Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 5 - FADES / COSTELLAZIONI

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

FADES / COSTELLAZIONI di Antonio Della Marina

Tra tutti i brani ricevuto per il CfS2021, FADES / COSTELLAZIONI si distingue per forma e notazione. Il lavoro ricevuto è un estratto del grande percorso di ricerca compositiva che Della Marina ha compiuto nel tempo. La partitura è così composta: due pagine contengono le indicazioni di esecuzione del brano. Seguono quindi tre schemi geometrici detti “costellazioni” che raffigurano graficamente degli accordi. infine l’ultima pagina contiene una tabella che riporta le frequenze esatte dei suoni di cui gli accordi sono composti.

Il brano è per elettronica e per strumenti analogici. Della Marina ha fornito un software che simula 40 oscillatori, 26 dei quali sono da utilizzare durante l’esecuzione. Gli strumenti analogici si inseriscono sull’elettronica arricchendo il timbro degli oscillatori ma senza mai emergere dal pattern sonoro generato digitalmente.

Gli esecutori, analogici o elettronici, si muovono da una costellazione all’altra passando attraverso a dei nodi: punti di incontro che fungono da passaggio dimensionale tra un reticolo e l’altro. Ciascun incrocio è una frequenza e ciascuna frequenza è naturalmente un suono.

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Della Marina indica che gli strumenti analogici devono suonare alle frequenze esatte indicate nella tabella riassuntiva: i musicisti, nella preparazione della partitura, sono invitati a lavorare con un intonatore microtonale per studiare l’esatta intonazione di un suono.. Questo lavoro quindi non può essere eseguito con strumenti ad intonazione fissa come pianoforte o percussioni a suono determinato. Gli archi sono gli strumenti idealmente coinvolti nell’esecuzione di FADES anche se l’organico scelto dagli Esecutori prevede, oltre a viola e violoncello, anche il clarinetto basso. È stato il compositore stesso a scegliere l’organico: Della Marina ha preferito strumenti dal suono grave con l’obiettivo di nascondere i singoli timbri evitando che siano perfettamente distinguibili.

Della Marina specifica i diversi tipi di interpolazione sia ritmica che dinamica dei suoni individuando delle semplici categorie: per la dinamica sono possibili dissolvenza in entrata e in uscita, solo in entrata o solo in uscita. Il ritmo invece può essere di tre tipi: suono tenuto, suono pulsante e suono irregolare.

Il compositore specifica che l’esecuzione della partitura da parte degli strumenti analogici deve essere libera: i musicisti possono muoversi a piacere su e tra i reticoli avendo modo solo di seguire i nodi comuni per il passaggio tra costellazioni.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

La selezione di FADES / COSTELLAZIONI è dettata da un desiderio molto semplice: uscire dalla comfort-zone di un repertorio a noi affine e congeniale. Non siamo abituati a lavorare con gli oscillatori e la comprensione della partitura in un primo momento è stata sconfortante. Più abbiamo approfondito il materiale ricevuto, più la voglia di affrontare questo percorso spaziale è cresciuta: le costellazioni sono estremamente affascinanti sotto diversi punti di vista. Graficamente hanno equilibrio, proporzione e semplice bellezza mentre il processo di costruzione degli accordi si distingue per unicità ed interesse. Abbiamo deciso di affrontare FADES / COSTELLAZIONI pur sapendo che ci avrebbe messo di fronte a difficoltà non insormontabili, ma comunque ardue. Ssiamo convinti che l’esecuzione di un brano che diverge sotto diversi aspetti, possa farci crescere come ensemble (fondamentale) e come esseri umani (secondario).

Abbiamo esplorato l’universo semantico e sonoro di Antonio Della Marina andando a curiosare sul suo sito e ad ascoltare i suoi lavori precedenti. Potete fare come noi ed approfondire l’approccio compositivo di FADES e di Della Marina, leggendovi questo interessantissimo riassunto. Non solo, ma se avete voglia di trascorrere tre minuti nel mondo sonoro del compositore, qui trovate un video di una performance di FADES. Enjoy!

Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Pensavamo, in fase di scrittura del bando per il CfS2021, che avremmo ricevuto un cospicuo numero di composizioni che prevedevano l’utilizzo dell’elettronica. A tal proposito, avevamo invitato i compositori a utilizzare tecnologie come la video-call o piattaforme di condivisione audio-video. I lavori ricevuti hanno privilegiato linguaggi analogici a discapito di quelli digitali. Sono stati solo cinque i brani che infatti avevano una presenza di elettronica significativa. Sorprendentemente nessuna tra le 100 e più composizioni ricevute ha utilizzato strumenti attinenti al web. Le forme di elettronica ricevute erano o tracce preregistrate, o, come nel caso di Della Marina, software di produzione musicale più o meno specifici. Una composizione ricevuta presentava invece un Dj set, con scratch ai dischi notati in partitura.

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Sempre a livello di strumentazione, la maggior parte delle composizioni ha preferito sfruttare l’organico standard indicato: flauto clarinetto violino violoncello pianoforte e percussioni sono infatti il set presenti nel 60% delle composizioni. Solo tre autori hanno deciso di utilizzare il suono dei sassofoni di Enrico Gabrielli. Nessuno ha inserito in organico l’ottavino mentre quattro composizioni prevedevano la presenza del flauto basso, preferito di gran lunga al flauto in sol. La viola compare in soli sette lavori mentre il pianoforte compare ben 85 volte.

Chi è Antonio Della Marina?

Antonio Della Marina

Antonio Della Marina è un artista e compositore di musica elettronica che da oltre vent'anni lavora utilizzando quasi esclusivamente onde sinusoidali.

Influenzato dalle avanguardie minimaliste degli anni 60 e 70, concentra la sua ricerca sull'esplorazione delle proprietà fisiche del suono e sui sistemi di accordatura derivati dalle leggi degli armonici naturali. le sue composizioni sono vere e proprie sculture di suono per la cui realizzazione usa astrazioni matematiche e generatori da lui appositamente costruiti.

La sua attività comprende concerti dal vivo, installazioni multimediali e progetti per il web. I suoi lavori sono stati esposti in gallerie d'arte e festival internazionali tra cui la Quadriennale di Praga, Experimental Intermedia a New York, Logos Foundation a Gand, Fundaciò Phonos a Barcellona. In Italia significative le presenze ad angelica festival, Piombino eXperimenta, All Frontiers Musiche d'Arte Contemporanee, Fondazione Giorgio Cini e la realizzazione in collaborazione con Marco Maria Tosolini del concerto-evento A Vista! performance per sirene e idranti di rimorchiatori, parole al vento, voce marina e live electronics.

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Call for Scores - Capitolo 4 - I soprammobili di Gustav di Pietro Dossena

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di Marzo e in fase di conclusione.

I soprammobili di Gustav di Pietro Dossena

I soprammobili di Gustav è una composizione di Pietro Dossena che ha partecipato al Call for Scores nella categoria Sabotaggio. Il lavoro di Dossena è infatti un sabotaggio in maniera di divertissement del lied Des Antonius von Padua Fischpredigt di Gustav Mahler. La formazione scelta dal compositore è flauto, clarinetto, marimba, pianoforte e violino. Il brano è molto breve, dura appena due minuti, e prevede una poco invadente preparazione del pianoforte. Attraverso l'applicazione di patafix, su alcune corde viene richiesta o l'emissione di un suono sordo, o di alcuni armonici. La partitura presenta inoltre una sezione introduttiva dove sono spiegate alcune abbreviazioni inerenti in particolare al violino.

Sorprende inizialmente che Dossena abbia rinunciato all’utilizzo del violoncello per i suoi soprammobili: il registro utilizzato per tutta la composizione è fortemente sbilanciato verso l’acuto. Anche il pianoforte, unico strumento in grado di andare a coprire l’estensione grave, viene sostanzialmente inibito nel registro grave per via della preparazione. Il processo di selezione di frequenze che Dossena presenta in questo lavoro è assimilabile ad un High Pass, un filtro o plug-in che taglia in modo digitale tutte le frequenze al di sotto di un determinato valore. L’High Pass viene di solito utilizzato in fase di postproduzione ma Dossena sembra applicarlo nell’atto della scrittura.

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Il brano sembra avere una struttura tripartita: la prima e l’ultima parte sono sezioni di avvicinamento e allontanamento da un’idea centrale. Gli interventi strumentali sembrano convergere e poi divergere dalla sezione centrale, quella più densa, dove compare il ricordo definito del materiale tematico di Mahler. Sono numerosi gli elementi saccheggiati dalla predica mahleriana e sono disseminati e riorganizzati in modo completamente diverso. Tutta la composizione sembra essere costruita attorno al suono della marimba, unico strumento dell’ensemble con il timbro non distorto. Il violino pizzicato, spazzolato, in armonico, il clarinetto con suoni soffiati, il flauto estremamente arioso e naturalmente il pianoforte preparato sembrano quasi essere polvere depositata sui ricordi di un compositore e di una composizione lontana nel tempo. Come una madeline, il vero ricordo compare richiamato alla memoria da piccoli indizi disseminati: ombre nella polvere, sagome di oggetti una volta presenti e ora misteriosamente immateriali. Ma il ricordo è fragile, e scompare poco dopo. Bello e poetico. Ma…

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Non possiamo fare a meno di immaginare, con tanta ma non troppa fantasia, un prezioso collegamento con il testo del lied originario e quindi alla raccolta poetica di Des Knaben Wunderhorn. Sant’Antonio da Padova predica ascoltato dai pesci. La scenetta, per i più deliziosa, ma ai nostri occhi di quasi insopportabile maniera, si chiude in modo pungente. Tutti i pesci, evidente riferimento alla società, ascoltano attenti e apprezzano la predica. Ma appena Sant’Antonio termina di parlare, ecco che nulla cambia: ogni pesce continua la sua vita come aveva fatto fino ad ora. I gamberi andando a ritroso, i lucci rubando, le carpe divorando tutto quello che trovano: ciascuno immerso nei suoi vizi.

Die Predigt geendet
Ein Jeder sich wendet!
Die Hechte bleiben Diebe,
Die Aale viel lieben;
Die Predigt hat g'f allen,
Sie bleiben wie Allen!
Die Krebs' geh'n zurücke
Die Stockfisch'bleib'n dicke
Die Karpfen viel fressen,
Die Predigt vergessen, vergessen!
Die Predigt hat g'fallen,
Sie bleiben wie Allen!
Die Predigt hat g'fallen,
Hat g'fallen!

Ci siamo divertiti ad immaginare che Dossena abbia voluto affrescare il discorso di Sant’Antonio dal punto di vista dei pesci. Quello che dal santo viene espresso in modo ordinato, razionale e secondo forma, dai pesci viene percepito in modo inesatto, deformato, filtrato dall’acqua, mezzo attraverso cui la luce ed il suono vengono modificati. La predica raggiunge i pesci ma questi sembrano più attratti dalla routinaria vita ittica, fatta di flutti, onde e guizzi, piuttosto che dall’insegnamento divino. Inoltre il messaggio arriva frammentato, deformato e, nonostante gli sforzi del Santo, incomprensibile. L’High Pass, il suono sordo degli strumenti, il prevalere del movimento ondoso sul materiale tematico, l’irregolarità dell’accompagnamento, sembrano quasi suggerire l’effetto fisico della rifrazione delle onde sonore: la diversa densità dell’acqua modifica il messaggio originario, ne taglia alcune frequenze e lo rende sicuramente incomprensibile. Nonostante la santità, l’importanza del messaggio, i pesci continuano la loro vita non perché distratti, egoisti, stupidi. Ma piuttosto per via dell’impossibilità comunicativa che la natura stessa pone tra chi parla e chi ascolta.

L’ipotetica traduzione in musica della rifrazione, lo spostamento del punto di vista dal santo ai pesci, la particolare efficacia della scrittura di Dossena, ci hanno incuriosito, affascinato e divertito. Forse avevamo nelle nostre teste un ideale di sabotaggio decisamente più crudele e dissacrante, ma il compositore ha saputo declinare l’operazione in modo delicato e rispettoso. Parafrasando Goethe, che apprezzava Des Knaben Wunderhorn per via dell’impianto erudito ed allo stesso tempo ironicamente ingenuo delle composizioni poetiche, potremmo dire “non siate seri, in fin dei conti stiamo solo parlando di un Santo!”

Qualche curiosità su cosa è successo nei mesi scorsi

Dossena ha deciso di cambiare il titolo di questa breve composizione in corso d’opera. Il titolo previsto inizialmente era Mahlers Fische. Nelle brevi conversazioni tenute via mail, Dossena scrive che ha deciso di modificare il titolo del brano, per rendere più esplicito il mio gioco intellettuale. Il titolo definitivo è “I soprammobili di Gustav”.

Chi è Pietro Dossena?

Pietro Dossena è compositore e artista multimediale. Diplomato in composizione con lode e menzione presso il conservatorio di Milano, dottore di ricerca in musicologia, ha trascorso periodi di formazione e ricerca presso la Sorbonne Nouvelle di Parigi e la University of California. Ha ricevuto importanti riconoscimenti tra cui il Premio Rancati del Comune di Milano, il Premio Nazionale delle Arti (menzione d’onore) e il Prix Luigi Russolo (premio speciale «per l’innovazione nella composizione»). Sue composizioni e opere audiovisive sono state presentate in concerti e festival di tutto il mondo, dal Messico al Giappone, con la partecipazione di solisti, ensemble e orchestre di rilevanza internazionale. I suoi progetti recenti comprendono una serie di lavori ispirati a E. A. Poe, un’installazione transmediale sulla percezione e un pezzo per synth modulare e ensemble.

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Call for Scores - Capitolo 3 - Barocco d'inverno di Andrea Sommani

Barocco d'inverno di Andrea Sommani

Barocco d’inverno è un sabotaggio sopra una sonata di John Ravenscroft (1695) composta da Andrea Sommani nel 2018 e revisionata nel 2021. E’ un brano per flauto basso, sax tenore, percussioni, pianoforte e pianoforte giocattolo. La partitura è introdotta da un breve racconto probabilmente scritto da Sommani stesso.

Trovandosi l’autore nella campagna padana, in un’algida notte d’inverno, ebbe per un momento ad allontanarsi solitario. Fermatosi adunque a rimirare le brumose campagne et le piagge intorno, n’ebbe viva sorpresa conciossiaché, per l’esser le terre coverte di candida neve et similmente di candida bruma coverto il cielo, quasi parea non esservi confine tra questo e quelle. Ecco che, tosto, un alito di vento ebbe a discoprire timidamente qualche spiraglio a gl’occhi et quindi comparir sparute vestigia d’una chiesa barocca. Cosicchè, rimirando quelle sacre ruine, sovvenne all’autore questa antica melodia e ne rimase impressionato poiché, così come la bruma copriva quel tempio allo sguardo, in egual modo la fallace memoria copriva di mistero quella musica vaghissima. Ben tosto, ad altri officii intento, l’autore tornò alla compagnia che non è quivi il caso di narrare, ma parendogli, il dì seguente, che niuna cosa potesse trovarsi più vaga et leggiadra, ebbe a comporre tale ischerzo o sabotaggio musicale acciocché Lor Signori potessero sonarlo in compagnia.

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L’introduzione di Sommani replica manieristicamente la prefazione alla prima edizione delle Sonate a tre Op.1 di Ravenscroft: la raccolta è infatti introdotta da un testo che sembra dare spunto stilisticamente alla parte testuale del sabotaggio di Sommani.

Abbiamo scavato rapidamente nell’antica partitura alla ricerca del materiale tematico usato per il bano ricevuto per il Call for Scores. Siamo quasi convinti che Sommani faccia riferimento alla Sonata Terza inserendo e sabotando il germe melodico del primo movimento. Siamo rimasti abbastanza colpiti nel realizzare che non esiste (o che non riusciamo a trovare) una registrazione integrale di queste Trio Sonata. Vi proponiamo una delle poche tracce che abbiamo individuato: il London Baroque Ensemble ha inciso infatti l’ottava delle 12 composizioni pubblicandola in una raccolta titolata Stravaganze Napoletane. Potete anche trovare l’intero cofanetto su Spotify e farvi un tuffo nelle sonorità gradevolmente ovattate delle corde di budello.

Il lavoro di Sommani si rivela essere musica a programma. Nel suo piccolo poema sinfonico per ensemble tutt’altro che ordinario (flauto basso e sax tenore non sono un impasto timbrico molto diffuso), Sommani traduce in musica quanto raccontato nell’introduzione testuale. Possiamo individuare una struttura quadripartita e provare a titolare i quattro capitoli di questo lavoro: la solitudine d’inverno, il vento che scopre la cattedrale, il ricordo barocco e il ritorno alla solitudine. In sole due o tre parole: Barocco d’inverno.

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L’incipit di Barocco d’inverno.

La passeggiata nell’algida notte invernale viene descritta dai passi ovattati nella neve del compositore. L’incedere incerto e discontinuo del viandante nella notte sembra essere raccontato dal delicato ritmo del pianoforte giocattolo. Il rumore dei passi si accompagna ai respiri del viandante, descritti invece da sax tenore e da flauto basso. Il vibrafono sembra suggerire dei rintocchi ovattati di campana, forse presagio della visione imminente.

Una rapida acciaccatura del pianoforte sembra simboleggiare un alito di vento: l’aria gelida genera una sorta di epifania. Nel buio della notte il compositore si imbatte inaspettatamente nelle rovine di un’antica chiesa barocca. Un secondo alito di vento sembra confermare la visione ed interrompere la camminata. Il viandante si ferma ad a guardare, sorpreso, una struttura che però sembra solo accennata: le vestigia di una chiesa barocca sono infatti sparute, incomplete. Il vento sembra prendere forza: le acciaccature, precedentemente solo accennate ad appannaggio esclusivo del pianoforte, si fanno più presenti: sax tenore e flauto basso si appropriano degli aliti di vento mentre il pianoforte improvvisamente riporta alla memoria l’antica melodia di Ravenscroft. La reminiscenza è talmente potente da quasi proiettare il viandante in un altro spaziotempo: sparisce il vento, scompare la neve e rimane solo la suggestione di una melodia fino ad ora dimenticata.

Incipit della Sonata Terza dalle 12 Trio Sonata op.12 di John Ravenscroft

Ma così come vengono, i ricordi scompaiono. Il compositore si ritrova di nuovo in mezzo alla neve: il suo fiato torna a condensarsi nell’aria fredda mentre, tornando sui suoi passi, il compositore cammina perdendosi nel buio. Svanita la riminescenza barocca, il toy piano torna a sottolineare i passi nella neve mentre lontani si sentono i rintocchi del vibrafono, ultima memoria delle sacre rovine.

La comparsa della cattedrale, gli aliti di vento ed il frammento della composizione originale.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Barocco d’inverno è scritto molto bene: in poche battute e con pochi elementi, Sommani riesce a raccontare una storia che con una falcata sola abbraccia il barocco, naturalmente, ma anche un primo romanticismo schubertiano. Questa breve Wienterreise contiene infatti diversi topos ottocenteschi: il viaggio d’inverno, la solitudine, il wanderer e la notte. La forma di poema sinfonico è inoltre un omaggio forse non voluto al tardo romanticismo mentre il linguaggio utilizzato è chiaramente tardo-novecentesco. Nascosto tra le note vi è un piccolo compendio di storia della musica.

Decisamente molto interessante l’impasto timbrico scelto dal compositore: violino e violoncello sono stati esclusi a favore di due strumenti forse meno adatti ad un lavoro intimo e trasparente come Barocco d’inverno. Eppure il timbro ammaliante del Sax Tenore di Enrico Gabrielli e la ricchezza armonica del Flauto Basso ci sono sembrati due ottimi motivi per giustificare una simile scelta.

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Non da ultimo, Sommani gioca con l’idea di Sabotaggio in modo raffinato: se infatti l’idea alla base del sabotaggio era la contravvenzione volontaria della forma e del contenuto di un’altra composizione, Barocco d’inverno costruisce attorno alla composizione originale un universo immaginativo inedito. Il frammento, decontestualizzato, è allo stesso tempo preservato e reso vivo. Grazie a Barocco d’inverno siamo infatti immersi da diverse ore nell’ascolto della musica poco conosciuta di Ravenscroft. Grazie a Sommani ci siamo incuriositi ed abbiamo scoperto qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto inascoltato, chiuso nei nostri libri di storia della musica, forse in uno di quei paragrafi riservati agli autori minori. Quei paragrafi che di solito si saltano.

Sommani si imbarca in una bella sfida e noi lo seguiamo volentieri in un brano delicato e tutt’altro che manierista. Il rischio di creare quello che qualcuno definirebbe ‘un mappazzone’ è dietro l’angolo. L’abilità di Sommani sta proprio nell’avere successo in un’operazione tutt’altro che semplice. Barocco d’inverno ci è piaciuto fin da subito anche se resta viva una domanda: cosa ci faceva il compositore nella campagna padana, in un’algida notte d’inverno?

Qualche curiosità su cosa è successo nei mesi scorsi

Il piano giocattolo è utilizzatissimo da Sebastiano De Gennaro nel suo primo album Hippos Epos. Il nostro lo aveva utilizzato per eseguire la Sinfonia Giocattolo di Mozart (Leopold) e per eseguire integralmente il Secondo Concerto Brandeburghese di JSB.

Lo strumento in sé è problematico perché non permette un inviluppo dinamico ma, alla stregua di un clavicembalo, può suonare solo ad intensità fissa. Per incidere Barocco d’inverno dobbiamo affrontare un probabilme problema di equilibrio. Le alternative sono diverse: aggiungere effetti in postproduzione? cercare un pianoforte giocattolo che possa suonare molto piano? Utilizzare diverse aperture del coperchio? La sfida per rendere il toy piano più di quello che tecnica e fisica hanno permesso, è aperta.

Chi è Andrea Sommani?

Ha studiato presso il conservatorio F. Morlacchi di Perugia, diplomandosi in Pianoforte nel 2010 e in Composizione nel 2014 con F. Cifariello Ciardi. Parallelamente ha conseguito la laurea triennale in scienze dei beni musicali presso l’Università di Perugia. Successivamente si è perfezionato con S. Sciarrino presso il conservatorio di Latina e l’Accademia Chigiana di Siena. Ha frequentato il corsi di perfezionamento e masterclass con M Andre, S. Gervasoni, P. Maxwell Davies, M. Lanza, F. Filidei. Nel 2013 Ha ottenuto il I premio al concorso di composizione “W Landowska” con il brano Ex.

Fonte: facebook

Nel 2013 è stato selezionato per la partecipazione al progetto “Fair opera” Umea (SE) Nel 2014 è stato vincitore del premio per la Commissione Contempoartensemble, nell’ambito del Livorno music festival. Nel 2016 è stato selezionato come compositore in residenza dalla Contrada della Torre di Siena nell’ambito del progetto “Per un nuovo mecenatismo di contrada” È stato finalista del premio di composizione “Veretti” 2018. Sempre nel 2018 è stato selezionato da Matera Capitale europea della cultura 2019 come compositore per il progetto “Suoni di pietra”.

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Call for Scores - Capitolo 2 - E di visi vide

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

E di visi vide di Francesco Bucci

E di visi vide è un brano composto da Francesco Bucci nel 2021 che ha partecipato al CfS emesso dall’Associazione Esecutori di Metallo su Carta e 19’40’’. Il brano, della durata di circa tre minuti e mezzo, viene presentato come Partitura palindroma orizzontale, originata da “disegno grafico notazionale” rappresentante facce nascoste per clarinetto basso, pianoforte, violino e violoncello. Prima del brano, è riportata una breve poesia, un epitaffio, che recita:

E di visi vide
espressioni
stanche, pavide, rassegnate
Non di quelle gialle da tastiera,
ma di esseri mortali disillusi e soli
E divisi vide

L’autore di questi versi è il compositore stesso.

Il brano ha una notazione tradizionale: gli strumenti sono notati in modo standard e non vi sono particolari segni grafici da sottolineare. La struttura del brano è evidentemente palindroma. Come nel caso di ANNA di Simone Farò, il titolo suggerisce in modo trasparente quanto le note manifestano. Oltre alla struttura simmetrica, il compositore ha nascosto all’interno dello spartito alcune facce: le note così come disposte sui pentagrammi, richiamano infatti i lineamenti stilizzati di visi portanti espressioni differenti. Si possono intravedere occhi stretti, smorfie di disgusto, o presunte tali, e sorrisi non troppo rassicuranti.

Uno o forse due volti nascosti

Gli schizzi effettuati tramite notazione sembrano richiamare delle antiche maschere africane, piuttosto che dei volti umani realistici. Anche il ritmo della composizione sembra avere caratteristiche primitive o tribali. Il contrasto stilistico con l’epitaffio iniziale è incomprensibile se non si conosce il percorso artistico e musicale di Francesco Bucci. Il compositore infatti viene da un mondo estremamente lontano dalla musica colta (che poi cosa significa musica colta?) e contemporanea: il metal. I versi sono tradotti in note da una sensibilità diversa da quella che riempie i cartelloni delle stagioni musicali istituzionali. Dietro ad un fenotipo metallico, aspro e tribale, vi è un genoma di delicato lirismo. Il risultato è un grande contrasto tra significato e significante. La resa sonora di un simile brano pone l’ensemble di fronte ad un interrogativo interpretativo: lasciar emergere e quindi accentuare il lato metallico o, al contrario, smorzarlo a favore di una esecuzione più morbida e vicina alla delicata epigrafe iniziale? La sfida è lanciata, spetterà agli Esecutori ed al direttore trovare una risposta.

Il frontespizio di E di visi vide

Quasi per rimanere coerente con se stesso, Francesco Bucci chiude il brano riproponendo il titolo stesso della composizione: il palindromo esce dalla forma musicale e raggiunge la sua esattezza solo su carta. Un modo simpatico ed efficace di ricordarci che la forma è sostanza, ma che l’ossessione Bouleziana per la resa sonora della forma talvolta è irrealizzabile.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

I motivi della nostra scelta sono molto semplici: ma ve lo immaginate Milano Musica che apre un programma musicale con un brano simile? No? Ecco: è esattamente per questo che lo abbiamo scelto. E di visi vide è un semiserio incontro tra la musica colta contemporanea e il metal degli Ottone Pesante, il gruppo di cui Francesco fa parte; è la sovrapposizione di un lirico e delicato epitaffio testuale ad uno schizzo grafico; è una naturale protrazione dell’enigmistica musicale tanto cara ad Enrico Gabrielli ma con un pensiero ed una ricerca timbrica più vicina al metal che all’accademia.

Nella sua semplicità, E di visi vide riesce a farci sentire liberi di camminare su strade che, per quanto conosciute, nessuno ha mai percorso sotto queste vesti. Seguiamo volentieri il tracciato di Bucci divertendoci ma soprattutto facendo divertire (e divergere) il nostro pubblico.

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Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Conosciamo Francesco Bucci da diversi anni: ha suonato con noi sia in occasione di Progetto Generativo (ricordate?) che di Histoire du Soldat. Inoltre ha inciso anche The Planets. Francesco ha creato un progetto unico al mondo: Ottone Pesante. Vi lanciamo volentieri nell’officina musicale dove oltre alle note vengono forgiati strumenti musicali, nelle fiamme.

È stata una sorpresa ricevere la partitura di un amico e di scoprire che dietro al suo lavoro si nasconde una ricerca indipendente e proprio per questo affascinante.

Chi è Francesco Bucci?

Trombonista e tubista di impostazione classica, studi jazz, indole hardcore/metallara. Ha spaziato tra i generi musicali più disparati per poi indirizzare i suoi sforzi verso una ricerca costante di nuovi linguaggi nella musica per ottoni. Si diploma in trombone nel 2005 e consegue la laurea di Musica Jazz (secondo livello) nel 2009. Inizialmente lavora come turnista in numerose formazioni di musica cubana, jazz, reggae, afro, pop (Ray Perez, Natural Biskers, Combo Marianao, Mas Salsera, Dunyakan, Gem Boy, Cristina D’Avena) e con la brass band Musicanti di San Crispino. Collabora con vari studi di registrazione in ambito pop / rock.

Alcune collaborazioni in studio: Calibro 35, IOSONOUNCANE, Ghemon, Diodato, Alessandro Ristori, Bologna Violenta, Cattle Decapitation, Nic Cester, Sacri Cuori, Musica per bambini. In ambito “classico” collabora con l’orchestra A.Corelli. 2007: prima pubblicazione coi suoi “Mister Gangster” (hardcore-swing) 2014: fonda B.R.ASS (con Paolo Raineri): sezione fiati ed etichetta discografica. 2015: fonda gli Ottone Pesante, dei quali è anche compositore, coi quali pubblica 5 dischi e partecipa a numerosi tour e festival in tutta Europa. Attualmente sta lavorando al suo nuovo progetto in solo per tuba e trombone.

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19'40" 19'40"

Radio Raheem MIXTAPE

Da destra: Eduardo Stein Dechtiar, DENTE, Effe Punto

Alla Triennale di Milano è possibile imbattersi in Radio Raheem: una radio digitale indipendente che esplora il mondo della cultura contemporanea. In occasione di ContempoRarities 5, Radio Raheem ha realizzato tre speciali, uno per ogni data della stagione musicale anti-classica di Milano. I concerti si sono tenuti presso il non teatro del Santeria Toscana 31. I tre episodi sono raccontati da Damiano Afrifa, Sebastiano De Gennaro, Enrico Gabrielli ed Effe Punto, in arte Filippo Cecconi.

All’interno dei MIXTAPE trovate un’introduzione parlata (che potete saltare) ed una serie di ascolti che esplorano il terriccio attorno a cui abbiamo piantato il nostro piccolo seme. Convinti che questi semi cresceranno fino a diventare alberi e poi tavoli in case senza tetto, vi abbracciamo.

Black Classical Music MIXTAPE
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Call for Scores - Capitolo 1 - ANNA di Simone Farò

Inizia oggi una serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di Marzo 2021 e in fase di conclusione.

Anna di Simone Farò

ANNA è un quintetto per pianoforte e quattro strumenti melodici composto da Simone Farò nel 2020. Ha partecipato al Call for Scores nella categoria “Originali”. La partitura si presenta totalmente manoscritta, compresi copertina e indicazioni per la performance. La durata della composizione è variabile: sebbene in partitura sia indicata una durata di circa sette minuti, Simone Farò, nell’allegato al testo musicale, ha indicato che la durata può essere anche inferiore. Nel nostro caso il brano durerà circa tre minuti e mezzo.

La partitura è parzialmente in notazione tradizionale, parzialmente in notazione grafica. In particolare la parte di pianoforte è posta su doppio pentagramma senza metro mentre gli strumenti melodici hanno parti disegnate e non distinte tra loro.

Come suggerisce il titolo, la composizione non solo è palindroma, ma la seconda parte subisce anche una sorta di processo di inversione. Tali procedimenti imitativi lasciano però intoccata la parte di piano, che procede tradizionalmente con uno sviluppo monodirezionale. La struttura del brano è evidenziata dalla particolare grafia del titolo: la seconda sillaba di ANNA infatti è sia speculare che invertita.

Un estratto di ANNA di Simone Farò

Il brano è diviso in evidenti sezioni, ciascuna delle quali introdotta da alcuni intervalli intervalli: Tali intervalli sembrano gradualmente assumere una identità più profilata e dare vita ad una scala. Su indicazione del compositore, tale scala è l’unione delle quattro aree intervallari di tipo Pelog secondo la teoria di Franco D’Andrea. Gli intervalli da cui la scala è composta sono anch’essi palindromi (La - Sib - Do# - Re - Mib - Fa# - Sol che tradotti sono -1s -3s -1s 0 +1s +3s +1s dove s equivale a semitono).

L’intero brano non ha un’indicazione di metro ma gli strumenti melodici sono invitati ad interagire in base ai suggerimenti del pianoforte. La notazione grafica, fisiologicamente interpretabile, è molto semplice: l’altezza del segno corrisponde all’altezza della nota che i diversi musicisti devono eseguire. Lo spessore del tratto indica la dinamica ed il suo sviluppo nel tempo. La divisione dei segni grafici tra diversi strumenti non è prevista dal compositore ma è lasciata alla scelta, si spera democratica, dell’ensemble. Emerge chiaramente l’impronta improvvisativa di questa composizione: l’esecuzione deve essere frutto di un processo decisionale condiviso.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

ANNA di Simone Farò ci ha da subito coinvolti per due motivi: innanzitutto eravamo alla ricerca di compositori che utilizzassero linguaggi non prettamente notazionali. Una partitura in graphic notation, anche se solo parzialmente, si inserisce in modo organico nel percorso di 19’40’’ e delle ultime uscite (ricordate Treatise?). Inoltre l’interessante incontro tra notazione tradizionale e notazione grafica scelto da Farò non è solo ben riuscito, ma anche poco diffuso e molto curioso. Le simmetrie, la razionalità, l’origine non prettamente musicale del fatto sonoro, sono alcuni dei percorsi in cui stiamo ricercando nuovi linguaggi e nuovi stimoli.

Si aggiungono a queste considerazioni, l’alta qualità della partitura sia da un punto di vista artigianale che concettuale e la natura ibrida del compositore. Simone Farò infatti ha un percorso musicale che lo avvicina fortemente a quello di 19’40’’. La curiosità con cui ha cercato e continua a cercare un linguaggio nuovo che unisca composizione tradizionale e improvvisazione, ci ha fatto sentire molto vicini a lui spiritualmente e umanamente.

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Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Simone ha partecipato al Call for Scores 2021 proponendo anche una partitura intitolata Talking, una trascrizione di Talking di Haruomi Hosono. Nella prima fase di scrematura, abbiamo selezionato sia Anna che Talking. Non ci siamo accorti di aver scelto due brani dello stesso compositore fino alla selezione finale: la selezione è stata fatta in una prima fase ad autori secretati. L’unico a conoscere i nomi era Marcello. Abbiamo voluto scegliere uno solo dei due brani ed abbiamo preferito puntare sul brano originale.

Chi è Simone Farò?

Simone Farò nasce a Torino nel 1992, inizialmente si dedica allo studio della chitarra, attraverso la pratica del jazz e successivamente si avvicina alla composizione tradizionale ed estemporanea. Studia e collabora con Stefano Maccagno, Roberto Dani, Pasquale Calò, Igor Sciavolino e Giuseppe Gavazza. Nel 2016 fonda, insieme ad altri musicisti di Torino, il collettivo Pietra Tonale; gruppo di ricerca sulla musica improvvisata con il quale si è esibito a Vienna, Berlino, Copenhagen, Amsterdam, Vilnius, Riga e altre città europee. Ha collaborato con il Museo Nazionale del Cinema di Torino per la sonorizzazione di due film muti (La Madre e La Morte e Il Fauno). Suona in diverse realtà rock-punk-noise dell’underground torinese: La Nuova Infornata, Naso2 e G.I.S.; collabora attivamente come copista per la casa editrice musicale Musica Practica.

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Francesco Fusaro Francesco Fusaro

Call for Scores - Capitolo 13 - Rubik's Song di Alvise Zambon

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

Rubik’s Song di Alvise Zambon

Rubik’s Song è una composizione di Alvise Zambon per Flauto, Clarinetto, violino, violoncello, pianoforte non preparato e vibrafono. L’intero lavoro ha una durata di circa tre minuti ed è notato in modo tradizionale. Il brano sembra ricreare lo spostamento delle facce di un Cubo di Rubik. Ammettiamo di non essere molto pratici di questo sorprendente rompicapo: le nostre conoscenze sono proprio basilari. I colori devono essere spostati da una faccia all’altra del cubo seguendo il meccanismo permesso dal gioco stesso. Le facce del cubo sono 6, ciascuna delle quali occupata da nove quadrati colorati. In totale le sfaccettature sono cinquantaquattro.

Questa nostra aporia non ci permette di capire quale l’algoritmo compositivo scelto da Zambon per computare la sua composizione. Risulta evidente che per “mettere a posto” un colore, il compositore crea una sequenza di nove note. La progressiva nascita di una sequenza completa avviene però in modo irregolare: come nella risoluzione del cubo, occorre sacrificare momentaneamente una raggiunta conquista per poter conseguire un risultato sempre più vicino alla faccia monocroma. Abbiamo provato ad immaginare che ciascuno dei sei strumenti dell’ensemble fosse una faccia del cubo. Abbiamo anche provato ad immaginare che tutti gli strumenti dovessero presentare le nove facce (note) ordinate al loro interno. Ma il cubo di Alvise non sembra concludersi con la soluzione. Le ultime misure sono infatti la simmetrica riproposizione dell’inizio del brano.

Lasciando da parte gli algoritmi a noi sconosciuti, il brano può essere visto in modo macroscopico, lasciando a menti più enigmatiche della nostra la visione dell’infinitamente piccolo. Il cubo sembra partire e concludersi da una situazione di risoluzione: il gioco inizia quando il primo cubo viene spostato. Il movimento dello scivolamento delle facce viene descritto dagli evidenti glissando degli archi. Alla stessa maniera il gioco si conclude nell’esatto stesso in cui viene spostato l’ultima faccia.

Sarà Alvise Zambon stesso, speriamo, a darci un sistema di lettura dei singoli microspostamenti interni a questo brano. A noi non resta altro che guardare le mani veloci di un ragazzo che agili e rapide conquistano la soluzione di questo rompicapo. Noi ci stupiamo e, forse per pigrizia, forse per limiti di età oramai sopraggiunti, ci limitiamo a congratularci con il solutore per un gioco intellettuale che siamo convinti non aggiungeremo alle nostre competenze di base.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Rubik’s Song è un brano enigmatico che fin da subito ci ha conquistati: si inserisce in modo organico nel percorso di 19’40’’ attraverso la musica razionale (Sebastiano De Gennaro). Inoltre il nostro Enrico Gabrielli ha già affrontato una serie di composizioni di Enigmistica Musicale (ad uso esclusivo degli abbonati al canale Patreon di 19’40’’): il cubo di Zambon rimane per noi una scatola cinese ancora da sciogliere.

L’esecuzione del brano inoltre si presenta come una sfida entusiasmante: la parte di vibrafono rasenta il virtuosismo e il gioco di incastri su questa rende il lavoro in ensemble davvero divertente.

Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Come un cubo di Rubik, la registrazione dell1 e 2 febbraio è diventato un difficile gioco di incastro: necessità lavorative e famigliari dei fondatori di 19’40’’, infortuni, trasferte e altri sfortunati eventi ci hanno messo in difficoltà. Abbiamo ad un certo punto pensato di posticipare la registrazione. Per poter rendere più semplice il processo di registrazione, abbiamo deciso di sacrificare parte della formazione originale prevista per questo lavoro accogliendo nuovi musicisti tra le fila degli Esecutori.

Sperando che il nostro amico C-19 non metta ancora i bastoni tra le ruote alla nostra attività, non vediamo l’ora di chiuderci in studio per immergerci finalmente de facto tra le note del CfS2021.

Chi è Alvise Zambon?

Alvise Zambon (1988) ha studiato al Conservatorio di Venezia con Corrado Pasquotti e all’Accademia di Santa Cecilia con Ivan Fedele. Suoi lavori sono stati eseguiti alla Biennale Musica, al Teatro La Fenice di Venezia, alla Fondazione Pinault e al Parco della Musica di Roma. Nel 2018 l'opera Push!, su libretto di Maria Guzzon, è stata rappresentata con la regia di Kathrin Hammerl al 62. Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia. Nell'ottobre dello stesso anno Sette espressioni intraducibili, per ottavino e clarinetto, commissionato da Ischiamusica, è stato eseguito da Federica Lotti e da Fabio Battistelli presso i Giardini Ravino di Forio (Ischia). Nel 2019 Kintsukuroi, per orchestra da camera, è stato eseguito in prima assoluta al Parco della Musica di Roma dall'Ensemble Novecento, diretto da Carlo Rizzari. Nel novembre dello stesso anno Federica Lotti ha eseguito Cord'amare per flauto solo presso l'Istituto Italiano di Cultura di Oslo. A Gennaio del 2020, Sul limitare della notte, per orchestra sinfonica, è stato eseguito al Teatro Malibran di Venezia dall’orchestra del Teatro La Fenice diretta da Daniel Cohen. Nel 2021 One point five per fixed media, su progetto di Danilo Pastore e video di Andrea Leonessa, è stato eseguito alla GG3 – Gallery for Sustainable Art di Berlino.

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I Calamari

Potete vedere l’intervista completa cliccando qui.

Enrico, chi sono I Calamari?

I calamari sono cinque idioti. Si  definiscono come tali in realtà anche loro: non c’è nessun problema. Sono cinque individui che hanno cinque storie molto diverse e che si sono uniti negli anni ‘10 del 2000 per fare cabaret e numerose serate a Milano, Bologna e forse anche a Roma, se non ricordo male. Lo spirito era quello del cabaret Milanese storico: facevamo canzoni dei Gufi, Jannacci e cose anche inventate tra di noi. Siamo composti da me [Enrico Gabrielli] in veste di idiota, Effe Punto, Filippo Cecconi, che lavora con noi a questa rassegna bellissima [ContempoRarities 5], Gianluca De Rubertis di Il Genio e di altri progetti, Federico Dragogna dei Ministri e Dente di Dente. 

Da quant’è che non fate una serata insieme?

Da un sacco di tempo! Forse l’ultima volta è stato nell’osteria storica dove andava sempre Battisti. Le serate sono sempre molto divertenti e molto stupide. In questo caso saremo al servizio di un lavoro meraviglioso che è l’Arca di Rodrigo, De Moraes, Bacalov, Bardotti.

Enrico, tu scrivi ancora musica a mano, vero?

Certamente: io scrivo musica a mano per due motivi: prima di tutto non mi sono mai aggiornato con il setup informatico. Ho cominciato a scrivere MIDI sei mesi fa. E poi perché so che questa pigrizia mi porterà ad un punto in cui il ciclo di ricorsi mi riporterà ad essere di attualità. Ci sarà un fascino perverso per la scrittura a mano quando questa andrà in estinzione. Mi ricordo che quando ho cominciato a studiare composizione si diceva molto che la calligrafia del compositore determinava non poco la qualità della scrittura stessa. Per cui continuo a farlo. E poi è più rapido.

Come hai affrontato il lavoro per L’Arca?

Come in altri casi, come fu per Plantasia e Penguin Cafè Orchestra e tante cose che abbiamo fatto insieme: cuffie, ascolti il brano. Meticolosamente tiri giù le singole parti e poi ne fai spartito. Alcuni strumenti come basso e batteria li lasci informalmente all’esecutore. Per gli strumenti classici come oboe tromba e clarinetto invece devi scrivergli le parti, altrimenti non lo eseguiremo mai.

Rispetto alla strumentazione di Bacalov?

L’orchestrazione di Bacalov fa uso di legni, come sarà nell’organico nostro. Quello che a noi mancherà sono il trombone e il bassotuba, oltre a un gruppo di archi un po’ nutrito: avremo soltanto un violino. Però per il resto la resa sarà abbastanza simile. Sarà richiesto a Sebastiano De Gennaro di fare il batterista samba brasiliano, passando dalla Musica Razionale a quello. Vedremo cosa salta fuori.


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Concerts 19'40" Concerts 19'40"

ContempoRarities 5 @Santeria

Torna il Festival di musica anticlassica al Santeria di Viale Toscana

Al via la quinta edizione di ContempoRarities il Festival di musica classica, anticlassica e contemporanea di 19’40’’ all’interno della Santeria di viale Toscana 31 a Milano.

Dopo un anno “perduto” ecco in arrivo tre giorni di musica decisamente coraggiosa che, ci auguriamo, chiudano un cerchio di una fase accidentata per la musica presente. L’auspicio è di rinnovare il rito della condivisione e della fiducia nella scoperta sonora collettiva.

E per questo motivo i tre programmi proposti sono decisamente unificanti: il primo (Black Classical Music, 5 dicembre) lo è dal punto di vista storico, il secondo dal punto di vista linguistico (Musica Razionale, 12 dicembre) e il terzo dal punto di vista generazionale (L’Arca, 19 dicembre).

BLACK CLASSICAL MUSIC - Domenica 5 dicembre, ore 18.30, @ Santeria Toscana 31

Si tratta di un importante programma di musica da camera di compositori afrodiscendenti. La nostra selezione copre un periodo molto ampio che va dal settecento di Joseph Bologne, Chevalier de Saint-Georges, passa per il tardo Romanticismo di Florence Beatrice Price e di Samuel Coleridge-Taylor, e arriva agli anni Cinquanta di William Grant Still e George Walker e ai Settanta di Julius Eastman. Con impaginati come questo vorremmo sollecitare a percepire la storia della musica scritta occidentale come un evento fluido dal punto di vista sociale, storico e geografico, e non come un inscalfibile muro di bianchissimo marmo ad memoriam.

Esecutori di metallo su carta + Damiano Afrifa e Francesco Fusaro

Yoko Morimyo, violino
Eloisa Manera, violino
Chiara Ludovisi, viola
Marcella Schiavelli, violoncello
Damiano Afrifa, pianoforte e presentazione
Enrico Gabrielli, clarinetto e sassofono contralto
Sebastiano De Gennaro, vibrafono
Francesco Fusaro, performing e presentazione

MUSICA RAZIONALE - Domenica 12 dicembre, ore 18.30 @ Santeria Toscana 31

Si potrebbe definire Rational Music o Math Music o, in italiano, Serialismo Ritmico. La musica originale che ci propone il percussionista Sebastiano De Gennaro di 19’40” è generata dalle serie numeriche. In virtù della natura logica e non estetica di questa musica, consigliamo, a coloro che faranno ingresso in questo “calcolatore sonico”, di sospendere ogni criterio pre formato sui concetti di bello e brutto, di seguire gli eventi sonori come fossero meteore in un cielo d’estate, senza sapere da dove vengono e dove vanno.

Il metodo dodecafonico di Schoenberg fu la prima tecnica compositiva ad utilizzare questo sistema, nata nei primi del novecento, utilizzava una serie di 12 note. Nel corso del secolo passato la tecnica si affinò fino a prendere la forma del serialismo integrale di Pierre Boulez, nel quale tutti i parametri musicali venivano rigorosamente regolati secondo la serie. Il progetto Rational Music di Sebastiano De Gennaro raccoglie l’eredità della così detta Seconda scuola viennese per dar vita ad un nuovo sviluppo che si potrebbe definire “serialismo ritmico aperto”. Matematica in musica, musica in matematica. Assieme a lui i magnifici visual del maestro del sound reacting visual Andrew Quinn.

L’ARCA (Concerto di Natale) - Domenica 19 dicembre, ore 18.30, @ Santeria Toscana 31 -

Diciamocelo: sono stati anni tremendi per la dimensione infantile. Al di là della chiusura preventiva delle scuole, ci pare poi che non siano state date valide alternative per tenere in esercizio la scoperta e l’avventura dei bambini. In maniera un po’ apotropaica (e speriamo che i mesi a venire procedano al meglio) abbiamo deciso di offrire l’ascolto dal vivo del più bel disco per l’infanzia mai scritto in questo paese.

Endrigo, De Moraes, Bacalov, Bardotti sono il manipolo di autori di questo piccolo grande monumento alla canzone morale. Portate i vostri figli e in un ora li rimettiamo a nuovo. Anche perché ci saranno pure i Calamari a fare gli insegnanti d’asino... Pardon, d’asilo... Con gli Esecutori di Metallo su Carta e Francesca Biliotti, Eduardo Stein Deichtar, Dente, Federico Dragogna, Gianluca De Rubertis, Effe Punto.

Visual a cura di FOLP

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Sebastiano De Gennaro Sebastiano De Gennaro

19m40s_Speciale_05 Tz0 The Ghost Game

Per me raccontare un storia con la musica è un impresa impossibile. Dal mio punto di vista la musica è fatta di un materiale troppo inafferrabile ed astratto perchè si presti al racconto. Lo so, un cantautore, o un compositore d’opera vorrà e potrà obbiettare qualcosa, ma io mi sono convinto che la musica non è una lingua completa e tantomeno un linguaggio universale, le manca un po quella grammatica che è necessaria al racconto. A noi musicisti farebbe bene smitizzarla, questa musica, e ammettere che per ben raccontare una storia, l’arte del fumetto (per esempio) funziona indubbiamente meglio. Fare un fumetto non è cosa facile, potrebbe essere molto più avventuroso e faticoso che scrivere una canzone.

Riferendomi alla personale esperienza che mi ha fatto tirare le sopra scritte conclusioni, aggiungo che quando ho compiuto quarant’anni (ora ne ho quarantadue) sulla mia testa sono piovute una serie di vicende (o forse meglio definirle ‘sfighe’) che mi hanno messo alla prova. E’ come se si fosse esaurita la sabbia di una clessidra, e dal primo giorno degli ‘anta’ la mia vita ha preso dei toni opachi, facciamo pure scuri. In buona sostanza per due o tre motivi piuttosto precisi ho ricominciato a soffrire, come da adolescente, ma ora non c’era più la scusa dell’adolescenza. E’ risaputo che gli artisti, quando sono depressi, scrivono e danno voce al loro sentire; magari lo fanno solo per dare forma al dolore, guardarlo con distacco e buttarlo alle spalle. Magari per addolcire la medicina. Comunque, anche se non diventi Jeff Buckley, è un bel vantaggio. 
Ma a me, che con la musica mi sono sempre occupato fino a spaccarmi le orecchie e la testa, a quel punto non bastava: quanto è inutile di per sé l’arte dei suoni per un quarantenne infelice del mio tipo.

Invece ho scoperto i videogiochi. Per scrivere la storia che volevo raccontare un videogioco era perfetto. I videogame sono un territorio creativo davvero completo, compositi al punto giusto per raccontare e vivere le storie. Hanno pure la musica, per non farci mancare nulla. 
Così è nato il progetto di questo gioco, che in effetti ha visto come primo passo la scrittura della soundtrack ancor prima di venire disegnato e programmato.

Tz0 è un Platform semplice, pieno di riferimenti agli arcade, un gioco a suo modo molto classico. Un platform game programmato non da un informatico ma da un musicista (..aiuto..). Il gioco permette di entrare e muoversi in quegli ambienti che, una manciata di brani musicali, avevano cominciato a descrivere. Mi piace anche definirlo un gioco fatto per ascoltare musica anche se non è del tutto vero. Di certo deluderà gli smanettoni addestrati su Ghost and Goblins e su scalate epiche come in Celeste. In questo videogame poi, vincere è del tutto superfluo e non può dipendere dalle vostre abilità sui pulsanti, anzi, vincere forse è proprio impossibile. Non dico altro, lo scoprirete giocando.

La storia è molto semplice, un pallino verde che si muove. All’inizio è proprio così, Tz0 è un puntino verde. Insomma una storia che non aveva bisogno di grandi architetture narrative né tantomeno di grandi ambienti evocativi. Eppure non saprei raccontare un pallino verde solo attraverso la musica, nemmeno se avessi a diposizione il Concertgebouw di Amsterdam. 


La storia si potrebbe riassumere così: cose che potevano accadere ma che non sono accadute, questo tipo di non-cose sono tantissime mentre il mondo che vediamo è fatto di pochissime cose che potevano accadere e sono davvero accadute.
Ora queste non-cose potrebbero essere pensieri non portati a termine, gesti che stavamo per fare e poi non abbiamo fatto (tipo non rispondere al telefono perchè ha smesso di squillare troppo presto), cose di questo tipo e moltissime altre. In questo videogioco le non-cose arrivano da lontano, sfiorano la nostra realtà e tentano di divenire realtà compiuta e tangibile, ma per l’appunto, in pochissime ci riescono. Questo luogo vicino a noi che ancora ‘non è’, è il luogo dove Tz0 si muove, assomiglia ad un limbo, e muta mano a mano che ci si avvicina alla porta.

Per concludere, io il videogioco lo ho fatto, ci ho messo due anni. Ora tu dovresti almeno concedergli un tentativo di gioco. Se sei un abbonato con uscita speciale lo riceverai nella notte di Halloween 2021, potrai giocarci o semplicemente ascoltarti la soundtrack suonata da noi Esecutori di Metallo su Carta. 
Se non sei abbonato ma non resisti al fascino misterioso di Tz0, puoi comunque stare tranquillo, lo troverai a breve in vendita proprio su questo sito.

Cosa resta da dire? giusto 4 cose:

1-funziona su Windows e Linux.

2-freccie destra e sinistra per muoversi.

3-freccie su e giù per arrampicarsi.

4-barra spaziatrice per saltare.

Buon divertimento.

Sebastiano De Gennaro

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