno faremo, con 19’40’’, una versione di questo album interamente acustica, con piccola orchestra. Così non consumeremo nemmeno un watt.

Sarà il nostro modo per essere ecosostenibili nella pratica e non nella teoria. Nei limiti di essere degli esseri umani, ovviamente.

Vi terremo aggiornati.

Mort Garson.jpg


Sulle macerie: ricognizione di un futuro sospeso dentro un televisore catodico in bianco e nero / On the rubble: sweep of a future suspended within a black and white cathode-ray television set by Gianluca Tosi

Gianluca Tosi, autore dello straordinario Mr. Mah-nà Mah-nà, Piero Umiliani e la sua musica (Bloodbuster edizioni) ha scritto per noi una panoramica sul mondo “library music” in un articolo che sarà contenuto nel booklet della prossima uscita “Lesiman, in arte Paolo Renosto” (19m40s_08).

Buona lettura!

Paolo Renosto by Andrea “Scarfo” Scarfone

Paolo Renosto by Andrea “Scarfo” Scarfone



Cologno Monzese, 1973 – Circa una decina di anni prima che Silvio Berlusconi acquistasse glistudi Cinelandia di viale Europa, il violinista, compositore e produttore discografico Armando Sciascia apriva le porte di quei luoghi destinati a dare la luce a produzioni come Ok il Prezzo è Giusto e La Ruota della Fortuna, a Paolo Renosto (1935-1988), compositore fiorentino formatosi nella musica colta e d’avanguardia che dedicò parte della sua carriera anche all’ambito della musica applicata a programmi televisivi o radiofonici, la cosiddetta library music. Erano i plumbei anni Settanta, quelli del piombo, dei dolcevita scuri e degli schermi in bianco e nero. Il monopolio dell’etere e del tubo catodico era ancora saldo nelle mani della RAI, che mediante un micromondo interno di faccendieri, musicisti e operatori dello spettacolo, portava dentro le case degli italiani cultura, divertimento e attualità. Ecco quindi la necessità costante di avere sottofondi descrittivi multiformi con cui far dialogare (o semplicemente su cui far scorrere) immagini e suoni dai soggetti più disparati: dai documentari sul mondo sottomarino, ai reportage sui problemi dell’uomo; dagli sceneggiati televisivi, ai radiodrammi.

Braen, Peymont, H. Tical, Raskovich, Zalla, Narassa, Atmo, sono stati alcuni tra gli innumerevoli eroi musicali di quelle stagioni, compositori che, sotto pseudonimo, si sono dedicati all’attività di sonorizzazione sia perché la maggior parte di loro non ebbe modo di trovare spazio a Cinecittà, sia perché, per quanto considerata da loro stessi una prosaica attività di ‘serie B’, fruttava guadagni sostanziosi e permetteva una libertà creativa a dir poco assoluta.

Per far fronte a questa immensa quantità di musica, sorse in breve tempo un numero impressionante di etichette discografiche, spesso create ad hoc dai compositori stessi: è il caso, ad esempio, della Rotary e della Omicron dei pianisti Amedeo Tommasi e Piero Umiliani, della New Tape del sassofonista Cicci Santucci e della Vedette di Armando Sciascia. E proprio per quest’ultima, Paolo Renosto incise sotto lo pseudonimo di Lesiman dischi di sincronizzazione davvero notevoli, come Here and Now vol. 1 e 2 (1973-1974), un dittico per piccolo organico dominato da ipnotici pedali di basso e magnetici swing di batteria, sopra i quali tastiere e sintetizzatori plasmano loop oscuri e fraseggi evocativi: un mix disarmante di angoscia tensiva e vibrazioni futuristiche. Ascoltando brani come “Colloquio”, “Confronto” o “Moto Centripeto” sembra di galleggiare nel tempo, ma con un peso attaccato ai piedi: una sorta di ‘disagio sospeso’, penetrate e vagamente sinistro, che vorrebbe emergere in un’assenza totale di riferimenti direzionali.

Un ancora più vivido e inquietante senso di spaesamento emerge nelle altre quattro produzioni Vedette, ovvero High Tension vol. 1, 2, 3 e 4 (1973-1978): qui non si levita più nell’aria, semmai si respira a fatica nel vuoto di paesaggi desolanti, immersi nell’atmosfera cinerea e rarefatta di macerie e fabbriche fatiscenti. Già dai titoli delle composizioni si può immaginare a quale tipologia di servizi giornalistici fossero dirette queste musiche rabbuianti: “Ricognizione sulle macerie”, “Incubo di Prigionia”, “Sveglia Tragica” non possono che farci immergere in un’umbratile alba apocalittica scandita da tastiere sferraglianti, tamburi marziali e rintocchi atonali lugubri e ossessivi. Talvolta il fumo si dirada, lasciando spazio anche a qualche momento più mosso e meno disperato, per quanto sempre intriso di un’atmosfera fredda e inquieta: penso ai groove funk-disco di “Irruzione”, a quelli metropolitani di “Milano ‘72” e alle chitarre malinconiche di “Fiaccole di Pino” e “Trepido e Ilare giorno”, che tratteggiano melodie desaturando l’aria dalle scorie oppressive di un mondo in rovina.

Certo Lesiman/Renosto non è solamente Cinelandia e la sua musica non può essere semplicemente derubricata a perfetta colonna sonora per i postumi di un’apocalisse. Il bagaglio di studi e di esperienze che fece all’interno della musica colta è immenso – ebbe come maestri, tra gli altri, Luigi Dallapiccola, Angelo Francesco Lavagnino e Bruno Maderna; si confrontò con il teatro musicale d’avanguardia sperimentando interazioni e manipolazioni tra suoni umani e analogici (Andante Amoroso, 1970) e non perse l’occasione per frequentare anche la musica ‘leggera’, componendo canzoni e lavorando, nel 1963-64, come direttore d’orchestra per la trasmissione RAI Gran Premio, abbinata alla Lotteria di Capodanno.

E poi il jazz tensivo, riflessivo e ‘futuristico’ usato in programmi tv come A come Agricoltura, l‘easy listening del disco Renosto Major (Metropole, 1971), le collaborazioni con altri importanti compositori per piccolo schermo, come Giuliano Sorgini e Romolo Grano, una colonna sonora per il film Irene Irene (1975) di Peter Del Monte... e molto altro.

Ma non serve sorvolare le rovine di un mondo ancora sospeso dentro a un televisore bicromatico per trovare l‘essenza di Renosto/Lesiman: ci hanno già pensato egregiamente quelli di 19’40’’ insieme ai Calibro 35 e all’ensemble Esecutori di Metallo su Carta.

Basta schiacciare play e prendere il volo.


Gianluca Tosi

Players (1968)

Players (1968)


About ten years before Silvio Berlusconi purchased the Cinelandia studios of Viale Europa, the violinist, composer and record producer Armando Sciascia opened the doors of those places intended to give birth to productions like Ok il prezzo è giusto and La Ruota della Fortuna, to Paolo Renosto (1935-1988), a Florentine composer who studied classical and avant-garde music and who dedicated part of his career to the field of music applied to television and radio programmes, the so-called library music.

They were the leaden seventies, those of lead, dark turtlenecks and black and white screens. The monopoly of the ether and the cathode ray tube was still firmly in the hands of RAI, which with the help of an internal microcosm of fixers, musicians and show business operators, carried culture, entertainment and current affairs into Italian homes. Here is the constant need to have multi-form descriptive backdrops with which to communicate (or simply to accompany) images and sounds from the most disparate subjects: from documentaries on the underwater world, to reportages on human problems, from television dramas to radio dramas.

Braen, Peymont, H. Tical, Raskovich, Zalla, Narassa, Atmo, were some of the innumerable musical heroes of those seasons, composers who, under pseudonym, have dedicated themselves to the activity of soundtracking. The reason for this was that most of them had no way of finding space in Cinecittà, and also because, although considered by them to be a prosaic 'B series' activity, it yielded substantial earnings and allowed them absolute creative freedom, to say the least.

In order to cope with this immense quantity of music, an impressive number of record labels arose in a short time. They were often created ad hoc by the composers themselves: this is the case, for example, of Rotary and the Omicron of pianists Amedeo Tommasi and Piero Umiliani, of the New Tape of saxophonist Cicci Santucci and of the Vedette of Armando Sciascia. And for the latter, Paolo Renosto recorded under the pseudonym of Lesiman some really remarkable synchronization records, such as Here and Now vol. 1 and 2 (1973-1974), a two-part creation for small band dominated by hypnotic bass pedals and magnetic drum swings, on which keyboards and synthesizers shape dark loops and evocative phrases: a disarming mix of tension anguish and futuristic vibrations. Pieces like ''Colloquio", ''Confronto" and ''Moto Centripeto" seem to float in time, but with a weight weighing down the feet: a sort of ''suspended discomfort' penetrating and vaguely sinister, which would like to emerge in a total absence of directional references.

An even more vivid and disturbing sense of disorientation emerges in the other four productions Vedette, or High Tension vol. 1, 2, 3 and 4 (1973-1978): here you no longer levitate, rather you can hardly breathe in the emptiness of desolate landscapes, immersed in the ashy and rarefied atmosphere of rubble and crumbling factories. From the titles of the compositions it is already possible to imagine what kind of journalistic reports were directed at these darkening musical creations: ''Ricognizione sulle macerie" (Sweep on the rubble), ''Incubo di Prigionia" (Nightmare of imprisonment), ''Sveglia Tragica" (Dramatic awake) can only immerse us in a shadowy apocalyptic dawn punctuated by clattering keyboards, martial drums and lugubrious and obsessive atonal chimes. Sometimes the smoke thins, giving way for a for a few moments of movement and less desperation, although always permeated by a cold atmosphere of disquiet: I think of the funk-disco grooves of ''Irruzione" the metropolitan ones of ''Milano '72'' and the melancholy guitars of ''Fiaccole di Pino"and ''Trepido e ilare giorno" which sketch melodies desaturating the air from the oppressive waste of a world in ruins.

Of course Lesiman/Renosto is not only Cinelandia and his music can't simply be pigeon-holedclassified as the perfect soundtrack for the aftermath of an apocalypse. The wealth of studies and experiences he contributed to art music is immense - he had as teachers, among others, Luigi Dallapiccola, Angelo Francesco Lavagnino and Bruno Maderna; he confronted the avant-garde musical theater experimenting with interactions and manipulations between human and analog sounds (Andante Amoroso, 1970) and did not miss the opportunity to attend also the 'light'; music, composing songs and working, in 1963-64, as conductor for the RAI Grand Prix program, combined with the New Year's Lottery.

And then the tense, reflective and 'futuristic' jazz used in TV programs like A as Agriculture, the easy listening of the album Renosto Major (Metropole, 1971), the collaborations with other significant composers for small screens, such as Giuliano Sorgini and Romolo Grano, a soundtrack for the film Irene Irene (1975) by Peter Del Monte. . . and much more.

But it is not necessary to fly over the ruins of a world still suspended inside a two-colour television set to find the essence of Renosto/Lesiman: those of 19'40'' have already thought of it very well together with Calibre 35 and the ensemble Esecutori di Metallo su Carta Just crush play and take off.

Gianluca Tosi