Storia di un compositore para-occasionale, ad uso di chiarimento personale (1996-2022) by Enrico Gabrielli

1999

Magari non è chiaro per chi è avvezzo solo alla popular music, ma quando si scrive musica (scrivere nel senso specifico del termine) non si è coinvolti direttamente come esecutori. E spesso nemmeno come direttori. Nel campo della musica classica queste tre formule comportamentali designate come esecutore, direttore e compositore sono carriere completamente diversificate.

Si studia una vita per divenire almeno una di queste tre cose, e a parte alcuni casi storici (che ne so, Luigi Boccherini, W.A. Mozart, Giovanni Sollima…), si preferisce declinare l’auto-interpretazione. Come a dire: matematica, fisica e astrofisica fanno tutte capo al concetto di mamma matematica. Ma poi si sceglie.

Ci tengo specificare queste cose per non tradire le aspettative di chi legge un programma di musica colta e si aspetta che quel tizio che ha scritto quella cosa sia presente in veste di musicista performer. Quando realizzai le variazioni per orchestra su Bella Ciao lo scorso 25 aprile, c’era gente che sia aspettava fossi lì anche io, magari con una bandierona con la falce e il martello davanti all’orchestra de La Scala.

Ecco, non funziona così: quando si fa i compositori in genere si fa i compositori, ci si siede in un punto in ombra della sala e si aspetta la fine del brano come un qualsiasi ascoltatore. Se si è fortunati, possiamo compartecipare della sincerità di un estraneo che potrebbe dire la sua a bassissima voce all’amico di fianco, ignorando che tu sei il compositore. Se succede, è un evento impagabile. Bene o male che vada.

Ricordo nel 1995 quando partecipai, io 19enne imberbe, al corso di Salvatore Sciarrino al Festival delle Nazioni di Città di Castello e precipitai in una classe di fuori-classe (c’erano Mauro Lanza, Francesco Filidei, Carlo Carcano, Lorenzo Pagliei, Daniele Faraotti e mi pare pure Pierluigi Billone e Emanuele Casale) non volli assistere all’unica esecuzione di un mio brano per clarinetto solo dal titolo Riflessione I. Che titolaccio mamma mia…

Quel corso me lo pagai con il lavoro di cameriere durante il Palio di Siena l’estate in cui tutto il cast di “Io ballo da sola” si presentò al mio ristorante. Erano un sacco di persone ed ero talmente scimunito che non mi accorsi né di Bertolucci, né di Jeremy Irons, né della mia coetanea Liv Tyler.

Dicevo che non assistetti all’esecuzione di “Riflessione I” e ricordo benissimo che uscii non appena il brano iniziò. Tutta la spesa, tutta la fatica e tutto il percorso di studio risolto in un semplice gesto di auto-negazione. Ma non me ne pentii sinceramente. Per quanto giovane, ero coscientemente disinteressato a sentire l’esito del mio pensiero compositivo. Probabilmente perché non ce l’avevo, e non avevo voglia di confrontarmi con il mio “niente da dire” interiore.

Passarono anni prima che mi confrontassi di nuovo con la materia, e fu ad un meeting di giovani compositori organizzato nel 1998 da Marco Tutino in seno all’Arena di Verona (che pessimo gruppo di strumentisti, mamma mia ancora me lo ricordo…). Il centro di interesse verteva sulla musica colta che avrebbe dovuto incontrare gli strumenti e i luoghi della musica rock. Come relatori aggiunti erano intervenuti Ludovico Einaudi (prima di essere ciò che è) e il caro scomparso Piero Milesi, padre del minimalismo italiano nonché arrangiatore degli ultimi lavori di De André. Tra i miei compagni di corso c’era un giovane e ambizioso Oscar Bianchi e il mio caro amico di una vita Carlo Carcano, prossimo a diventare il più bravo arrangiatore che l’Italia abbia mai avuto alla fine del millennio. Il brano che ne scaturì si chiamava Corto azzurro all’avventura in un dì senza paura. Considerando che non sono un compositore tutto sommato esigente, conservo in audiocassetta ancora quell’esecuzione, ma fu un disastro talmente conclamato che mi procura feroce imbarazzo ad ascoltarla.

Nel 2000 vinsi il concorso di composizione del Conservatorio di Milano (una forma embrionale del Premio del Conservatorio) con un lavoro per piccola orchestra dal titolo Dall’alto, a sinistra del leccio. Era un brano che usava esclusivamente le quattro note che compongono la parola B.A.C.H. e grazie a questa prima forma di gioco limitativo, intuì che me la cavavo meglio con i terreni ristretti a poche regole piuttosto che ai vasti campi aperti. L’esecuzione venne affidata a Milano Classica diretta da Vittorio Parisi, in Palazzina Liberty e fu una buona esecuzione, tanto che mi valse l’interesse (ma dovrei proprio dire la passione carnale) di un tale di nome Nikos Velissiotis, capo dell’etichetta Agorà Classica. Costui mi tenne per scemo, semi ostaggio in una casa ufficio piena di laser disc, mini disc (erano gli anni di “Strange Days”, signori e signori…), compact disc di classica confusa e dozzinale, pezzi di antiquariato ellenico dal sapore di ricettazione. Voleva da me un disco di composizioni con il caveat: “cartoline di Napoli per turisti giapponesi”.

Per fare ciò chiamai a raccolta i Mariposa, il mio laboratorio umano, la mia confort zone. E questa cosa non piacque al signor Velissiotis. Spesi soldi per registrare cose con persone. E dopo due anni la faccenda si inabissò. Ne rimase traccia nel disco “Nuotando in un pesce bowl” e in seguito nella versione meta-composta “Metamorfosi di canzoni napoletane” con Timet. Dischi entrambi introvabili.

Anzi se li trovate, fatemi un fischio.

La mia carriera compositiva, già nel 2000, era pressoché conclusa. Avevo abnegato alla musica colta per intraprendere una specie di apprendistato sul baratro dell’art-rock underground. Questo anche dopo essere stato in qualità di clarinettista defenestrato dall’ensemble Risognanze, dopo anni di nuova musica subiti sulla pelle. Palestra incredibile, ma solo palestra.

A tal proposito (mi si perdoni digressioni e parentesi, ma alla soglia dei 46 anni ne ho di cose da raccontare…), l’estromissione avvenne a Saronno per la preparazione (mi pare) del Pierrot Lunaire di Arnold Schöenberg. Io feci ritardo causa treno, il direttore mi rimproverò e io gli risposi “Maestro, non mi rompere i coglioni”. Al che venni lasciato in attesa dentro il tinello di una casa X mentre gli altri provavano. Fine del rapporto di lavoro.

Io in quell’ensemble avevo allenato l’estro: in un concerto durante il Tiroler FestSpiele di Erl, creatura megalomanica del maestro austriaco Gustav Kuhn, l’ensemble Risognanze eseguì un brano molto complesso e molto veloce di Emanuele Casale. In partitura il clarinettista (io appunto) avrebbe dovuto suonare una campanella proprio alla sua conclusione e io disgraziatamente me l’ero dimenticata nel backstage. Mentre il brano scorreva e io suonavo, iniziai a scervellarmi per risolvere il dramma. Ero in totale rush, a “5 minuti dalla fine”… poi ebbi un lampo di genio: presi il copri bocchino (per fortuna in ferro) e sfilai il punteruolo (per fortuna anch’esso in ferro), lanciai in aria il primo e lo colpii con il secondo nell’esatto secondo in cui avrei dovuto suonare la campanella.

Perfetto.

Se non che la ferraglia fece una palombella e in una scena in moviola degna di una sforbiciata ai campionati mondiali, cadde sulla fronte di un tizio del pubblico in sala. Il che fece un secondo suono, più sordo, più di carne. Forse più interessante di quanto il compositore potesse sperare.

Negli anni che seguirono scrissi musica. Eccome! Brani che sono nel mio personale archivio, tutto rigorosamente su carta, quasi in copia unica. Molti tentativi di concorso. Nessun riscontro. Nessuna esecuzione. Cito alcuni titoli: Corto bianco in fuga (per quartetto d’archi e clarinetto piccolo in Mib), Corto Giallo dedicato a Galileo (per orchestra), Piccolo diorama teatrale (per gruppo di musicisti bambini), Fiabe dall’Adolescenza (per flauto e pianoforte), Suoni oltre sera (per clarinetto e pianoforte), un corpus di Falsi classici.

Nel 2004, se non erro, iniziai a scrivere La Milleundecima Notte, su libretto di Sergio Giusti e soggetto di Michael Ende. Tecnicamente è finita, ma praticamente non lo è. Storia lunga…

Vagavo inquieto tra non-tonalità, para-permutatività, sistemi scalari difettivi, giochi d’insieme senza insieme, suggestioni cinematografiche, utilizzo parodistico di transitori d’attacco, polarizzazioni, cangianze... Pure la new age acustica non era lontana dai miei pensieri.

Mi dovetti registrare da solo, ormai nel 2009, un brano dal titolo Matematica Naif per rinfocolare la brace del piccolo fuoco sacro compositivo. Quel brano è contenuto in “Der Maurer, vol. 1” (Trovarobato Parade, 2010).

Conobbi Sebastiano De Gennaro probabilmente intorno al 2008, tramite Giorgio Prette, storico batterista degli Afterhours. Assieme a pochissimi altri, credo sia stato l’incontro musicale più importante che abbia mai fatto: con Sebastiano ho trovato un autentico sodale, una specie di anima eletta e allo stesso complementare con cui ho costituito un nucleo stabile di collaborazione senza scadenza.

Facemmo un periodo di concerti in duo, se così si può dire, molto selvatici. Tentavamo l’arduo compito di portare nei circoli ARCI, nei club o nei locali la musica colta su carta, eseguita con lo spirito tra il divulgativo e il guastatore per un pubblico che nei migliori dei casi teneva una birra in mano. Nei peggiori se ne andava o parlava della Juventus al bancone. L’impaginato comprendeva musiche di John Cage, Edmund Champion, Iannis Xenakis, Francis Poulenc, Steve Reich e qualcosa dello stesso Sebastiano e a rotazione cambiavamo. Il pezzo forte era in genere una versione “eroica” di Workers Union di Louis Andriessen, fatta a nudo e crudo con me al sax contralto e Sebastiano alle pelli e ferraglia, un brano omoritmico e violento della durata reale di 15 minuti. Ricordo al Locomotiv di Bologna nel lontano febbraio 2010, in apertura degli The Zen Circus, io persi i sensi dopo i primi 5 minuti del brano. Venne un’ambulanza, interruppero tutto. Fu un mezzo macello.

A distanza di anni abbiamo deciso di registrare questa versione in prospettiva della prossima uscita che si chiamerà Musica Politica (19m40s_19).

Di lì a poco decisi di iscrivermi di nuovo in Conservatorio di Milano nella classe di Alessandro Solbiati. Era il 2015 e quando rimisi piede in quel chiostro e salii le scale per i corridoi mi resi conto che erano passati circa quattordici anni dalla clausura del settimo di composizione tradizionale che avevo passato con Danilo Lorenzini. Nel frattempo l’Istituzione era divenuta una specie di università, con frequenza, esami, materie diversificate, ma per quanto non fossi ancora padre e non avessi il tempo risicato che ho adesso, non sarei mai riuscito a calendarizzare tutto il percorso di studi. Mi limitai a frequentare la classe di composizione dove assieme a me c’erano Pietro Dossena, Mattia Clera, Leonardo Marino, Marco Gaietta e Mauro Saleri e finché non arrivò la chiamata “alle armi” di Polly Jane Harvey io seguì al meglio ciò che potevo.

Nonostante la mia disincantata assenza di sistematicità e la mia veneranda età (39 anni cristoddio santissimo), partecipai al Premio del Conservatorio del 2015 e arrivai secondo classificato con un brano che reputo ancora adesso uno dei miei migliori lavori: Corti per Niccolò Castiglioni per 6 esecutori. Venne eseguito con garbo e cura da Mauro Francesco Bonifacio assieme all’ensemble di contemporanea degli studenti del Conservatorio, all’interno del quale brillavano Ethel Colella all’arpa, Carlotta Raponi al flauto e Damiano Afrifa al pianoforte (divenuti in seguito membri degli Esecutori di Metallo su Carta). Il secondo posto al concorso significava la commissione per un brano da camera (violino e pianoforte) e lo scrissi in previsione di un concerto programmato nel febbraio 2016. In quel periodo stavo leggendo un bel libro dello scienziato acustico inglese Trevor Cox e lì si accennava di un sacro gioco di parole “a reverbero” contenuto nel Musurgia Universalis di Athanasiuas Kircher: Tibi vero gratias agam quo clamore? Amore, more, ore, re. Scrissi un brano dal titolo Clamore, amore, ore, re che ancora adesso osservo con un misto di curiosità e di apprensione. Dopodiché seguì il tentativo (fallimentare) di partecipare al Premio Trio di Trieste con un brano dal titolo Allotropi. Da questo brano, conclusosi faticosissimamente in pieno tour con P.J. Harvey tra Londra e Varsavia, trassi una trascrizione per Sebastiano che finì nel disco “Il Picchio” (19m40s_03) con il titolo Coppia di allotropi. Questo brano è diviso in due movimenti, a là Donatoni: ho capito che la contrapposizione “a doppia pagina bianca” è un modo con cui mi piace impostare la musica che scrivo. Ci ho messo un sacco per capirlo però.

Ad esempio, sempre del 2016, avevo partecipato ad un concorso di scrittura pianistico per l’infanzia e avevo avuto una specie di menzione speciale con il brano Sei facce di un dado dove la forma a “racconto breve” era inscritto nel titolo. Era un sistema pratico, quello della parure di brani brevi perché ti concedeva rapidi cambi scenari e un alleggerimento del percorso formale.

“Corti per Niccolò Castiglioni” anche era così, composto da sette brani aforistici (I., II. “porti”, III. “fermo”, IV. “colpi”, V. “chiese”, VI. “fischi”, VII. “spilli”) che condividevano programmaticamente un’affinità con il mondo infantile, acuto e tintinnante del grande compositore lombardo. Di Niccolò Castiglioni conservo ancora memoria della silhouette affaticata e malandata, per i corridoi delle classi al secondo piano del Conservatorio; morì nel 1996 e io ero studente in una Milano da poco uscita da Tangentopoli, con le fabbriche ancora a regime, i riscaldamenti a gasolio, le cabine pubbliche. La mia principale ambizione era, allora, di divenire compositore puro. Ma a differenza di Ennio Morricone che fino all’ultimo istante si è trascinato un grande rimpianto per non essere riconosciuto come musicista “assoluto” io francamente ci ho messo una pietra sopra.

And let’s go rock’n’roll.

Durante questo periodo di ritorno ai banchi scolastici in stile De Amicis, conobbi Francesco Fusaro che faceva tre cose contemporaneamente: il giornalista, il musicologo e il dj contravvenendo al principio di diversificazione che impone la scienza applicata all’arte musicale (come dicevo in incipit). Venne a casa mia, a Milano, per una serie di interviste fiume che avrebbero dovuto corredare i deep-contents di Rockit. Una mente brillantissima -issima -issima apparsa nella mia cucina, così, a gratis.

I discorsi con lui investivano sfere complesse di approccio alla materia musicale in senso lato, dalla “scena musicale” all’attivismo politico culturale, dal crollo delle ideologie alla tecno italiana. Nel maggio del 2015 al Biografilm Festival di Bologna avevo presentato con EneceFilm e Sergio Giusti quello strano oggetto titanico dal titolo UPM – Unità di Produzione Musicale e parlammo anche di quello (se non erro). Ma, anche grazie a quelle chiacchierate, sempre di più si rafforzò in me la convinzione che un pensiero compositivo potente potesse non passare necessariamente dalla tecnica accademica.

A dimostrazione di questa teoria nacque il progetto di trascrizione di brani della scena Math-Metal-Noise-Instrumental italiana per organico acustico. A mio avviso i compositori “orali” dietro a quel mondo potevano avere molto da dire in forma di scrittura su carta e selezionai una decina di brani tra i tanti possibili. Registrammo negli studi della SAE Institute Milano con un gruppo di studenti fonici ciò che avremmo chiamato in seguito “Esecutori di Metallo su Carta: Progetto Generativo”. Quel gruppo altro non era che un espansione del nucleo Der Maurer – De Gennaro a misura di ensemble.

Quando io e Sebastiano, dopo aver pubblicato i nostri primi dischi  (“Hippos Epos” Trovarobato/Parade, “All my robots” MeMe e “1940/19’40’’ on Cage” [+ Der Maurer] Trovarobato/Parade) ci rendemmo conto che non c’era altro da fare che costruirci una nostra auto-casa editoriale, coinvolgemmo anche Francesco.

E così nacque 19’40’’.

Seguirono i festival come ContempoRarities al Teatro di Santeria Social Club giunto alla quinta edizione - anzi settima, se non ci fosse stata una merda di pandemia.

E il Puntuale Festival, grazie al quale dobbiamo per forza ricordare un’esecuzione dei Tierkreis di Stockhausen nel centro dell’avamposto pseudo-benignesco dell’Arci Progresso di Firenze.

E il “FuckBloom? Alban Berg!” al Bloom di Mezzago, dove si cantano le gesta di un’ Histoire du Soldat di Igor Stravinsky con quasi 300 paganti.

In quell’occasione ebbi modo di stringere uno splendido rapporto di collaborazione con la straordinaria violinista Yoko Morimyo, membro stabile degli Esecutori di Metallo su Carta. E con quello che sarebbe divenuto l’attuale quarto componente, il Winston Zeddemore per così dire, della 19’40’’: il direttore e trombettista Marcello Corti, persona di grandissimo talento, collaboratore coinvolgente ed entusiasta, una vera dinamo umana insomma.

A lui devo anche una commissione di un balletto da eseguire con organico giovanile in seno al Liceo Musicale e Coreutico Giuditta Pasta di Como. Il lavoro si chiama Balletto in bianco, un po’ perché è senza una determinata vicenda narrativa e un po’ perché ho scoperto che si usa indicare “balletto bianco” quella sezione, caratteristica del Romanticismo, nel quale dominano personaggi fantastici ed eterei. Tutto il materiale tematico e musicale è assemblato con un collage dei temi preferiti da ogni singolo studente. Si possono intrasentire circa una trentina di melodie.

Nell’autunno del 2019 lavorai ad un programma organizzato dal mio caro amico nonché docente di oboe al Conservatorio di Cagliari Mario Frezzato. L’incontro con Mario si perde nella notte dei tempi, e la sua storia meriterebbe cento pagine di diario. Basti dire che suonammo assieme in un ensemble ad Ulm (l’European Music Project), in Germania, durante l’eclissi totale di sole del 1998 e che una volta traversammo a piedi il confine al Brennero, sotto la neve, per un blocco dei treni in Italia. Uno di noi due aveva i sandali perché era fine già aprile. Ma lasciamo perdere… Il programma in Conservatorio a Cagliari prevedeva solo fiati, un contrabbasso, tastiere e percussioni. Trascrissi la “Outer Space Suite” di Bernard Herrmann (già contenuta nel disco “At The Gates Of The Twilight Zone” 19m40s_12) e una selezione di brani di Thomas De Hartmann, il musicista affiliato a Georges Gurdjieff. Poi scrissi una composizione, in forma di variazioni, dal titolo I Fiori di Ch’ong Tzu che ha diretto eroicamente Mario stesso. Questo brano è dedicato al mio storico maestro di composizione Danilo Lorenzini che nel 1979 incise un disco per la Cramps assieme a Michele Fedrigotti dal titolo “I fiori del sole”.

Gabrielli Enrico Frezzato Mario

con Mario Frezzato 1999

Che io ricordi quella fu l’ultima volta che ho avuto un’esecuzione di una mia composizione.

Mi permetto un parere: non accetto francamente la dicitura di Morricone “musica assoluta” perché mi sa di superominismo d’accatto. Anzi, è quasi una concezione discriminatoria perché sottende una valutazione, una collocazione eugenetica di purezza. Piuttosto forse potremmo chiamarla “musica d’arte”? Ma il dibattito è ancora aperto. Per quanto al non aficionados gli devi dire “musica contemporanea” per fargli comprendere cosa (grossomodo) stai facendo. E questo la dice lunga su quanto poco si è andati avanti nella qualifica del ruolo sociale di questa musica.

Il 25 aprile dello scorso anno, l’involuto 2021, una parte dell’orchestra de La Scala di Milano ha eseguito in streaming le mie Dieci variazioni su Bella Ciao. Dopodiché, grazie all’affettuosa intercessione di Roberto Benatti, sia contrabbassista in Scala che negli Esecutori di Metallo su Carta, mi è stato commissionato un brano per ciò che sarà il primo concerto di un Ensemble Contemporaneo interno alla Fondazione Scaligera. Per tal occasione, negli ultimi sei mesi, ho lavorato ad un brano in due movimenti dal titolo Scalata.

Enrico Gabrielli Teatro alla Scala

prova dell’Ensemble Contemporaneo della Scala, in sala prova del Teatro al sesto piano

Il musicologo Marco Moiraghi mi ha chiesto delle note da accompagnare alla presentazione del concerto. Mi piace riportarle tutte qui:

Si tratta di un lavoro diviso in due parti, e (come del resto dice il titolo stesso) parte tutto dal presupposto di una scala. In sostanza il titolo si spiega da sé con il nome della nota istituzione sinfonica. Semplice e infantile se si vuole, ma divertente. Ma il titolo ha anche quel sapore un po' Dallapiccoliano a là Tartiniana, come se dietro ci fosse una reinvenzione di materiale già esistente, un neoclassicismo metaforico. Il fatto che entrambi i movimenti si svolgano un po' come sequenza di variazioni lo farebbe pensare. C’è una ricerca spasmodica di “anti-retorica”, soprattutto sul secondo brano dove a tratti si sfiora l’ atarassia apparente. Forse c’è una necessità di lentezza che riflette il mio personale periodo di vita. C'è una nota di esecuzione in partitura che è degna di rilievo. Te la riporto anche qui:


Nota di esecuzione: è parte integrante dell’approccio a questo brano un certo grado di approssimazione nell’interpretare effetti e tecniche estese richieste in partitura. In generale interessa, ai fini dell’esecuzione, la sporcizia del suono e la reinvenzione dello stesso. 

Non importa se (ad esempio) un whistle viene confuso con un soffio o un soffio sul ponticello con un soffio d’arco sulla pancia. Importano invece l’insieme, l’attitudine, il ritmo e le dinamiche.
E in primis un approccio disincantato e leggero alla musica di coloro che sono ancora in vita. 

Il rispetto e il timore reverenziale lasciamolo altrove.

Call for Scores a Pietra Tonale by Marcello Corti

Venerdì 23 Settembre 2022 abbiamo portato Call for Scores a Torino, negli spazi di Via Baltea 3. Gli amici di Pietra Tonale ci hanno ospitato e nutrito. La delegazione di 19’40’’ era composta da Enrico Gabrielli, Francesco Fusaro e Marcello Corti. Presenti in sala, Simone Farò, Alan Abd El Monim e Dario Gatto. Ci siamo lasciati con la promessa di berci una birra insieme, non appena i Listening Party saranno conclusi.

Il racconto della serata è più o meno sintetizzato in questo corto. Grazie a chi c’era, a chi ha ascoltato e a chi tornerà.

Abbiamo provato a raccontare Call for Scores: ecco come è andata by Marcello Corti

19’40’’ è andato a Merate a raccontare Call for Scores in occasione del Festival Agnesi, la settimana di eventi che ruota intorno ad un corso di formazione orchestrale per non professionisti realizzata dall’Associazione Scuola di Musica San Francesco di Merate e da Marcello Corti.

Mentre Enrico si trovava con Iggy Pop a fare del rock vero con un’orchestra da camera, Francesco, Sebastiano e Marcello erano invece in una una pacata sala di Villa Confalonieri per raccontare alcune delle 14 tracce di Call for Scores, diciottesima uscita della collana anticlassica che probabilmente conoscete.

Da sinistra, Seba, Andrea Sommani, Dario Gatto, Marcello e Francesco

Qualche minuto prima dell’inizio della conferenza, giungono dalla profonda Milano e dall’ancora più profonda Emilia Romagna, quel Dario Gatto e quell’Andrea Sommani il cui nome compare all’interno del cofanetto fresco di pubblicazione. Ne abbiamo approfittato per coinvolgerli nell’evento e per fare loro una o due domande.

La serata è stata molto gradevole: una quarantina di persone ha ascoltato in modo attento le presentazioni di alcuni dei brani selezionati. Abbiamo avuto modo di scoprire, finalmente, “cosa ci faceva il compositore nella campagna padana, in un’algida notte d’inverno?” (era ad uno spettacolo teatrale di amici e si era allontanato un poco).

Abbiamo avuto modo anche di parlare con Dario Gatto del suo brano di cui ancora non avete potuto leggere niente se non la breve descrizione nel booklet. Averlo incontrato ci ha permesso di chiudere qualche tratto in più del cerchi di Polisemantica, il brano inciso con gli Esecutori di Metallo su Carta.

Uno scatto dinamico che mostra i nostri impegnati nel raccontare perché la graphic notation esiste.

Il listening party ha preso il via da Costellazioni di Antonio della Marina, per poi passare a Barocco d’Inverno di Andrea Sommani, JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi, Polisemantica I - Spirito di Dario Gatto e TARKUS di Fabio Cuccu, con una piccola escursione su Anna di Simone Farò. La conferenza è durata circa un’ora e un quarto: ci ha permesso di prendere le misure per i prossimi imminenti eventi di presentazione del Call for Scores. Abbiamo trovato un pubblico sorprendentemente attento, sorpreso dai processi compositivi e incuriosito dai risultati sonori.

Avremmo dovuto intervistare i partecipanti chiedendo loro un parere, un commento sulla serata: non lo abbiamo fatto. A pelle, aver raccontato senza grandi tecnicismi musica minata da un pregiudizio difficile da eliminare, è stata una scelta apprezzata. La brevità e la grande varietà dei brani proposti è stata senz’altro di aiuto. Potremmo dire che “se ci fosse stato un compositore in sala, avrebbe avuto i brividi di fronte ad alcune semplificazioni”. Dal momento che in sala ce n’erano almeno due e nessuno di questi ha accusato sintomi influenzali, possiamo quindi tirare un sospiro di sollievo. La presenza inaspettata di Dario ed Andrea ci ha permesso di sorprendere il pubblico e di svelare finalmente che anche i compositori sono esseri umani.

La serata si è conclusa così come doveva: terminato l’evento, finito il firma copie, ci siamo diretti verso il mitologico Carillon Pub, uno di quei locali ancora in pausa dagli anni ‘90 dove i panini suono buoni e non ti giudicano se ti getti in una accorata discussione in cui Romitelli, Berio e Nono altro non sono che i campioni di una formazione calcistica sconosciuta ai frequentatori del locale. Così è stato: con lo scemare delle energie, è aumentato il vigore della discussione tra compositori, musicologi e musicisti. Sono uscite tante idee, tanti desideri e tanti spunti interessanti per il futuro del progetto Call for Scores.

All’una di notte abbiamo ritenuto potesse essere una buona idea congedare Dario e Andrea con la certezza di incontrarli di nuovo, per caso, al Santeria di via Paladini il 22 Settembre.

Vi lasciamo con le foto ricordo della serata, scattate dal bravo Riccardo Caldirola.

The New Noise parla di Call for Scores by Marcello Corti

Fabio Fior su The New Noise, affrontando l’ascolto di Call for Scores, lancia un sasso in uno stagno in cui di pietre ce ne sono già tante. Molte di queste sono scagliate in piena notte, quando nessuno vede (o sente).

C’è la diffusa convinzione che senza una solida base teorico-musicale una larga fetta di musica composta, per restringere il campo, nell’ultimo secolo, non valga nemmeno la pena di essere approcciata, se non per condannarsi a frustranti suoni destrutturati e incomprensibili.
— Fabio Fior

Fior invece getta la sua in pieno giorno ma, prima che le onde si dissolvano e la superficie torni cheta, prova anche a raccogliere la sfida e a trovare una soluzione al problema della fruizione della contemporanea.

Qual è la soluzione? Sorpresa…

Vi siete persi l'intervento a Radio3 Suite? Eccolo! by Marcello Corti

Scatti rubati ai Laboratori Testone durante la registrazione

Scatti rubati ai Laboratori Testone durante la recording Session.

Sabato 27 Agosto siamo stati ospiti di Radio3 Suite e di Fabio Cifariello Ciardi per parlare di Call for Scores, la diciottesima uscita di 19’40’’. La serata ha visto l’esecuzione di alcuni dei brani incisi con gli Esecutori di Metallo su Carta. Di seguito la playlist e il pulsante nero per riascoltare la puntata.

minuto 20:25 JIN:GO!LOWBAH... di Vincenzo Parisi
minuto 27:47 Barocco d’inverno di Andrea Sommani
minuto 35:35 I soprammobili di Gustav di Pietro Dossena
minuto 43:46 TARKUS di Fabio Cuccu

Quando registravamo TARKUS

Un cortometraggio di Enrico Gabrielli by Marcello Corti

Certe volte è difficile seguire tutto: è per questo che le case discografiche hanno diversi project manager alle loro dipendenze. In questo modo ogni singola task, ogni dettaglio è (forse) curato, seguito, amato e coccolato. Noi di 19’40’’ ce la dobbiamo cavare con le nostre forze. Se di tanto in tanto riusciamo a sfangarla egregiamente, altre volte abbiamo qualche mancanza: talvolta non riusciamo a comunicare per tempo i nostri concerti, talaltra ci dimentichiamo di inviare un comunicato stampa e spesso non abbiamo energie per documentare tutto quello che succede dietro alle quinte dell’officina più anticlassica d’Italia.

Questa volta invece siamo riusciti a fare davvero tutto: mentre eravamo in studio di registrazione a Milano, in compagnia di Tommaso Colliva, padrone di Casa dei Laboratori Testone, ci siamo imbattuti in un cameramen, regista, montatore e commentatore d’eccezione: Enrico Gabrielli si è gettato in un’opera di documentazione straordinaria. Il suo girato ha documentato quello che è successo in quelle lunghe ore di studio.

Le mani magiche di Carlo

Dal suo lavoro è uscito un cortometraggio di poco più di mezz’ora: i titoli gialli, alla Tarantino, lasciano intendere che ci sarà abbondante spargimento di sangue. I più curiosi, quelli che arriveranno in fondo, saranno delusi dallo scoprire che non sono state fatte vittime... a parte i tre brani che abbiamo dovuto incidere in due sessioni extra: quelli li abbiamo feriti ma solo in modo leggero.

Prima di lasciarvi alla visione del video, i credits: immancabili e d’obbligo.

Call for Scores 19m40s_18: an instant movie recording session
un film di Enrico Gabrielli
con Enrico Gabrielli
montaggio di Enrico Gabrielli

e con
Esecutori di Metallo su carta
Marcello Corti
Carlotta Raponi
Enrico Gabrielli
Yoko Morimyo
Camillo Vittorio Lepido
Maxine Rizzotto
Sebastiano De Gennaro
Francesco Fusaro

con la partecipazione straordinaria di
Carlo Madaghele
Tommaso Colliva

e Vincenzo Parisi nel ruolo di se stesso

girato il 28 e 29 Marzo 2022, Laboratori Testone di Milano

18_Call for Scores press release by 19'40"

19’40’’ RIDISEGNA LA MUSICA CONTEMPORANEA

MILANO - 18 agosto 2022 Enrico Gabrielli, Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro, con la collaborazione di Yoko Morimyo, presentano Call for Scores, la diciottesima uscita della collana discografica anticlassica in abbonamento 19’40’’. L’album include quattordici tracce inedite di quattordici compositori selezionati per il primo Call for Scores internazionale di 19’40’’.

Da sinistra, Carlotta Raponi, Roberto Benatti, Enrico Gabrielli, Angelo Maria Santisi in PInocchio

Il CD da collezione, in tiratura limitata e numerato a mano, è il punto di arrivo di un progetto durato due anni: l’obiettivo è quello di offrire un’istantanea del sottobosco compositivo indipendente italiano ed estero. Al bando del Call for Scores hanno risposto più di cento compositori da tutto il mondo, inviando lavori in una delle tre categorie proposte: brano originale, trascrizione o sabotaggio di un lavoro preesistente. Le partiture ricevute dovevano avere la durata di circa 194 secondi, più o meno il tempo di una canzone pop, ed essere scritte specificamente per l’ensemble Esecutori di Metallo su Carta e il suo organico.

“Il cortometraggio, il racconto, la forma breve: tre minuti e mezzo sono un bel campo di gioco per un compositore, perché quando sei bravo te la cavi anche nel terreno aforistico. Il tempo, cari miei, è prezioso. A volte non è necessario sprecarlo in forme ampie e non è fondamentale caricare l’ascoltatore di una grammatica satura. Diamo spazio a più voci e diamo modo di cambiare scenario. Buoni ascolti.”

Enrico Gabrielli

Il CD, in esclusiva per gli abbonati di 19’40’’.

Call for Scores è l’incontro di compositori con storie e provenienze estremamente diverse: pescando ad occhi chiusi, nello stesso album troviamo lavori di Vincenzo Parisi, vincitore del primo premio al Concorso di Composizione del Conservatorio di Milano, Francesco Bucci, trombonista nel trio metal Ottone Pesante, Lucia D’Errico, ricercatrice presso il Mozarteum di Salisburgo e Fabio Cuccu, chitarrista e frontman di un gruppo prog-rock, i The Sundering. Le quattordici tracce raccontano in pochi secondi altrettanti universi sonori: ogni brano è un mondo, una scoperta, un linguaggio e una sensibilità diversi. Sono presenti inoltre lavori di Simone Farò, Andrea Sommani, Alice Hunter, Antonio Della Marina, Pietro Dossena, Matteo Minotto, Dario Gatto, Alvise Zambon, Julene Elorduy e  Alan Abd El Monim. 

Gli Esecutori di Metallo su Carta in Pinocchio!

Esecutori di Metallo su Carta è la formazione da camera fondata da Gabrielli e De Gennaro nel 2016 e specializzata nell’accompagnamento di artisti rock e indie, nell’incisione di colonne sonore per film e videogiochi, nell’esecuzione di progetti e performance uniche ed interdisciplinari con particolare attenzione al repertorio contemporaneo. Esecutori di Metallo su Carta collabora dal vivo con numerosi artisti quali Andrew Quinn, Olimpia Zagnoli e Pietro Puccio. Esecutori di Metallo su Carta ha accompagnato Francesco Bianconi, Dente, Baustelle in eventi live ed incisioni, calcando sia i grandi palchi del circuito rock nazionale (Miami Festival, Santeria, BLOOM), sia i più affascinanti luoghi della cultura (Biennale di Venezia, Chiostro di Santa Maria Novella di Firenze, Palazzo Reale di Milano).

Per avvicinare il pubblico all’ascolto della musica contemporanea, 19’40’’ ha realizzato una guida all’ascolto pubblicata sul proprio blog (www.19m40s.com/blog) e sta lavorando alla realizzazione di un podcast che uscirà nei prossimi mesi. 19’40’’ sta inoltre organizzando diversi eventi di presentazione nel centro e nord Italia. Il 31 agosto a Merate (www.festivalagnesi.it) e il 22 settembre presso Santeria di Viale Paladini a Milano, Enrico Gabrielli, Sebastiano De Gennaro, Francesco Fusaro e Marcello Corti introdurranno l’ascolto di Call for Scores, accompagnando il pubblico alla scoperta della bellezza della musica contemporanea. 

Gli Esecutori di Metallo su Carta in Le Carnaval des Animaux. Da sinistra, Yoko Morimyo, Sebastiano De Gennaro, Alessandro Trabace, Clara Cavallerterri, Marcello Corti, Enrico Gabrielli, Marcella Schiavelli

Il CD sarà inizialmente disponibile solo per gli abbonati a 19’40’’ (www.19m40s.com/shop-subscriptions). È possibile inoltre ascoltare Call for Scores e l’intera discografia di 19’40’’ su Bandcamp (19m40s.bandcamp.com). Sarà inoltre possibile acquistarne una copia durante gli eventi di presentazione, o in occasione dei concerti live di Esecutori di Metallo su Carta.

19'40'' è una collana discografica su abbonamento di musica anticlassica: un repertorio che potrebbe un giorno uscire dall'alveo della sperimentalità per divenire  un classico in tempi futuri. Ogni quattro mesi, 19’40’’ produce un CD e ne invia una copia, numerata a mano, agli abbonati. Nel suo catalogo esplora grandi classici come The Planets di Holst o Histoire du Soldat di Stravinskij, la graphic notation di Cornelius Cardew, le colonne sonore di serie tv o di videogiochi, come nel caso di At the gates of the Twilight Zone o Ghosts Goblins Ghouls. Non ci sono limiti alla curiosità e all’eclettismo di una delle esperienze musicali più alternative d’Italia.

Esecutori di Metallo su Carta
Marcello Corti, direttore

Carlotta Raponi, flauto e flauto basso
Enrico Gabrielli, clarinetto, clarinetto basso, sax alto e sax tenore
Yoko Morimyo, violino e viola
Camillo Vittorio Lepido, violoncello
Maxine Gloria Rizzotto, pianoforte e toy piano
Roberto Benatti, contrabbasso
Sebastiano De Gennaro, percussioni, Roland Juno-6
Francesco Fusaro, elettronica

Registrato presso i Laboratori Testone (Milano) da Carlo Madaghiele il 28 e 29 marzo 2022 e presso il Black Bear Studio (Lissolo, La Valletta Brianza, Lecco) da Sebastiano De Gennaro, Francesco Fusaro e Marcello Corti il 5 aprile e il 6 maggio 2022. Mix realizzato presso i Laboratori Testone da Carlo Madaghiele e Master realizzato presso Lo Studio Spaziale (Bologna) da Roberto Rettura. Artwork di Annalisa Nali Limonta

Call for Scores - Capitolo 11 - Scherzetto di Julene Elorduy by Marcello Corti

Scherzetto è un brano di Julene Elorduy per viola e violoncello. Formalmente siamo di fronte a uno scherzo molto breve in cui la tripartizione e lo schema ABA sono decisamente evidenti. La sezione centrale, dal carattere più lirico e disteso, ben contrasta con la prima e l’ultima parte. Elorduy, compositrice spagnola residente a Bilbao, costruisce una pagina di musica leggera sotto tutti i punti di vista: l’organico, estremamente ridotto, il ritmo, sfuggente e l’abbondanza di pizzicati e di armonici rendono Scherzetto un compendio essenziale di composizione.

Il brano si apre con l’esposizione del materiale tematico da parte della viola sola: la sua melodia è in tempo ternario, molto rapido e saltellante. Il violoncello interviene quale basso e accompagnamento giocando tra pizzicato e colpi d’arco. Un lungo passaggio di armonici interrompe l’andamento ritmico: viola e violoncello sembrano andare a ripescare tra la polvere l’antica pratica del contrappunto. Le note si fanno opache e semitrasparenti: il suono dell’arco che scorre sulla corda rende farinoso e poco definito tutto questo passaggio centrale. Gradualmente viola e violoncello ritrovano pienezza sonora. La compositrice espone nuovamente il materiale tematico iniziale per concludere con una dichiarazione decisa: forse siamo in Re Maggiore.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Scherzetto ci ha convinti per via della sua estrema concentrazione e sintesi. La compositrice riesce in un’operazione a noi molto gradita: liberarsi dei fronzoli. Il materiale tematico è ridotto ai minimi termini, così come l’organico. L’opera di miniaturizzazione di Elorduy permette all’ascoltatore di vedere le ossa attraverso la pelle sottile della partitura: la struttura del brano è particolarmente evidente grazie a una scrittura scarna ed essenziale.

Inoltre Scherzetto è una lettura sul futuro più nostalgica rispetto agli altri brani inseriti nel Call for Scores. Se infatti tanti compositori richiamano e rielaborano le forme classiche, Elorduy sembra invece dichiarare la sua adesione ad un modello estetico per lei ancora valido e vivo. La forma non è retaggio, ma attualità.

In fin dei conti i principi alla base della forma sono sempre quei tre: data un’idea musicale antecedente, il conseguente può esserne o la negazione, o la ripetizione o l’evoluzione (A-B oppure A-A oppure A-A’). Le possibilità compositive apparentemente infinite sono invece limitate a tre soli interventi: comporre altro non è che ripetere, cambiare o sviluppare. Tanto vale non solo riprendere le forme del passato, ma viverle nella loro supposta contemporaneità, non essendoci molte altre possibilità.

Chi è Julene Elorduy?

Julene Elorduy è una compositrice spagnola nata a Bilbao nel 1982. Ha completato gli studi di composizione nel 2018 presso il Conservatorio Superiore di Musica di Navarra (CSMN). Si è formata sia in pianoforte classico che in pianoforte jazz presso il Conservatorio Juan Crisóstomo di Arriaga e il CSMN. Dal 2013 lavora allo sviluppo di un proprio sistema compositivo, denominato “Arborescent System of Secondary Dominants”. Questo progetto è stato riconosciuto con il CSMN's Award of Excellence in Research Opera nel 2018 e, grazie a questo, si trova tra le pubblicazioni del conservatorio. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Music Research presso l'Università Internazionale di La Rioja nel 2019. Inoltre, Julene ha una laurea in design presso la Elisava School of Design (UPF, 2004) e attualmente combina il suo lavoro di insegnamento in diversi centri musicali con la progettazione grafica dentro e fuori dal campo musicale.

Un po’ di ascolti

Lo Scherzo dall’Eroica e quello da Sogno di una notte di mezz’estate sono noti a tutti. Potete ascoltare qualcosa di insolito sfruttando qualche link in calce:

Holst G. - Scherzo uno dei lavori minori di Holst: una composizione poco conosciuta, imperfetta ed insolita, così come il compositore stesso.

Berio scomoda un bel gruppo di compositori per “resuscitarli”. Uno scherzo “che scorre placido” da ascoltare.

Shostakovich scherza con il violino.

Mozart scherza: e lo fa prendendo in giro il classicismo, le forme e i cliché (anche se non è uno Scherzo).

Rossini mette a dura prova le bande di paese.

L'artwork di 19m40s_18: Call for Scores by Marcello Corti

L’artwork completo di Nali per 19m40s_18: Call for Scores

L’artwork di 19m40s_18:Call for Scores è realizzata da Annalisa Nali Limonta. L’illustrazione è una tecnica mista su cartoncino in pezzo unico realizzato in penna a inchiostro e acquarello. Raffigura diversi volti incastrati tra loro. Il bordo superiore dell’opera è strappato dall’artista mentre i bordi inferiori e laterali sono lineari.

L’origine di questa copertina risale ad aprile 2022: durante una delle recording session presso il BlackBear studio, Marcello Corti e Sebastiano De Gennaro, dopo aver litigato per ore con il brano di Alice Hunter, stavano discutendo su a chi affidare l’art dell’uscita. Appeso a un muro dello studio c’era un piccolo disegno su cartoncino grigio raffigurante tante facce incastonate (foto sotto). L’immagine sembrava adatta a descrivere una raccolta di lavori di tanti diversi compositori, molti dei quali mai si erano incontrati, nemmeno in una registrazione.

L’artwork di Nali appeso al BlackBear Studio da cui tutto è partito

“Potrebbe essere quella la copertina!” “È un disegno che mi ha regalato Nali!” ha risposto Seba. Qualche settimana dopo, una volta approvata la scelta dalla crew al completo, abbiamo contattato Annalisa Limonta: le abbiamo chiesto il permesso di utilizzare l’illustrazione fortuitamente individuata. Nali ci ha raccontato che il disegno era nato in un momento di relax e che era stato realizzato sul retro di una scatola di gelati, non proprio il supporto più adatto: lei stessa avrebbe preferito elaborare qualcosa di nuovo che potesse dare un’evoluzione al lavoro originario ed essere più adatto ai nostri scopi.

Dal momento che abbiamo rinunciato anni fa al nostro diritto all’oblio, abbiamo scavato nel gruppo whatsapp dell’Associazione Esecutori di Metallo su Carta. Il primo screen risale al 6 maggio 2022: è esattamente in questa data che la proposta di utilizzare il lavoro di Nali viene ufficialmente approvata. Il secondo screen invece risale al 10 maggio: Sebastiano aveva inviato un piccolo spoiler del lavoro, ancora in fase di elaborazione. La copertina della 18esima uscita di 19’40’’ stava prendendo forma. La foto di Enrico è invece stata scattata ancora il 6 maggio durante l’ultima recording session al Blackbear Studio. Se guardate bene appesi al muro trovate dei pezzetti di storia di 19’40’’: la copertina ed un’illustrazione interna di Chino Goia Sornisi, la locandina di ContempoRarities del 2017 presso il Santeria Toscana 31, due illustrazioni di Nali e, sul tavolo. una lasagna vegetariana.

Meno di una settimana dopo avevamo tra le mani l’artwork che è diventato all’unanimità il progetto definitivo: sguardi diversi, potenti, a contatto ma allo stesso tempo diversi, confini netti ma condivisi, un gesto meta-illustrativo che sembra sfondare il foglio di carta per comunicare in prima persona con l’osservatore. Bello, semplice, originale e soprattutto ricco di significanti: i significati sono invece appannaggio dell’osservatore. Abbiamo realizzato una scansione ad altissima qualità per cercare di mantenere invariati i colori. Quanto in alta qualità?

Nali ha già realizzato un artwork per 19’40’’: la linea grafica di Plantasia porta infatti la sua firma. Il nuovo lavoro di Nali è stato donato dall’artista a 19’40’’: Annalisa ha deciso di lasciare il ricavato dalla vendita di questo pezzo unico alla ricerca anticlassica che Enrico Gabrielli, Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro portano avanti dal 2016. Grazie <3

Epilogo: forse siete sopresi dalla quantità di Recording Session che abbiamo dovuto tenere per questo CD. In totale sono stati quattro i giorni di sola registrazione: due programmati presso i Laboratori Testone di Tommaso Colliva, seguiti dallo splendido Carlo Madiaghele. Altri due invece presso il Black Bear Studio di Lissolo, seguiti dagli un po’ meno splendidi noi stessi. Nel booklet del libretto abbiamo riportato le diciture esatte:

Recorded at Laboratori Testone (Milano, Italy), by Carlo Madaghiele on March 28-29th, 2022

Recorded at Black Bear Studio (Lissolo, La Valletta Brianza, Lecco, Italy) by Sebastiano De Gennaro, Francesco Fusaro and Marcello Corti on April 5th and May 6th, 2022

Dettaglio della firma di Nali sul retro dell’art

Manuale di Cinematografia per dilettanti - Vol.I by 19'40"

recording session della colonna sonora del “Manuale di cinematografia per dilettanti - vol.I”

Manuale di cinematografia per dilettanti – Vol. I è il nuovo film di Federico di Corato prodotto da ENECEfilm in associazione con Lab 80 film ed è tra i cortometraggi in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia - La Biennale di Venezia 2022, nella sezione "Orizzonti".

Sviluppato durante la seconda edizione di Re-framing home movies, il film è realizzato con i filmati del Fondo Augusto Gandini (1927-1942), raccolti da Archivio Cinescatti di Lab 80 film e le animazioni di Sara Galli. Il progetto ha altresì beneficiato del "Conseil à l’écriture pour les projets documentaires" dell'associazione francese Asso Vidéadoc .

Enrico Gabrielli ha composto le musiche eseguite dagli Esecutori di Metallo su Carta. Per l'occasione l'organico, tutto rigorosamente suonato dal vivo, è composto da Sebastiano de Gennaro alle percussioni ed elettronica, Elisa La Marca alla tiorba, Giulia La Marca al liuto, Enrico Gabrielli al flauto, clarinetto e organo. Il corpus comprende 15 brani brevi, dove la commistione tra elettronica, strumenti acustici a fiato, percussioni intonate moderne e strumenti a corda tipici della musica antica genera un particolare disorientamento che a tratti si ispira al lavoro di Toru Takemitsu, compositore giapponese noto anche per le collaborazioni con Akira Kurosawa.

La collana discografica 19'40'' pubblicherà la colonna sonora del Manuale di cinematografia per dilettanti - vol.1 in una futura uscita dedicata alla musica per immagini.

Presto verranno resi pubblici i giorni e gli orari della proiezione al Lido di Venezia: update in futuro qui

Call for Scores - Capitolo 10 - Shadows di Alan Abd El Monim by Marcello Corti

Shadows è una composizione di Alan Abd El Monim scritta nel maggio 2021. L’organico prevede solo tre strumenti: clarinetto, violino e violoncello. Oltre ad una breve legenda iniziale, non sono presenti introduzioni al brano curate dall’autore. Il brano è scritto in modo estremamente ordinato e pulito.

A colpo d’occhio la nostra idea era quella di essere di fronte ad un brano spettralista: certo, un’analisi superficiale, ma decisamente funzionale. Se masticate un po’ di pianoforte, saprete sicuramente che ad un primo sguardo Beethoven è riconoscibile da Mozart, da Haydn e, naturalmente, da Chopin, Debussy, Bartok. Ogni musicista con una forte identità compositiva ha anche una forte identità visuale. Ce ne siamo resi davvero conto bandendo il nostro primo Call for Scores: le composizioni più interessanti erano anche quelle banalmente più belle, più strutturate, con più identità grafica.

Un estratto da Talea di Gérard Grisey

C’erano però alcuni elementi che mancavano, tra cui la presenza, appunto, di uno o più spettri riconoscibili. Era una via sbagliata, nonostante la suggestione iniziale. ll mancato accostamento agli spettralisti ci ha però illuminati sebben in maniera tardiva: la breve analisi che segue, cui solo il compositore potrà dare conferma o smentita, non comparirà sul libretto del cd dal momento che è stata scritta solo nel mese di Luglio. Vogliate perdonare questo terribile ritardo: siamo però sicuri che succederà ancora per cui non vi chiediamo scusa.

Ombre, Luci e rifrazione

Shadowns è diviso in quattro parti. Nella prima sezione è evidente come Violino e Violoncello altro non siano che l’ombra proiettata del suono del clarinetto: i confini più sfocati e indefiniti dell’ombra sono probabilmente dovuti all’effetto fisico della rifrazione, ricreata dal compositore attraverso il pulviscolo di gruppi di trentaduesimi. In questa sezione il compositore sembra raccontare una situazione di pieno sole, dove le ombre sono comunque nette e definite. Attenzione però: quest’immagine, frutto solo di una nostra speculazione, non sarà percepibile all’ascolto, ma solo alla vista.

Un estratto di Shadows di Alan And El Monim

Nella seconda sezione abbiamo invece immaginato una situazione di luce completamente differente: le ombre sembrano più pallide, meno profilate e più confuse. È come se un velo di nuvole avesse coperto il sole: le situazioni di non luce sono molto simili a quelle di luce: i colori e le tonalità si confondono, perdono di nitore e di conseguenza lo stesso succede ai suoni.

La seconda sezione di Shadows

La terza sezione sembra invece descrivere una situazione ancora differente: le ombre e la luce si mescolano e diventano una cosa sola. Il clarinetto è un alone che emerge di tanto in tanto da una densa coltre di buio. Abbiamo immaginato che la luce sia in questo caso completamente assente e che l’occhio dell’osservatore fatichi a distinguere aloni di oscurità all’interno di un’ipotetica notte.

La terza sezione di Shadows (più lenta, quasi come un lamento)

La quarta ed ultima sezione è invece pervasa da ombre estremamente nette e contrastate. Abbiamo immaginato alla proiezione delle sagome di alcuni oggetti durante un temporale: il fulmine proietta confini netti e improvvisi che si stagliano con precisione nel buio. Possiamo fare un passo in più immaginando che il Jeté col legno altro non sia che il rumore lontano di un tuono. Il compositore stesso sembra suggerirci questa lettura indicando come Tempo di questa sezione “Come un fulmine”.

La sezione finale di Shadows (più rapida, come un fulmine)

Nello scrivere, ci rendiamo perfettamente conto che si potrebbe scavare molto di più nel lavoro di Abd El Monim: si potrebbe andare alla ricerca delle motivazioni dietro alla scelta delle singole note, si potrebbe cercare una correlazione tra le tessiture e la condizione di luce, si potrebbe scavare nell’utilizzo delle dinamiche a conferma o smentita dell’analisi di cui sopra. Si potrebbe infine andare alla ricerca di altri significati, diversi da quello individuato, e ampliare lo sguardo analizzando i lavori precedenti del compositore. Si potrebbe.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Shadows è un brano scritto molto bene: la partitura, la notazione strumentale, la coloristica e la densità sono alcuni degli aspetti che più ci hanno colpito. Non conosciamo altra musica di Alan Abd El Monim, ma da queste poche battute traspare non solo la ricerca di un percorso individuale che conduce a risultati sonori molto interessanti, ma anche una conoscenza approfondita degli strumenti musicali.

Shadows è una composizione che fin da subito ci ha colpito per via di una sua particolare densità o, come ha detto Enrico Gabrielli durante una delle nostre riunioni, per la sua apparente monocromia. In verità solo tardivamente abbiamo potuto immaginare che questo brano altro non sia che un catalogo di ombre e quindi di luce. Pieno giorno, cielo velato, notte e temporale sono i quattro capitoli di un piccolo poema sinfonico che in tre minuti scarsi affresca con gesto bello, intelligente, scaltro e brillante un fenomeno fisico che gli spettralisti avrebbero apprezzato solo da un punto di vista scientifico.

Bravo. bravo davvero.

Chi è Alan Abd El Monim?


Alan Abd El Monim, ha studiato ingegneria del suono e musica elettronica presso il SAE institute. Ha intrapreso gli studi di Composizione sotto la guida di Massimo Botter e di Composizione per la Musica Applicata presso la Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” di Milano. Si specializza frequentando costantemente Masterclass di Composizione. Ha iniziato la sua attività come fonico collaborando con lo studio di registrazione TDMC Recording Studio e Hiroshima Mon Amour di Torino. La sua ricerca musicale e indirizzata con particolare attenzione verso la Musica Contemporanea e l'utilizzo delle nuove tecnologie, dedicandosi alla Composizione di Musica Contemporanea e alla realizzazione di musica finalizzata all'interazione tra arti. Nel 2017 ha vinto il Concorso Internazionale di Composizione Silenzio Musica. Ha collaborato con l'artista Giovanni Oberti, scrivendo due brani dal titolo “Specchi” e “Noccioli” per la mostra personale “La pelle degli oggetti” (Galleria Milano 2019), ha iniziato una collaborazione con il poeta Milo De Angelis, musicando la lirica “A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi” tratta dalla raccolta “Alfabeto del momento”. Sue musiche sono state eseguite in Rassegne e Festival fra le quali: Percorsi del Sentire – Riccione (Laura Catrani, voce); Luci d'Artista – Salerno, durante la quale ha musicato il monologo “La Maschera della Morte Rossa” commissione dell'attore Andrea Palladino.

Call for Scores - Capitolo 9 - JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi by Marcello Corti

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi

JIN:GO!LOwBAH... è una composizione per sax contralto, viola, violoncello, udu e pianoforte verticale di Vincenzo Parisi. Questo lavoro è stato concluso a Milano “in una lunga notte nel maggio 2021”: era il 19, il giorno di chiusura del nostro Call for Scores. Vincenzo Parisi nell’introduzione alla partitura, presenta il suo lavoro con queste parole:

La composizione vuole essere una trascrizione-cocktail di alcune delle più celebri versioni della canzone di origine yoruba resa famosa nel 1960 dal percussionista nigeriano Babatunde Olatunji e contenuta nell'album Drums of Passion, per l'appunto Jin-Go-Lo-Ba. Cellule ritmiche e melodiche sono state trascritte e rimescolate cercando di far sì che l'inusuale organico di destinazione potesse riportare alla luce certi atteggiamenti sonori tipici del materiale di partenza pur in una nuova veste strutturale.

Le versioni da cui si è preso spunto sono:

- Babatunde Olatunji, Jin-Go-Lo-Ba, 1960
- Serge Gainsbourg, Marabout, dall'album "Gainsbourg Percussions", 1964
- Carlos Santana, Jingo, dall'album "Santana", 1969
- Fatboy Slim, Jin Go Lo Ba, dall'album "Palookaville", 2004

Un estratto della partitura di JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi

Nella copertina del brano inoltre Parisi si diverte a creare una Inception di trascrizioni dicendo che il brano in oggetto altro non è che Vincenzo Parisi's transcription of Fatboy Slim's transcription of Carlos Santana's transcription of Serge Gainsbourg's transcription of Babatunde Olatunji's transcription of Yoruba Traditional Song "Jin Go Lo Ba".

Partitura alla mano, a noi di 19’40’’ è sembrato immediato dire che JIN:GO!LOwBAH... è un Petit Concert per Udu ed ensemble in movimento unico. Questo particolare strumento a percussione sembra infatti essere il perno di tutto: Parisi stesso ne indica la collocazione nelle indicazioni iniziali prevedendo l’udu al centro, quasi fosse un pianoforte. Parisi è costretto a fare i conti con la dinamica tutt’altro che esplosiva dell’udu: la scrittura è molto attenta a valorizzare questo strumento elevandolo dalla suo naturale ruolo di accompagnamento fino a quella di solista.

Parisi esplora la notazione dell’udu e rivoluziona quella del Sax alto eliminando il pentagramma ed inserendo una lunga sezione notata su trigramma. La motivazione di questa elisione momentanea di righe è una delle nostre preferite: la comodità. L’intera partitura infatti è di facile accesso, di facile lettura e di facile comprensione: sono tutti sintomi di grande qualità compositiva e grande conoscenza degli strumenti musicali. Se poi sia anche di facile esecuzione, lo scopriremo nei primi giorni di febbraio.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Innanzitutto per l’udu: uno strumento decisamente insolito ma dalle ampie potenzialità. Sebastiano De Gennaro ne parla in questo video didattico realizzato nel maggio 2020. Il compositore sembra divertirsi scambiando di ruolo il pianoforte e l’udu: se il tamburo diventa solista, il pianoforte si fa macchina ritmica, batteria, accompagnamento a suoni determinati ma non troppo. Più di tutto ci ha convinto il grande pensiero che c’è dietro a JIN:GO!LOwBAH... . Parisi scava tra diverse stratificazioni storiche alla ricerca di elementi comuni, di caratteri distintivi e di segni particolari. Ricostruisce poi una fototessera che, più che catturare l’impressione del brano originale, ne dona una visione cubista, multiprospettica, multispaziale e, se vogliamo dirla tutta, anche multitemporale. È come se Rick&Morty avessero scelto di utilizzare la pistola dimensionale per riascoltare JIN:GO!LOwBAH... sovrapponendo alcuni dei diversi ed infiniti multiversi possibili.

Fantascienza? Divertimento? Pastiche? Non lo sappiamo, ma sappiamo che JIN:GO!LOwBAH... sarà uno splendido punto di incontro tra la musica colta contemporanea e le orecchie del nostro pubblico. Poi che cosa significhi musica colta noi non lo abbiamo ancora capito: forse tra qualche articolo, sciolte le dita e oliato il cervello, oseremo addentrarci in questo genere di disquisizioni.

Parisi inoltre con JIN:GO!LOwBAH... rivela di essere un inguaribile romanticone. Non in senso affettivo, ci mancherebbe, ma in senso strettamente musicale. Vincenzo racconta viaggi, racconta ricordi, racconta storie proprio come quel vecchietto rannicchiato ad un crocicchio di un piccolo paese austriaco: costui, dopo aver attraversato distese innevate e tempestose, dopo aver parlato con un corvo ed essere stato scacciato come un cane, si siede all’angolo della strada e suona il suo organetto.

Parisi sembra condensare in poco più di tre minuti un viaggio, tutt’altro che invernale, che muove i primi passi dalla profonda Nigeria e giunge al qui ed ora. Nelle ultime misure del suo piccolo grande lavoro, ci immaginiamo il compositore stesso all’angolo di una strada con in bocca un vecchio sassofono della Orsi, da ritamponare. Con nostalgia ripete incessantemente quelle poche note oramai entrate, contaminazione dopo contaminazione, a far parte della cultura umana. Ci guarda dal suo cantuccio e tra le gambe possiamo scorgere non un’organetto, ma un udu. Ci avviciniamo e riflettiamo un istante se domandare “Wunderlicher Alter, soll ich mit dir geh'n? Willst zu meinen Liedern deine Leier dreh'n?”, o se augurargli un semplice “Do not worry”.

Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Cos’è l’udu in tre parole? È un tamburo senza membrane, una via di mezzo tra un idiofono ed un aerofono. Si presenta come un vaso di terracotta con un foro in più sul lato ed è originario della Nigeria. Si suona con una o due mani giocando sull’apertura più o meno completa dei due fori. Anche se è possibile avvalersi anche dell’utilizzo di una bacchetta lignea per avere un timbro ulteriore con cui giocare, l’udu si suona principalmente con le dieci dita. In Italia il più grande contributo alla fama dell’udu è stato dato da Fabrizio Jermano: lo potete ascoltare nella canzone di Fabrizio De Andrè “Le acciughe fanno il pallone”.

Nonostante l’udu sia uno strumento conosciuto dai percussionisti, il suo utilizzo nella musica colta contemporanea (vedi sopra) sembra comunque marginale se non completamente assente. Online ci sono delle piccole comunità. Ci siamo divertiti a cercare qualche registrazione vera dove fosse possibile ascoltare l’udu all’opera. Ne abbiamo trovate poche tra cui:

Evelyn Glennie: Her Greatest Hits
Evelyn Glennie
RCA Victor, 1997
Evelyn Glennie, percussionist
“Sorbet No. 3: Udu Trail” 1:55

Ghatam
Antenna Repairmen
M-A Recordings, 2000 (recorded 1995)
Robert Fernandez, M.B. Gordy, Arthur
Jarvenin, percussionists
“Ghatam” 51:02

Percussive Voices
Brian Melick
Hudson Valley Records, 2001
Brian Melick, percussionist
Shell Shock” 7:45
Udu Trance” 7:32
Conversations” 3:25

Planet Drum
Mickey Hart
Ryko, 1991
Udu Chant” 3:40
Sikiru Adepoju, Mickey Hart, Zakir Hussain, Airto Moreira, percussionists

Di opere per udu pubblicate non ce ne sono molte: Robert J. Damm, ha composto Udu Dances per udu solo per la Steve Weiss Music. Damm ha naturalmente dovuto confrontarsi con la notazione dell’udu scegliendo, a differenza di Parisi, di sfruttare un pentagramma. Restiamo aperti a suggerimenti da parte vostra su ascolti e partiture che ruotano attorno all’udu. Sarebbe bello poter abbinare al brano di Parisi, un MIXTAPE per avvicinare gli ascoltatori al suono, al mondo di questo noto ma non troppo strumento a percussione.

Attorno all’udu sembra comunque che ci sia una folta community di appassionati: tra questi si possono incontrare musicisti e costruttori. Uno di questi è Frank Giorgini: è considerato l’inventore dell’udu moderno. Giorgini haa appreso la tecniche tradizionale della ceramica nigeriana da Abbas M. Ahuwan nel 1974. Nel corso degli anni ha sviluppato molte innovazioni di design, ricerca sui materiali e diverse tecniche di cottura migliorando la qualità del suono, la durata e la versatilità di questo strumento. Frank ha introdotto l'udunegli Stati Uniti e attraverso i suoi sforzi il suono dell'uduha influenzato la musica moderna su scala globale. Alcuni udu realizzati da Frank Giorgini sono stati inseriti nella collezione permanente del Metropolitan Museum of Art di New York nel 1985.

Chi è Vincenzo Parisi?

Parisi in uno scatto di Stefano Michelin

Brillantemente diplomato in pianoforte sotto la guida di Irene Schiavetta, Vincenzo Parisi ha studiato lungamente con Massimiliano Damerini. Si è perfezionato inoltre con importanti pianisti contemporanei quali Aquiles Delle Vigne (Universität Mozarteum, Salzburg), Andrea Lucchesini, Antonio Ballista, Boris Petrushansky.

Ha studiato composizione prima con Fabio Vacchi e attualmente presso il Conservatorio “G. Verdi” con Mario Garuti. Ha studiato inoltre con Salvatore Sciarrino, Ramon Lazkano, Francesco Filidei, Mauro Lanza, Mark Andre, Gabriele Manca, Mauro Bonifacio (Accademia Filarmonica di Bologna).

Vincitore del 1° Premio al Concorso di Composizione del Conservatorio “G.Verdi” di Milano 2021.

Vincitore del 1° Premio al Concorso Internazionale “Jorge Peixinho” 2021 a Lisbona indetto dal Grupo de Musica Contemporanea de Lisboa.

Finalista al Concorso Internazionale “Macerata Opera Festival 2019” per la scrittura di un’opera di teatro musicale insieme alla regista Hannah Gelesz.

La sua musica è stata diretta da importanti direttori quali Yoichi Sugiyama e Rui Pinheiro, ed eseguita da prestigiose compagini musicali quali Barcelona Modern Ensemble, Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano, mdi ensemble, Grupo de Musica Contemporanea de Lisboa, e da altri musicisti di riconosciuto talento quali Silvia Giliberto, Stefano Grasso, Sahba Khalili Amiri, Irina Ghiviér, Carolina Santiago, Francisco Martì Hernandez (Syntagma Piano Duo).

Trasmesso in diretta nazionale radio su Antena2 in Portogallo nell’ottobre 2021, il suo quintetto dal titolo “Fulmine randagio” è edito dalla casa editrice portoghese AVA Musical Editions.

Fondatore della rockband Kafka On The Shore, si è esibito in qualità di tastierista in più di 200 concerti in tutta Europa con l’album “Beautiful But Empty” (La Fabbrica Etichetta Indipendente), ha collaborato e si è esibito con artisti della scena musicale rock/pop italiana fra i quali Nicolò Carnesi, Gianluca De Rubertis (Il Genio), Lodo Guenzi (Lo Stato Sociale), Francesco De Leo, Chiara Castello.

Nel maggio 2020 ha pubblicato l’album “Zolfo” (Piano B Agency), comprendente composizioni per pianoforte solo ispirate a canti antichi siciliani da lui stesso eseguite e registrate nel quartiere di Ballarò, Palermo.

E’ laureato in Economia per Arte Cultura e Comunicazione presso l’Università “L.Bocconi”.

Biografia consigliata sull’udu

Agu, Joe. (1998). Udu Magic: The Art of Udu Drum Playing [video]. Sunnyvale, CA: Rhythms Exotic Afro Percussions

Akpabot, Samuel. (1975). Ibibio music in Nigerian culture. East Lansing, MI: Michigan State University Press

Nicklin, Keith. (1973). “The Ibibio Musical Pot.” African Arts, USA VII (1), 50–55

Call for Scores - Capitolo 8 - TARKUS Eruption/Aquatarkus di Fabio Cuccu by Marcello Corti

TARKUS Eruption/Aquatarkus di Fabio Cuccu

Tarkus è un brano di Fabio Cuccu composto nel 2021. L’organico prevede flauto traverso e ottavino, clarinetto basso, pianoforte, violino, violoncello ed un ampia sezione di percussioni con un solo esecutore: xilofono, marimba, vibrafono, due piatti sospesi, tre tom, un tam-tam e un timpano da 29’’. Tarkus è stato selezionato tra i brani che hanno partecipato al CfS2021 nella categoria trascrizioni. Nelle note introduttive, è Cuccu stesso a spiegare il suo lavoro:

Dalla suite degli Emerson, Lake and Palmer è stata estratta la cornice strumentale che apre e chiude il brano: "Eruption" (senza l'introduzione in fade in di circa 30") e la coda conclusiva di "Aquatarkus", per una durata totale di circa 3 minuti e 20 secondi.

Si è scelto di utilizzare una formazione interamente acustica e di adattare il più possibile l'originale alla scrittura tipica dell'ensemble da camera. Per questo motivo molte dinamiche si discostano dalla sorgente, a favore della varietà timbrica e dei contrasti tipici di questo organico.

In questo senso l'arrangiamento si pone come un'operazione parallela a quella compiuta da Keith Emerson coi The Nice gli ELP nei confronti della musica colta del Novecento.

Le ultime battute di Tarkus a firma Fabio Cuccu

La trascrizione è sempre un terreno molto pericoloso: all’interno di un organico nuovo occorre trovare un equilibrio che possa valorizzare e non penalizzare l’originale. Una simile operazione è ancora più delicata per via del cambio di registro che l’atto della trascrizione porta in sé. In generale il problema che Cuccu affronta è quello che Carlo Boccadoro, nel suo libello Analfabeti sonori: musica e presente descrive come una delle grandi sfide della contemporaneità.

Trovare dei fili tra linguaggi differenti, saper sintetizzare una sostanza musicale diversa scegliendo l’essenziale ed eliminando il superfluo da musiche che apparentemente non avrebbero nulla in comune: questo è certamente possibile ma richiede un lavoro intellettuale estremamente complicato e faticoso, dove la possibilità di riuscite finali non sono numerose.

La copertina del libello di Carlo Boccadoro, prezioso e alla portata di tutti.

Il lavoro del compositore in questo caso sembra pienamente riuscito. La partitura realizzata da Cuccu è davvero ben scritta: ci immaginiamo il timbro graffiante del clarinetto basso, distorto senza distorsore, amalgamarsi pienamente con il calore degli archi. Ci divertiamo a riflettere su che tipo di sonorità cercare con il flauto traverso, se più JethroTulliana o più aderente all’estetica classica. Nel frattempo sentiamo il sapore lontano di quella libertà musicale tanto, troppo lontana dall’accademia e da quei barattoli vuoti di conserve dal sapore impreciso.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

TARKUS ci ha convinto per due motivi opposti: Cuccu sceglie di salvare un capolavoro del progrock dall’intecamento forzato e lo riporta in vita sotto una nuova veste: ne fa rivivere la complessità, la bellezza, ne mette in risalto nuovi aspetti e nuovi chiaroscuri e lo strappa da uno spaziotempo oramai vicino alla musealizzazione. Allo stesso tempo, l’operazione di Cuccu è aderente allo spirito di Progetto Generativo e quindi di 19’40’’: La prima pubblicazione dell’etichetta discografica più anticlassica d’Italia è infatti una raccolta di trascrizioni per ensemble di brani indipendenti.

Nella playlist di progetto generativo si poteva (e si può: il CD è ancora in vendita sul nostro portale) ascoltare musica di Bologna violenta, Julie’s Haircut, Zu, Zeus! e altri gruppi del sottobosco indie nazionale, trascritti dalla mano di Enrico Gabrielli. Un Progetto Generativo vol.2 potrebbe idealmente includere non solo Emerson, Lake & Palmer, ma anche Genesis, Yes, King Crimson, Gentle Giant, Van der Graaf Generator, Jethro Tull e, perché no, anche i Pink Floyd.

Per citare Enrico Gabrielli: “cosa ce ne facciamo di una ulteriore esecuzione della Settima di Beethoven? Abbiamo bisogno di altro”.

Chi è Fabio Cuccu?

Fabio Cuccu (volete ascoltare qualcosa di nuovo, di suo e di bello? cliccate qui) è nato a Sassari nel 1995. Cresce circondato di stimoli musicali grazie alla madre cantante, ma non riceve nessuna educazione formale durante l'infanzia. Dopo aver ascoltato i Black Sabbath all'età di 12 anni, impara a suonare la chitarra elettrica da autodidatta e inizia fin da subito a orientarsi nell'improvvisazione e a scrivere canzoni. fonda un gruppo progressive rock nel 2010, del quale è tuttora chitarrista, tastierista, cantante e coautore di testi e musica. I suoi interessi lo spingono a voler approfondire altri generi, dal jazz fusion alla musica tuvana, fino ad arrivare alla musica classica.

A 19 anni decide di intraprendere gli studi di Composizione in conservatorio: fondamentale la guida del maestro Alberto Colla, con il quale ha studiato dal 2014 al 2019. In questo periodo vengono eseguiti i suoi primi lavori, tra cui due composizioni per ensemble nel 2018 e il primo brano per orchestra sinfonica nel 2019. Parallelamente continua a lavorare al progetto progressive rock e pubblica un album autoprodotto nel 2019 e un singolo nel 2021. Dal 2020 studia con Marco Quagliarini con cui ha conseguito Diploma Accademico di I livello. Sta proseguendo gli studi del Diploma Accademico di II livello di composizione con Mario Pagotto a Trieste.

Call for Scores - Capitolo 7 - PER ASPERA AD RVSPA di Matteo Minotto by Marcello Corti

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

PER ASPERA AD RVSPA di Matteo Minotto

PER ASPERA AD RVSPA, rigorosamente scritto in maiuscolo, quasi fosse un’incisione su una pietra miliare, è una composizione di Matteo Minotto. L’organico scelto è flauto, clarinetto, percussioni, pianoforte, violino e violoncello. Il brano è suddiviso in quattro sezioni: nelle misure introduttive, Minotto espone in modo disordinato e (apparentemente) casuale il materiale tematico che verrà ripreso successivamente. La tenue e dolcissima melodia esposta dal clarinetto nella seconda sezione viene accompagnata da violentissimi strappi dal carattere percussivo, decontestualizzanti e senza ragione. La terza sezione è un delicato ed espressivo momento di lirismo arricchito da rumorosi respiri, chiaro segno di compartecipazione interpretativa da parte degli esecutori coinvolti non all’esagerato romanticismo della musica, bensì all’attitudine a tratti insopportabile degli affettatissimi patinati interpreti dei grandi cartelloni.

Minotto alterna sprazzi di tonalità e di follia in un brano che Milano Musica, spostati. Tra le righe sembra essere inciso a caratteri cubitali: “non siate seri, che se avessimo voluto esserlo, a quest’ora saremmo tutti quanti commercialisti”. Il brano di Minotto è istintivo sia nella concezione che nella scrittura ma, nonostante questo, il risultato è perfettamente eseguibile e non ha difetti dal punto di vista organologico.

Abbiamo trascorso alcuni quarti d’ora ad interrogarci se RVSPA facesse riferimento al mezzo meccanico (per noi in prima declinazione femminile e quindi all’accusativo singolare RVSPAM e al plurale RVSPAS. Nella fattispecie si tratterebbe di un ablativo) oppure al rospo (da RVSPUM, sostantivo neutro tardo-latino con scarsa documentazione ma in questo caso correttamente declinato all’accusativo plurale). Dopo qualche elucubrazione, abbiamo deciso di rinunciare lasciando il dilemma aperto, sicuri che nessuno (incluso lo scrivente) avrebbe sentito la mancanza di una simile disputa linguistica. Restiamo comunque aperti a qualsiasi suggerimento i nostri lettori vogliano inviarci attraverso i nostri canali social.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Ci piace la libertà di Minotto, ci piace il suo senso dell’umorismo di confine, ci piace la contaminazione stilistica, ci piace il suo non essere etichettabile o riconducibile ad altro o ad altri. Ci piace l’idea di poterci divertire facendo i musicisti senza, per una volta, indossare tunica, casacca, barba e papalina. Nella musica e nel percorso di Matteo Minotto, forse per via della sua visione dissacrante nei confronti di tutto quello che profuma di accademia, vediamo un po’ di noi stessi .

La nostra parte preferita di PER ASPERA AD RVSPA

Inoltre PER ASPERA AD RVSPA rientra appieno in quel percorso che 19’40’’ sta compiendo: dare voce a compositori non inseriti nei grandi cartelloni nazionali ed internazionali della musica colta contemporanea. Abbiamo bisogno di altre esecuzioni di Metamorphosis? E’ necessaria un’altra incisione di Professor Bad Trip? Ha senso replicare cartelloni già rodati riproponendo accostamenti? Forse sì, ma lo lasciamo fare a chi è più bravo di noi nel raccogliere fondi.

Chi è Matteo Minotto?

Dice Minotto:

Sono diplomato a mia insaputa in fagotto (io da grande avrei voluto suonare i timpani). Mi destreggio quindi tra precariato e frustrazione nella speranza di diventare un giorno uno statale ma con un futuro probabilmente agreste, vista la regione da cui provengo. Scrivo musica sin dall’adolescenza per i miei progetti musicali dove ho suonato come percussionista e fagottista (Friedrich Micio, 3sacchetti, Franzoni!), collaboro con “Musica per Bambini” (Manuel Bongiorni) da qualche tempo e altri cantautori semi sconosciuti della scena locale veneta (Ornello, Marcho’s, Alberto Gesù). Penso erroneamente di insegnare ma in realtà sono io che imparo dai miei allievi, ciò nonostante tengo da qualche anno il corso di “creatività musicale” nell’ambito della rassegna “Gioie musicali” ad Asolo TV. Sto per presentare una serie di performance anfibie tra le quali “TUBI” che uscirà a breve. Ho scritto musiche per alcuni spettacoli teatrali della compagnia “Stivalaccio teatro” di Vicenza. Non ho purtroppo studiato, neppure in maniera non accademica, composizione e me ne dolgo o forse no. Ho una particolare propensione per il rumore, ma forse sono solo acufeni. Salto a piè pari la lista della spesa degli ensemble con cui ho suonato, di PPP (prolunghe per pene) non ce n’è bisogno.

19'40'' a Roma per il D'UVA di Firenze by 19'40"

Giovedì 26 Maggio alle ore 19:15 presso la Basilica di San Lorenzo in Lucina, Roma, Yoko Morimyo e Damiano Afrifa eseguiranno le musiche di Enrico Gabrielli composte per l’audioguida “Da Turista a Pellegrino”. L’evento vede la partecipazione straordinaria di Monica Guerritore, voce narrante dell’audioguida.

È possibile partecipare alla presentazione confermando la propria presenza a marketing@duva.eu .

L’invito alla presentazione dell’audioguida


SLEEPING CONCERT alla Centrale Fies by Marcello Corti

19’40’’ sarà in concerto il 28 Maggio 2022 presso la Centrale Fies di Dro in occasione di Un Weekend Cannibale da Sogno.

Cos’è un Weekend Cannibale da Sogno?

Un weekend cannibale da sogno nasce dalla collaborazione tra Centrale Fies e Francesca Pennini/CollettivO CineticO in un’ottica di ampliamento del percorso attuale di ricerca della coreografa. Al centro del programma, che si articola in durational performance, coreografia, foraging, yoga, installazioni, è la presenza del corpo, i suoi stati biologici e fisiologici, le sue alterazioni e la sua virtualità, la sua resistenza e la sua trascendenza, viste come terreno su cui incontrarsi, respirare, mangiare, dormire e sognare, dove muoversi o stare assolutamente immobili. Un luogo per virtuosismi improbabili nascosti nelle funzioni dell’esistenza più semplici e dunque vertiginose. Corpi che si immergono nella natura recuperando tradizioni antiche per riconoscere ciò che è cibo, in piccoli atti di resistenza all’imprinting capitalistico. Corpi che si addormentano nei sogni collettivi degli sleeping concerts, che assaporano cibi ripensati come esperienze creative, che si trasformano grazie a pratiche respiratorie che diventano metamorfosi alchemiche. 

Quando?

Un Weekend Cannibale da Sogno 26-27-28-29 MAGGIO 2022
Sleeping Concert: 28 MAGGIO 2022 dalle 24 alle 6. A seguire colazione

Dove?

Centrale Fies, Dro, TN

Centrale Fies è un centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. É situato all’interno di una centrale idroelettrica di inizio novecento, in parte ancora attiva, proprietà di Hydro Dolomiti Energia.

La performance di 19’40’’

Il sonno presenta un'alternanza regolare di fasi non-REM e REM costituita da cicli di durata simile tra loro. Ognuno di questi cicli è caratterizzato da un'attività cerebrale traducibile in onde con frequenze specifiche. Il nostro Sleeping Concert è organizzato utilizzando le caratteristiche di queste fasi; le diverse sezioni sono fondate sulle diverse frequenze d’onda che le contraddistinguono. L’ipnogramma (il grafico che rappresenta le fasi del sonno in funzione del tempo) è la nostra partitura musicale. Il trio composto da Francesco Fusaro, Alberto Ricca e Sebastiano De Gennaro utilizza due laptop, strumenti percussivi come vibrafono, piatti o gong, elementi vocali ed una diffusione in quadrifonia per calare i partecipanti in una immersione ipnagogica in cui tanto il sonno quanto l'ascolto possano essere profondi.

Artisti

Sebastiano De Gennaro, percussionista di formazione classica, da vent’anni uno dei più importanti musicisti italiani, in magico equilibrio fra tecnica e invenzioni dell’immaginazione. Ha lavorato al fianco di importanti artisti del panorama nazionale e internazionale da Terry Riley a Vinicio Capossela passando per L’orchestra Nazionale della Rai ed incidendo più di settanta dischi

Alberto Ricca (Bienoise), compositore attratto dagli elementi non-musicali, da computazione e contemplazione. È considerato da molte riviste specializzate uno dei migliori musicisti elettronici italiani, i suoi dischi sono pubblicati dall’etichetta di culto tedesca Mille Plateaux. È fondatore della Label di improvvisazione radicale Floating Forest

Francesco Fusaro, DJ resident di NTS Radio, musicologo e musicista elettronico. Ha pubblicato musica con il suo vero nome e altri moniker per diverse etichette indipendenti, fra le quali MFZ Records, di cui è co-fondatore e label manager. Per Norient ha recentemente curato la raccolta di saggi Sonic Traces: From Italy

Francesco Fusaro 19'40''

Un'ora di Musica Razionale by Marcello Corti

Il 13 Aprile 2022 Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro sono andati a Radio Raheem per parlare di Musica Razionale. Ne è uscita una splendida passeggiata di fronte ad un panorama mozzafiato: numeri, musica e contaminazioni. Radio Raheem ha reso disponibile l’intervista per intero sul suo sito: è possibile vedere l’intervento in formato audio o in formato video.

Cos’è Radio Raheem?

Radio Raheem è un editore e media indipendente che si esprime innanzitutto come web radio. Oltre ad occuparsi di musica, si occupa di tutti quegli aspetti che rendono il fatto culturale interessante. La Radio trasmette dalla Triennale di Milano, uno dei luoghi più significativi per il design e la cultura contemporanea non solo di Milano ma del mondo.

Cosa abbiamo fatto a Radio Raheem?

Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro hanno parlato non solo di Musica Razionale, l’imminente uscita di 19’40’’, ma hanno anche condotto con mano gli ascoltatori attraverso composizioni in un modo o nell’altro riconducibili alla composizione matematica. Se volete approfondire il percorso e ripulirvi le orecchie da Musica Spirituale, è l’occasione giusta: abbiamo ricostruito la tracklist della serata e ve la proponiamo volentieri.

Playlist

Franco Battiato L’egitto prima delle sabbie da Musica Spirituale (perf. Damiano Afrifa)
György Sándor Ligeti Poème symphonique
Sebastiano De Gennaro Congettura Collatz da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)
Robert Schneider Reverie
Sebastiano De Gennaro Lo Shu da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)
Giovanni Albini Una teoria della prossimità (exc)
Sebastiano De Gennaro Farey da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)

Quando esce Musica Razionale?

I nostri abbonati riceveranno Musica Razionale in formato digitale alle 19:40 di Domenica 17 Aprile 2022. La copia fisica della registrazione, in tiratura limitata a 200 copie numerate, giungerà nelle case degli abbonati attorno a questa stessa data. Se volete maggiori informazioni, potete sempre scriverci.

Call for Scores - Capitolo 6 - Dither, Flourish, Dissolve di Alice Hunter by Marcello Corti

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

DITHER, FLOURISH, DISSOLVE di Alice Hunter

Dither, Flourish, Dissolve è un brano per Flauto Basso, Clarinetto Basso, Percussioni, Sintetizzatore, Violino e Violoncello composto da Alice Hunter. La compositrice scrive in modo specifico per il Roland JUNO-6, strumento indicato come tra i possibili nel bando del CfS2021. La partitura è corredata da un’illustrazione intitolata “Dissolve me” realizzata da Dàniel Taylor (potete vedere i suoi lavori qui). Le percussioni presenti in partitura sono un timpano da 29, tam-tam, vibrafono ed un piatto sospeso da 20’’.

Il frontespizio di Dither, Flourish, Dissolve con l’immagine di Dàniel Taylor

Alice inserisce una nota che recita quanto segue:

.....Being timeless at times, the whale song at the start begins an exploration into the outcome of a choice made; dithering, flourishing or dissolving. The words from Helen Faulkner, founder of Ocean Heart, "whale sounds in particular seem to really affect people. It gives you a great sense of stillness and peace. It's very comforting,” seem to frame this composition. It’s a composition of strength in working with people, even though they can seem distant, to help grow to the next stage. Instrumentalists are encouraged to space ‘Dither, Flourish, Dissolve’ according to the instrumentalists around them, working as a team to grow to shape the work.

Segue una densa legenda dove con precisione vengono spiegati non solo la notazione e gli effetti sonori ricercati, ma anche il setup del JUNO-6: la partitura è corredata di un ricco apparato di immagini in cui niente è di troppo e niente è tralasciato.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Lo ammettiamo: ci siamo inteneriti. Alice, con delicatezza, ha deciso di aprire la partitura con una dedicatio:

Dither, Flourish, Dissolve was composed in April 2021 for the EdMsC Call for Scores

Non solo Dither, Flourish, Dissolve è un brano pensato, scritto e impaginato con cura, con amore, con bravura e con intelligenza, ma è stato pensato proprio per il nostro ensemble e ne porta il segno. Ma non ci sarebbe nessuna tenerezza, nessuna commozione se dietro alle mielosità tanto gradite, non fosse celata tanta, ma davvero tanta sostanza.

Dither, Flourish, Dissolve è una di quelle composizioni davvero entusiasmanti. La struttura del lavoro è evidentemente tripartita. Dither e Flourish sono le due sezioni più corpose ed elaborate mentre Dissolve occupa l’ultima pagina della partitura. La composizione sembra prendere il via da un particolare suono generato da un piatto sospeso posto, rovesciato, sopra un timpano. Anche solo immaginando la resa sonora, siamo immediatamente trasportati all’ascolto di un timbro nuovo, forse marino: il cupo risuonare del metallo sulla pelle richiama il timbro di una balenottera azzurra e, sebbene il brano non abbia particolari riferimenti alla sfera acquatica, a noi piace lasciarci suggestionare in questa direzione, forse traviati dalla nota introduttiva.

L’impasto timbrico tra ensemble e synth è imprevedibile: solo il giorno dell’incisione ne avremo contezza. Di fatto la Hunter suggerisce quale sarà la resa sonora indicando, ad esempio, come rich triangle wave sound il primo setting del Juno6: ci aspettiamo un suono avvolgente con tantissimo attacco e tantissimo sustain, un suono in grado di avvolgere il timbro degli strumenti analogici e di creare un impasto davvero unico.

La notazione del JUNO6

Il difficile primo cambio di setting è agevolato da una sezione di semplice noise ed il secondo suono, più articolato e netto e soprattutto sagomato sotto forma di arpeggio, riporta immediatamente ad una sonorità che sprizza anni ‘80 da tutti i pori. Il terzo suono ricorda invece una marimba ed è forse per questo più prevedibile: inizia la seconda sezione della composizione, il flourish. L’ensemble si appoggia allo sviluppo ritmico in accelerando dell’arpeggio: idealmente il brano non dovrebbe prevedere la presenza di un direttore. Il tactus viene preso dalle oscillazioni del synth o da segnali convenuti in ensemble. Ai fini della registrazione, è però probabile che decideremo di avvalerci di un gesto direttoriale per agevolare la costruzione del brano.

Il processo di fioritura conduce fino alla presenza di una melodia che porta evidenti segni di tonalità: quasi a voler disturbare Talea, all’interno degli spettri parziali del sintetizzatore sembrano comparire petali leggeri e profumati. È però solo un breve accenno: la fioritura viene sollevata verso l’alto dal glissando degli archi e si dissolve, dando il via all’ultima sezione del brano. I suoni, i colori e le emozioni (sì, crediamo che sia un brano emozionante) sembrano evaporare e scomparire. Nell’ultima facciata del brano gli strumenti analogici si disperdono nell’aria mentre il sintetizzatore sprofonda nelle oscurità più buie.

Alice Hunter last page

L’ultima pagina di Dither, Flourish, Dissolve.

Sono belli i colori, cupi, profondi e soprattutto tanti. La lettura è di immediata comprensione probabilmente per favorire un processo di esecuzione il più possibile condiviso e basato sull’ascolto. La struttura non è solo visibile, ma anche percepibile. Sebbene eseguire Dither, Flourish, Dissolve dal vivo possa essere una sfida tutt’altro che facile, al contrario, il suo ascolto ne risulterà sicuramente immediato e gradevole: anche il pubblico meno avvezzo ai grandi cartelloni della contemporanea saprà apprezzare il lavoro splendido della Hunter.

Chi è Alice Hunter?

Alice Hunter è una compositrice inglese. È conosciuta per la sua musica complessa e riflessiva che sfida le convenzioni attraverso l’invenzione di progressioni armoniche, attraverso tecniche strumentali estese e frasi melodicamente esplorative. Il percorso compositivo di Alice muove i suoi passi dallo studio del clarinetto, del violoncello e delle percussioni unito all’amore per le tradizioni culturali in continuo cambiamento, al fatto psicologico ed al progresso nella moderna quotidianità.

Alice ha studiato alla Guildhall Music and Drama, University of Surrey e ha conseguito il MA in composizione presso la Royal Academy of Music studiando con Peter Maxwell Davies, Oliver Knussen, Harrison Birtwistle, Tansy Davies e Edmund Finnis.

La sua musica è stata eseguita in festival di tutto il mondo come il Kaleidoscope Musarts Echoes of time 2020 a Miami, o presso il ‘British and Armenian vocal music’ a Yereva. Oltre a numerosi premi e riconoscimenti, la musica di Alice Hunter è stata eseguita dalla Bournemouth Symphony Orchestra, dal CHROMA ensemble, Rolf Hind, e Zubin Kanga.

CONSIGLI DI LETTURA DA 19’40’’ Fiorenzo Carpi Ma Mi - Musica Teatro Cinema Televisione - #2 /March 21, 2022 by Enrico Gabrielli by Enrico Gabrielli

Fiorenzo Carpi Ma Mi Enrico Gabrielli

“Dichiaro che Fiorenzo è grande e io sono colpevole di non averglielo detto”, dice un biglietto autografo di Giorgio Stehler posto a pagina 166 (la penultima) di questo bellissimo libro. Con questa frase io non avrei resistito alla tentazione di aprirci il libro. Invece il fatto che sia stata messa in fondo dagli autori è un gesto che probabilmente meglio interpreta l’umiltà dichiarata del M° Carpi.

Nel libro, infatti, emerge prima di tutto l’uomo perché questo non è un tipico testo musicologico, ma sembra la testimonianza affettuosa e amorevole di persone che gli erano spiritualmente vicine, che lo avevano visto lavorare e che avevano conosciuto l’indole peculiare della persona.

Si parla di un’infanzia felice a Milano in una famiglia di artisti dove il padre Aldo (1886-1973) era un importante pittore e uno dei fratelli, il Pinin (1920-2004), sarebbe divenuto un celebre autore di libri per l’infanzia (si consiglia il bellissimo Cion Cion Blu).

Si racconta di come i fascisti nel 1944 deportarono il padre in un campo di sterminio dove continuò a dipingere come risposta civile alla barbarie (da qui il libro Diario di Gusen). Si parla molto dell’inizio di tutto ciò che un giorno sarà Fiorenzo.

Leggendo questo libro si può meglio capire da dove proveniva quel sano eclettismo che caratterizzerà la sua curiosità e che gli consentirà di muoversi con disinvoltura tra la pura composizione, la colonna sonora, la musica di scena, la canzone e l’arrangiamento.

Dopo il diploma di composizione conseguito nel travagliato luglio 1945 (leggo tra i firmatari Bruno Bettinelli, che incontrai personalmente nel 1995 durante la mia fase di incerto apprendistato al Conservatorio di Milano), incontrerà Roberto Lupi un curioso compositore (sua era la sigla della chiusura dei programmi RAI in uso fino al 1986) che nel 1946 aveva esposto il concetto di “armonia gravitazionale”, una teoria che partiva da leggi fisiche di generazione e di interrelazione dei suoni (è possibile leggerne qui).

Vi è un frammento autografo di esercizi di armonia gravitazionale con titolo “Colonne cosmiche adoperate per le Varianti”.

In questo libro vi è un bellissimo corredo di partiture autografe, lettere e fotografie. Ad esempio c’è una lettera a firma Luciano Chailly con data del 1970 che si congratula con Carpi per il primo atto de “La porta divisoria” e che propone di metterla in programma al Teatro La Scala nel settembre 1971. A quanto ho desunto l’opera in questione, che è un libero adattamento su libretto di Strehler de La Metamorfosi di Kafka, non fu mai completata e dunque mai rappresentata.

Con la storia di Carpi vi è la storia del dopoguerra milanese e del suo teatro. Qui viene riportata una sua testimonianza diretta a proposito della fertile collaborazione con Strehler: “Giorgio mi illustra un po’ l’idea, l’impostazione della regia dello spettacolo, spesso non in gran dettaglio. […] Io partecipo quasi sempre alle prove, mi aiuta. Non faccio mai le musiche prima, ogni volta che posso, le faccio durante il corso delle prove. Aiuta una musica pensata contro piuttosto che pensata per la situazione”.

“Per scrivere musica per il teatro” continua Carpi “un musicista deve conoscere bene la storia della musica, dai trovatori e trovieri del Medioevo sino al repertorio contemporaneo, jazz, rock e cultura popolare compresi”. Poi vengono analizzate in dettaglio, con manoscritti a fronte, due lavori teatrali storici: La bambola abbandonata (1976/77) e La Tempesta (1977/78).

Ma per posizionare meglio la rilevanza di Carpi nella scena teatrale dell’epoca basta una foto del suo matrimonio dove ci sono lui e la moglie Luisa Rossi attorniati da Giorgio Strehler, Franco Parenti e Paolo Grassi. Al di là delle collaborazioni con Dario Fo, Franca Rame, Giorgio Gaber, Franca Valeri, Gigi Proietti, Vittorio Gassman e molti altri ancora, sarebbe riduttivo posizionare il Carpi nell’empireo del palcoscenico. Lui lavorò moltissimo sulla forma canzone e fu un grandissimo arrangiatore. Un disco a cui sono personalmente molto legato è Stramilano con la cantante Milly del 1964 (e di cui possiedo fieramente il vinile uscito per la Joker), un vero manuale applicato di come si scrive per orchestra leggera.

Si parla anche del Carpi compositore per il cinema in particolare con il regista “dei bambini” Luigi Comencini (L’Incompreso, Marcellino pane e vino, Le Avventure di Pinocchio e molti altri titoli) e l’esordio del Tinto Brass sensuale (L’urlo, La vacanza, Salon Kitty). Scopro inoltre che Carpi discese a Roma dove lavorò assiduamente con Bruno Nicolai e che assieme a lui, Egisto Macchi e Ennio Morricone fondarono lo studio “M4”.

Come si evince dalle numerose informazioni che ho qui riportato in piccolissima parte, in questo libro risiedono una gran mole di nomi, di luoghi e di storie che compongono un mosaico di storia culturale italiana, di nobiltà popolare e di fascino narrativo.

Carpi è stato un inesauribile ingegno musicale, caleidoscopico ed eclettico. Ma forse più di altri è stato capace di capire attraverso la musica l’uomo che c’era nel bambino e il bambino che c’era nell’uomo. Come forse fece Gianni Rodari per l’arte della parola o Bruno Munari con la materia visiva.   

PS: ringrazio il buon Luca Bernini per avermi fatto conoscere questo testo mentre stavamo realizzando Pinocchio! (19m40s_13) con gli Esecutori di Metallo su Carta e Francesco Bianconi. E ringrazio la signora Martina Carpi per la gentilezza e il plauso con cui ha accolto il nostro lavoro.

Pinocchio al Cenacolo Francescano di Lecco nel novembre 2019. In prima fila a sinistra, Luca Bernini.