Pura Attualità
Domenica 8 dicembre 2019, h18
“Pura Attualità”
musiche di Silvia Borzelli, Sara Caneva, Carlo Carcano, Luca Cavina, Leonardo Marino,
Francesco Filidei, Teho Teardo, Maria Teresa Treccozzi
Esecutori di Metallo su Carta:
Carlotta Raponi, flauto e ottavino
Enrico Gabrielli, clarinetto e clarinetto basso
Yoko Morimyo, violino e viola
Matteo Vercelloni, violoncello
Damiano Afrifa, pianoforte
Sebastiano De Gennaro, percussioni e batteria
Pietro Puccio, visual
Marcello Corti, direttore
Silvia Borzelli (1978)
Amazing stories, for one percussionist (2012-13)
Carlo Carcano (1970)
Quattordici uomini camminano lentissimi, per sei esecutori (2019)
Sara Caneva (1991)
Onomatopea dello scippo, per batteria (2019)
Luca Cavina (1981)
Ghosteps, per sei esecutori (2019)
Francesco Filidei (1973)
Toccata, per pianoforte (1996)
Teho Teardo (1966)
Novità (2019)
Maria Teresa Treccozzi (1981)
Ayre, for clarinet in B (rev. 2018)
Leonardo Marino (1992)
Dietro la luce, per sei esecutori (2019)
C’è solo un tratto caratteristico che unisce la popular music e la musica contemporanea colta, (quella - per intenderci - scritta e concepita su carta in ogni suo dettaglio): l’attualità. Per definizione, però, la popular music si occupa di intrattenere l’ascoltatore mentre l’altra fa tutto tranne che quello. La musica contemporanea colta rovista nel simbolico, pratica scelte severe, si pone su traiettorie storicizzate (o coscientemente anti-storicizzate) con un raro impegno ideologico, estende sugli strumenti prassi esecutive totalizzanti, trascina terminologie matematico scientifiche sul vocabolario musicale (polarizzazione, transiente, losanghe,
permutazioni, parametro…). Tutto l’opposto del “primitivismo” del pop. Quindi il concetto di attualità musicale quante declinazioni potrebbe avere? Come abbiamo visto, almeno due: lo jin e lo han dell’essere al passo con i tempi, potremmo dire.
Togliamoci di dosso però aggettivi zavorrati come “bello”, “emozionante”, “accattivante”: per la musica colta contemporanea queste cose non hanno senso e necessiterebbe un modo diverso di esprimere il gusto, o l’entusiasmo di un ascoltatore. Si dovrebbero inventarne di nuovi, così come il tentativo di reinventare il linguaggio di un brano è sempre (o quasi) radicale. Come si fa a dire “bravo” ad un performer di musica d’arte? Con quale kit di montaggio del senso estetico si può costruire una scala di valori?
Quest’oggi lasciamo all’ascolto, senza dire troppo prima per non sciupare l’effetto sorpresa, questa manciata di otto esperienze sonore di otto diversi compositori. Alcuni di loro sono già dei nomi importanti nel contesto della musica colta contemporanea (Francesco Filidei su tutti), altri sono menti fresche con un forte talento per la qualità della scrittura (Silvia Borzelli e Leonardo Marino), altri hanno una propensione innata per la regolamentazione espressiva del performing - e dunque dell’ironia intrinseca del gesto umano (Maria Teresa Treccozzi e Sara Caneva).
Poi c’è chi traghetta con disinvoltura esperienze che vanno dall’IRCAM di Parigi al campo arrangiativo - anche sanremese, why not? - (Carlo Carcano) e chi ha lavorato con un meraviglioso approccio empirico e firmato splendide colonne sonore di grandi nomi del cinema italiano (Teho Teardo). E chi non ci azzecca nulla ma siamo certi possa dimostrare un talento innato per la complessità anche senza l’inutile pentagramma (Luca Cavina degli “Zeus!”).
Al solito gli straordinari visual di Andrew Quinn aiuteranno, distoglieranno o disgregheranno la percezione d’ascolto in un tutt’uno che speriamo sia un utile vademecum per capire l’”adesso” in un altro luogo che non quello consueto.
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Silvia Borzelli (1978)
Born in Rome. She lives in Amsterdam. She studied in Italy (Conservatorio O.Respighi) where she graduated in piano and composition, in Sweden (Malmö Musikhögskolan) and in The Netherlands (The Hague Royal Conservatoire) where she obtained a MA. She participated in masterclasses and courses such as Voix Nouvelles, Bartòk Seminar, De Musica, Impuls. Important for her artistic development the opportunity to meet and study with composers such as Brian Ferneyhough, Beat Furrer, Bernhard Lang, Yannis Kyriakides and Francesco Filidei.
She is interested in the relation between music and extra-musical concepts, in their dialogue with sound, form and perception; she is interested in the perseverance of ideas, in poetical mechanisms, in musical materials able to behave as “statements”. She worked on a cycle (2009-13) around the concept of amnesia and the processes of transformation and re-codification of memories.
She received commissions and performances by musicians and ensembles such as ASKO/Schönberg, Nieuw ensemble, Umze Ensemble, Ensemble Linea, Ensemble L’Arsenale, ensemble mdi, Ensemble Reconsil, Ensemble Notabu, Ensemble Klang, Sentieri Selvaggi, Ensemble 2e2m, Les Cris de Paris, Helsingborg Symphony Orchestra, Quartetto Maurice, Duo Dillon-Torquati, Maria Grazia Bellocchio, Dario Calderone, Manuel Zurria, Matteo Cesari, Bas Wiegers, Jean-Philippe Wurtz, Jurjen Hempel and others, in festivals and venues such as, among others, Venice Music Biennale (Venice), RomaEuropa Festival, Nuova Consonanza (Rome), AdM (Modena), music@villaromana (Florence), Musica insieme (Bologna), Festival Aperto (Reggio Emilia), Festival Rondò (Milan), Festival L’Arsenale (Treviso), Rassegna di nuova musica (Macerata), La Via Lattea (Lugano), Voix Nouvelles, Festival de Royaumont (Royaumont), Festival Musica (Strasbourg), Institut Culturel Italien de Paris, Danse élargie – Theatre de la Ville (Paris), Orgel Park festival, Nederlandse Muziek Dagen, Holland Festival (Amsterdam), Gaudeamus Muziekdagen, Gaudeamus Muziekweek (Utrecht), De Link (Tilburg), De Doelen (Rotterdam), November Music (Den Bosch), Festival Synergein (Valencia), Estonian Music Days (Estonia), Contempuls Festival (Prague), Unerhörte Musik (Berlin), Wien Modern / ISCM World New Music Days (Vienna), Gaudeamus Muziekweek New York, Columbia University (New York City).
Selected and awarded in competitions as the IMC International Rostrum for Composers, V. Bucchi International Competition, H. Bosmansprijs and ISCM World New Music Days. Her music has been commissioned and supported by institutions such as the French Ministry of Culture, Radio France, Ernst von Siemens Music Fondation and the Fonds Podiumkunsten Nederland; it has been broadcasted by Radio France (FR), RÚV/Rás1 (IS), Radio 4 (NL) Radio 3 (IT) and some of her works are published by Muziek Centrum Nederland (Donemus).
She teaches music in the Contemporary Dance department at Artez Academy of Modern Arts (Arnhem, Nl). She will be guest teacher 2018 in the Composition department at the Royal Conservatory in Den Haag.
Carlo Carcano (1970)
Nato a Como nel 1970, ho studiato ingegneria informatica all’Università di Padova e composizione al conservatorio Cesare Pollini di Padova ove mi sono diplomato. Diploma di alto perfezionamento all’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Momenti importanti della mia formazione musicale sono stati gli incontri e le lezioni con Gérard Grisey, Brian Ferneyhough e Salvatore Sciarrino. Ho studiato musica elettronica all’IRCAM, al Centro Temporeale e a Padova con Nicola Bernardini. Musiche mie sono state commissionate ed eseguite in diversi paesi, in occasioni come Musik-biennale Berlin, Festival Aix-en-Provence, Festival Archipel Geneve, De Eijsbreker Amsterdam, Voix Nouvelles Paris, PrimaVerona, Gaudeamus Music Week Amsterdam, Siren Musikdagar Göteborg, Bàrtok Festival, Jornadas de Musica Electroacustica Montevideo, Array Music Toronto, Wetterfest Wien, NovecentoMusica Milano, Metafonie-La Scala. Nel 2005 è creata a Poitiers l’opera lirica Cuore – libretto di Caroline Gautier, dalle opere di Edmondo De Amicis – che è poi replicata numerose volte in teatri tra i quali Opéra-Bastille Paris, Opéra de Massy, Opéra de Lille, théâtre de Angers, Opéra de Nantes. Tra i progetti l’opera a più mani Pandora (Lipsia, 2007), il pezzo per mandolini e grande ensemble Sette silenzi, seminati dal riso (Paris, 2008) e il ‘DJ set rituale’ Compressed Cry Chronicles per orchestra, pezzi rock ed immagini (Poitiers, 2009), e l’album per pianoforte solo Cristal (17 finales sin abrazo, un silencio y un comienzo) (2015). Ho creato musica per numerosi spettacoli di danza, tra i quali Disteso, berceuse, commissione della Fondation Royaumont, coregrafie di Thierry Lafont (creato nel 2000 da Percussions de Strasbourg e Les Jeunes Solistes). Nel 2004 la commissione del Teatro Regio di Torino per Alice nel paese delle meraviglie su coreografie di Matteo Levaggi. Del 2006 il lavoro di ricerca su canto e movimento Nous Contre Nous con la coreografa Nicole Piazzon. Lunga la collaborazione con la coreografa Laura Pulin che ha prodotto numerosi spettacoli tra i quali Talismanìe, Alla radio Gardel, Casanova e Canto (2007) e con Luciano Padovani. Coltivo esperienze come performer di teatro musicale. Attualmente è in corso una collaborazione come sound designer con la compagnia teatrale Effetto Larsen.
Sara Caneva (1991)
is a composer inside a conductor. Podium experience crossed her composing mind, leading to a special blend and care for the gestures that produce sound - in any music, pursuing the aim that immediacy and depth go together. Appointed composer in residence 2018 at the Schleswig-Holstein Künstlerhaus in Eckernförde, in 2016-2017 she has been fellow composer at the Teatro dell'Opera di Roma, where she also conducted the world premiere of a contemporary opera dyptich including her stage work On-Off. Her music has been awarded in several international selections and is being played in venues such as Teatro La Fenice di Venezia (2019), Parco della Musica Roma (2018), Teatro dell'Opera di Roma (2017), Musiikkitalo Camerata Helsinki (2018), Mozarteum Salzburg (2017), Moscow Philharmonic (2016), among others. She wrote for performers such as Neue Vocalsolisten Stuttgart, Schallfeld Ensemble, Mdi Ensemble, Moscow Contemporary Music Ensemble, PMCE, NAMES Ensemble, the pianist Ricardo Descalzo, among others. Since 2018 her works are published by Edizioni Suvini Zerboni. Since her debut in opera conducting in 2014, she has been active both as composer and conductor in internationally renowned contexts, working with orchestras like Danubia Orchestra Obuda, Savaria Symphony Orchestra, Südwestdeutsche Philharmonie Konstanz, LaVerdi, Youth Orchestra Teatro dell'Opera di Roma, Berlin Sinfonietta. Between 2015 and 2017 she conducted the Ensemble Formanti, oriented on contemporary and improvised music. She currently pursues an independent project researching impact of visual cues on the listening perception and social aspects of sound ecology through treasure hunts with sounds and soundwalks.
Luca Cavina (1981)
Nato a Imola, nasce a pane, Meshuggah e controllo della violenza. Militando attraverso svariate esperienze come bassista con Transgender, Calibro 35, Zeus!, Incidente on South Street, Arto e molte altre entità più o meno organiche o stabili. Non legge la musica in senso stretto, ma ne possiede estro e capacità talmente sviluppate da sopperire con memoria ed orecchie straordinarie. In qualità di compositore con Zeus! inventa congegni musicali auto generativi che molto hanno dell’esperienza math-rock più estrema, tanto da fare il giro e sembrare musica colta. Questo è il suo primo brano di musica scritta per ensemble acustico.
Francesco Filidei (1973)
Francesco Filidei è stato allievo di Salvatore Sciarrino. Dopo essersi diplomato in organo al Conservatorio di Firenze si è specializzato in composizione al Conservatoire de Paris. È stato membro dell’IRCAM della Casa Velasquez, e dell'Academia Schloss Solitude a Stoccarda. Le sue opere, edite da Rai Trade e Ars Publica sono state eseguite da diverse orchestre come l'Itinéraire, Alter Ego, Cairn, L'Instant donné, le Nouvel Ensemble Modern, Court-Circuit, l'Ensemble intercontemporain, le Percussions de Strasbourg, il Klangforum Wien. Alcune sue composizioni sono state trasmesse da Rai3 e RadioFrance. Filidei cerca con le sue opere, come ha affermato Sciarrino, di immaginare una musica privata dell'elemento sonoro, facendo rimanere solo lo scheletro, un suono leggero ma ricco. Come organista è conosciuto come interprete di Franz Listz di cui ha interpretato la produzione integrale per tale strumento. Ha suonato come solista alla Filarmonica di Berlino, al Festival d'Automne a Parigi, al Festival Archipel a Ginevra, alla Biennale di Venezia, a l'IRCAM et al Forum Neues Musiktheater di Stoccarda.
Teho Teardo (1966)
Teho Teardo, nato a Pordenone, è compositore, musicista e sound designer. Si dedica all'attività concertistica e discografica pubblicando diversi album che indagano il rapporto tra musica elettronica e strumenti tradizionali.
Vanta collaborazioni importanti come musicista prima ancora che come autore per immagini: negli anni ’90 fonda il suo primo gruppo, i Meathead, grazie al quale collabora con Cop Shoot Cop, Lydia Lunch, Erik Friedlander (Masada/J. Zorn) e Mick Harris (ex Napalm Death) con il quale dà vita a Birmingham al progetto Matera e all’album Same Here pubblicato sia in Europa che America. Nel 1998 pubblica l'album Brooklyn Bank degli Here, realizzato a New York assieme a Jim Coleman (Cop Shoot Cop, Foetus). Con Scott Mccloud (Girls Against Boys) dà vita agli Operator, il cui album di debutto Welcome To The Wonderful World esce in Europa a marzo 2003; nello stesso mese gli Operator suonano con i Placebo all'Olympia di Parigi e, successivamente, gli stessi Placebo li invitano ad aprire i concerti del loro tour europeo.
Realizza molti remix per Placebo, Rothko, Pigface, C.S.I., Marlene Kuntz, Departure Lunge, Front 242, Sheep On Drugs, ecc.
Compone ed esegue le musiche per A Page Of Madness, film muto giapponese del 1926, presentato al festival Le Giornate Del Cinema Muto di Pordenone. Cura le musiche per Rooms, spettacolo della compagnia teatrale Motus. Crea le musiche per le installazioni del Museo degli Etruschi di Piombino e al Museo d’Arte Orientale di Torino. Rilevante è l’impegno di Teho Teardo nel mondo del cinema, realizza infatti colonne sonore per i più importanti registi italiani: Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Andrea Molaioli, Guido Chiesa, Daniele Vicari, Stefano Incerti, e Claudio Cupellini tra i tanti, divenendo nel giro di pochi anni un riferimento per la musica al cinema. Infatti, i riconoscimenti non sono mancati: primo fra tutti il David di Donatello per il film Il Divo di Paolo Sorrentino ma anche il Nastro d'Argento per Lavorare con lentezza e L'amico di famiglia; sempre grazie alle musiche composte per Lavorare con lentezza, si è aggiudicato il Ciak d'Oro nel 2005 e nel 2009 il Premio Ennio Morricone all’Italia Film Fest. Ha inoltre ricevuto diverse nomination al Nastro d'Argento e David di Donatello. Nel 2011 torna a collaborare con Andrea Molaioli realizzando la colonna sonora de Il Gioiellino, film ispirato al crak Parmalat.
Con la compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio realizza lo spettacolo Ingiuria in cui partecipano anche il violinista Alexander Balanescu e Blixa Bargeld degli Einsturzende Neubauten. Con quest’ultimo scrive e produce A Quite Life, una canzone per la colonna sonora del film Una vita tranquilla di Claudio Cupellini. Nel settembre 2011 collabora con il violoncellista Mario Brunello alla realizzazione di Bach: Street View, una rilettura de L’Arte della fuga di Bach. Collabora con importanti musicisti della scena internazionale come Erik Friedlander con cui registra Giorni rubati, album ispirato alla poesia di Pasolini. Con l’attore Elio Germano realizza lo spettacolo Viaggio al termine della notte, tratto dal capolavoro di Céline, e il brano “stanotte cosa succederà” in cui Germano presta la sua voce. Nel 2012 pubblica Music, film. Music, la raccolta delle sue migliori colonne sonore. Di lui Ennio Morricone dice: Teho Teardo searches for originality through difficult forms, using repetition, an economy of materials and a personal minimalism; in short, through a contínuous "passacaglia" he searches for solutions that can fit both his needs and those of the film he writes music for. Experience tells me that sooner or later, those who seek will find and between searching and finding there are important moments, moments such as the ones we hear on this beautiful album.
Partecipa alle registrazioni dell’album di Malka Spiegel dove suona con Johnny Marr degli Smiths, Colin Newman degli Wire e con membri di Stereolab e Tarwater. Crea la colonna sonora del film Diaz di Daniele Vicari, film premiato al Festival di Berlino. Con lo stesso regista lavora al documentario La Nave Dolce presentato con successo di critica all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Compone anche la colonna sonora del documentario Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo e Guido Gabrielli, decretato miglior film all’edizione 2012 del Torino Film Festival.
A settembre 2012 inizia una collaborazione con il fotografo francese Charles Fréger per allestire un progetto live che è stato presentato in anteprima il 17 ottobre all'Auditorium Parco della Musica di Roma e che è stato poi pubblicato il 26 gennaio col nome Music for Wilder Mann, dall’etichetta Specula Records. Il disco vanta la collaborazione del Balanescu Quartet, di Erik Friedlander e Julia Kent. Con Blixa Bargeld, leader degli Einsturzende Neubauten e storico braccio destro di Nick Cave nei Bad Seeds, ha scritto e pubblicato il 22 aprile 2013 un album di canzoni dal titolo Still Smiling. Il disco è stato accolto molto favorevolmente in tutta Europa e dopo una prima serie di concerti europei tutti sold out seguirà un intero tour in Europa. Compone la colonna sonora del documentario La Voce di Berlinguer di Mario Sesti, presentato il 23 novembre 2013 all’Auditorium del Museo Maxxi di Roma. Ha curato la registrazione con i Placebo, presso il suo studio romano, del brano Loud Like Love (piano version) contenuto nell’EP dall’omonimo titolo, pubblicato nel 2014 dalla band. Il 19 aprile 2014 pubblica, sempre con Blixa Bargeld, l’EP dal titolo Spring!.Contemporaneamente, compone le musiche di Ballyturk, l'opera teatrale di Enda Walsh che ha debuttato il 10 luglio al Festival di Galway e poi l’11 settembre al National Theatre di Londra per un mese. Nel cast anche Cillian Murphy e Stephen Rea. Il 21 ottobre pubblica l’album Ballyturk in cui compaiono anche Joe Lally (Fugazi), Lori Goldston, violoncellista dei Nirvana e Cillian Murphy come voce narrante. Compone le colone sonore per il documentario Senza Lucio di Mario Sesti e per il film Triangle di Costanza Quadriglio. Entrambe le opere sono presentate al Torino Film Festival 2014. Il 6 e il 7 dicembre 2014, a Villa Manin (UD), compone ed esegue dal vivo tre colonne sonore per tre film di Man Ray in occasione della mostra a lui dedicata. Lo stesso progetto è stato presentato anche nel 2015, il 6 febbraio al Museo Nazione del Cinema di Torino e il 7 febbraio al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma. Compone le musiche per lo spettacolo teatrale The Matchbox di Joan Sheehy che debutta il 15 luglio al Festival di Galway e sempre allo stesso Festival, il 20 luglio presenta in anteprima l’album Le retour à la raison che sarà pubblicato in tutta Europa il 19 settembre. In occasione del Pula Film Festival 2015, Teardo si aggiudica “The Golden Arena” per le musiche del film “You Carry Me” della regista Anita Juka.
Maria Teresa Treccozzi (1981)
Maria Teresa Treccozzi nata in Italia, si diploma in pianoforte, in composizione ed in musica elettronica. Ha studiato al conservatorio “G.Verdi” di Milano con Gabriele Manca, ha conseguito il diploma di alto perfezionamento in composizione presso l’Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma sotto la guida del M° Ivan Fedele ed ha studiato alla Musikhochschule di Karlsruhe col M° Wolfgang Rihm tramite progetto Erasmus. Ha frequentato un Kontaktstudium in composizione presso la Musikhochschule (HfM Saar) di Saarbrücken con Arnulf Hermmann.Ha partecipato alle seguenti masterclass con: Dieter Ammann, Pierluigi Billone, Raphael Cendo, Azio Corghi, Chaya Czernowin, Hugues Dufourt, Emanuel Favreau, Ivan Fedele, Francesco Filidei, Beat Furrer, Stefano Gervasoni, David Helbich, Mauro Lanza, Fabien Lévy, Bruno Mantovani, Jean-Claude Risset, Yann Robin, Lucia Ronchetti, Alessandro Solbiati, Marco Stroppa. I suoi brani sono stati eseguiti: CGAC (Centro Galego de Arte Contemporánea) Santiago de Compostela, Darmstädter Ferienkurse, Museo del Novecento, piazza Duomo Milano, Cambridge Festival of Change, Harvard University (Graduate Music Conference), Bilbao, Fundación BBVA, Torri dell ́Acqua di Budrio, Luxembourg Abbey Neimënster, Radio-Funkhaus Halberg- SR2 (Saarbrücken), Saarland Museum (Moderne Galerie, Saarbrücken), Teatro Dal Verme di Milano, Schloss Gottesaue Velte–Saal (Karlsruhe), Heiligenkreuz im lafnitztal (Austria) Opera Barga Festival (LU), Auditorium Verdi di Milano, Istituto Giapponese di Cultura di Roma per il festival “Nuova Consonanza”, Parco della Musica di Roma, Teatro dei Teatini (Lecce), Radio SR-AntennaSaar (Saarbrücken), Scuole civiche di Milano, Teatro Lattuada (Milano), Teatro Sociale di Como, Festival Urticanti, Contemporany Music Festival di Moui (Hawaii). Ha ricevuto commissioni da: Nuova Consonanza, Orchestra “Tito Schipa” di Lecce, Festival Sommermusik Saarbrücken. Ha collaborato con: la Deutsche Radio Philharmonie diretta da Roland Kluttig, l’Orchestra Sinfonica “G.Verdi” di Milano diretta da Dario Garegnani, con l’Orchestra “Tito Schipa”di Lecce diretta da Massimo Quarta, con l’Ensemble del Novecento diretta da Carlo Rizzari, con l’ensemble Vertixe Sonora, con il New Made Ensemble e con l’Ensemble Lucilin. Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti: Premio SIAE under 35 “Classici d’oggi”, “Künsteler-Förderstipendien Saarbrücken 2016”, una menzione d’onore al concorso di composizione indetto dalla Galleria di Arte Moderna di Milano, una menzione al concorso Milano digitale IV con il progetto Piccoli in orchestra (2011) ed un premio al concorso internazionale di composizione Diventa Nota a Roma. Ha partecipato al festival eviMus 2014, 2015, 2018 di musica elettroacustica a Saarbrücken. Maria Teresa dal 2006 fino al 2012, è stata impegnata nell′attività didattica musicale in diverse scuole italiane Attualmente vive in Germania.
Leonardo Marino (1992)
È un compositore siciliano con base a Milano. È un musicista con background sia nella musica classica che nel jazz. Ha studiato composizione a Milano con Alessandro Solbiati e adesso è nella classe di Michael Jarrell, presso la Haute École de Musique de Genève. La sua musica è stata eseguita e programmata da diversi ensemble (Divertimento Ensemble, Mdi Ensemble, Ukho Ensemble, Ensemble Prometeo, Ensemble Contrechamps, IEMA etc.), direttori (Marco Angius, Luigi Gaggero, Daniel Kawka, Filippo Perocco, etc) e solisti (Dyna Pisarenko, Alfonso Alberti, Mariagrazia Bellocchio, Rachel Koblyakov, Viktor Rekalo, Tim Maas, Micheal Taylor, Laura Catrani, etc). La sua opera da camera “APNEA” è stata eseguita durante il “61esimo Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia” nel 2017.
Nel 2020 sarà uno dei due “mentored composer” della Péter Eötvös Foundation.
La sua musica è pubblicata da Edizioni Suvini Zerboni - SugarMusic S.p.A., Milano.
Penguin Cafe Orchestra: a Retrospective
ContempoRarities IV
Domenica 1 dicembre 2019, h18
“Penguin Cafe Orchestra: a retrospective”
Arthur Jeffes, chitarre e tastiere
Alessandro “Asso” Stefana, chitarre e tastiere
Esecutori di Metallo su Carta:
Yoko Morimyo, violino e viola
Angelo Maria Santisi, violoncello
Federico Pierantoni, trombone
Damiano Afrifa, tastiere
Enrico Gabrielli, fiati e tastiere
Sebastiano De Gennaro, percussioni
Andrew Quinn, sound reacting visual
“Nel 1972 ero nel sud della Francia. Avevo mangiato del pesce cattivo e stavo male. Mentre ero sdraiato a letto, avevo una strana visione ricorrente: davanti a me, c'era un edificio di cemento. Ho potuto vedere nelle stanze, ognuna delle quali era come fosse scansionata da un occhio elettronico. Nelle stanze c'erano tutte persone preoccupate. In una stanza una di esse si guardava allo specchio e in un'altra una coppia faceva l'amore, senza alcun trasporto. In una terza stanza un compositore ascoltava musica attraverso le cuffie e intorno a lui c'erano montagne di apparecchiature elettroniche: eppure tutto era silenzio. La scena era per me una desolazione ordinata. Era come se stessi guardando in un posto anonimo. Il giorno dopo, quando mi sentivo meglio, ero sulla spiaggia a prendere il sole e improvvisamente una filastrocca mi è saltata in testa: 'I am the proprietor of the Penguin Cafe, I will tell you things at random' (“sono il proprietario del Penguin Cafe, ti dirò cose a caso”).”
Also sprach il buon Simon Jeffes (Sussex, 1949-1997), il fondatore e mente dietro alla misteriosa e onirica concezione della “Penguin Cafe Orchestra”.
La PCO è stato un ensemble che eseguiva musica scritta originale, pasticciando con il mondo ambiguo del folk, del minimalismo e dell’ambient music. L’impianto della forma concettuale in realtà voleva avere qualcosa di “classico” ma la massiccia presenza di strumenti a corde e di objet trouvé (come armonium, percussioni elementari e organetti da due lire) tradiva quel particolare gusto inglese per l’intimità che non necessitava di una formazione colta o di virtuosismo tecnico.
La retrospettiva degli Esecutori di Metallo su Carta prende a piene mani dai dischi più importanti della loro produzione: “Broadcasting from Home” del 1984 e “Penguin Cafe Orchestra” del 1981 su tutti.
La presenza di Arthur Jeffes, figlio di Simon e musicista dalla mente brillante sancisce che questa musica mantiene una forza e una continuità che, speriamo, sarà consegnata all’incerto futuro. È un musica da una forte componente emotiva senza strepiti senza inutili sprechi di retorica: un giorno, questa attitudine, tornerà ad essere un valore.
Ne siamo certi.
ContempoRarities 2019, IV edizione (1, 8 e 15 dicembre h18)
1, 8 e 15 dicembre 2019 h18
Santeria Social Club - Milano
In collaborazione con 19’40’’
LA PRESENTAZIONE DI (UN) RITO
Al sopraggiungere della quarta edizione di un Festival come ContempoRarities sovviene una domanda: la garanzia di durata di un festival da cosa è data? Un influencer direbbe che “oggigiorno è determinata da ragguardevoli incassi e dalla grande diffusione sociale on line”. Eppure ContempoRarities non ha mai incrementato né il dané delle presenze e né tantomeno è finito in qualche passaparola virale sui social. E allora perché ha raggiunto la veneranda Quarta edizione? Il motivo forse andrebbe ricercato nell’idea utopistica di fondo: fare un festival in un posto, il Santeria Social Club, sensibile alle interazioni alto-basso, underground-istituzione, popolo-persona a prescindere dagli esiti economici. E fare un festival di scatole sonore multimediali semplici che raggiungano un pubblico non avvezzo alla complessità della musica scritta.
In più la formula con l’ensemble residente (gli immarcescibili Esecutori di Metallo su Carta, diretti sovente dall’eccellente Marcello Corti), un visual artist (sempre di altissimo livello) e un concept ben definito è un marchio che fa di ContempoRarities una specie di festival “da collezione”. Un po’ come per la sua entità matrice, la 19’40’’, che pubblica dischi ogni quattro mesi con l’intento di fornire all’ascoltatore non un dettaglio microscopico di sé stessi, ma un corpus completo sulla visione del fare musica scritta.
Questa, come le figurine, la sequenza delle giornate da collezione di ContempoRarities dal suo nascere (nel lontano 2016) ad oggi:
“Histoire du Soldat”, musiche di Igor' Fëdorovič Stravinskij
“The Planets, op.32”, musiche di Gustav Holst
“All my robots + Esecutori di Metallo su Carta: Progetto Generativo”, musiche di Sebastiano De Gennaro e musica italiana musicale massiva
“Pictures at an Exhibition”, musiche di Modest Mussorgsky (feat. The Winstons)
“Ai confini di Twilight Zone”, musiche di Bernard Herrmann
“Maximalist/Minimalist”, musiche di Romitelli, Pärt, Harrison, Andriessen
“Lesiman/Paolo Renosto, una retrospettiva” (feat. Calibro 35)
“Anti Minimalismo Italiano”, musiche di Battiato, Donatoni, Castaldi, Scelsi, Curran, Caldini
“Arcade Music”, musiche di Follin, Hindemith, Sornisi
“Pinocchio!”, musiche di Carpi, testo di Collodi (feat. Francesco Bianconi)
E queste le tre prossime:
1 dicembre 2019
“Penguin Cafe Orchestra: una retrospettiva”
Esecutori di Metallo su Carta
feat. Arthur Jeffes + Alessandro “Asso” Stefana
+ Andrew Quinn, sound reacting visual
8 dicembre 2019
“Pura Attualità”
musiche di Silvia Borzelli, Sara Caneva, Carlo Carcano, Luca Cavina, Leonardo Marino,
Francesco Filidei, Teho Teardo, Maria Teresa Treccozzi
Esecutori di Metallo su Carta
Marcello Corti, direttore
+ Pietro Puccio, immagini
15 dicembre 2019
“Il Carnevale degli Animali sul Tetto”
musiche di Darius Milhaud, Camille Saint-Saëns
feat. Daniel Plantz, Ramiro Levy, dei Selton
Esecutori di Metallo su Carta
Marcello Corti, direttore
+ Pietro Puccio, immagini
Chi, fin qui, ha avuto la fortuna di assistere a tutte le giornate un bel dì potrà raccontarlo ai posteri. Chi ancora non ne ha vista nemmeno una, avrà comunque la fortuna di iniziare un viaggio che ci auguriamo arrivi alla edizione numero infinito.
Buon ascolto e visione.
UK does it better: "Prom 27", The Sound of Space...
Tutti sanno cosa sono i Proms.
Se qualcuno non lo sapesse, essi sono “The World’s Greatest Classical Music Festival”. Così dice, senza alcuna falsa modestia la didascalia in calce. Non è presunzione da colonialismo inglese, ma è la pura e semplice varietà.
Istituiti alla fine dell’800 sono una stagione concertistica estiva durante la quale vengono eseguiti uno o più concerti al giorno da una grande orchestra sinfonica (in genere la London Symphony Orchestra, ma a volte anche la London Simphonietta e la London Contemporary Orchestra). I programmi sono pensati appositamente per raggiungere un pubblico non necessariamente esperto ma il più vasto, innocente e diversificato possibile. E così facendo a volte certi programmi riescono a coinvolgere migliaia di persone, cifre ogni immaginazione per il panorama classico settoriale.
Si svolgono generalmente alla Royal Albert Hall di Londra, sala circolare con tutta una serie di complicazioni acustiche, ma dall’indiscutibile fascino secolare.
E poi trasmessi alla BBC radio, dati in streaming video ( unica nota negativa: noi extra–UK non vi possiamo accedere) e in ascolto integrale sul sito bbc.co.uk.
Lo scorso 7 agosto 2019 la London Contemporary Orchestra, diretta dall’inglese Robert Ames (musicista di fiducia del circolo meraviglioso attorno a cui si è stretto il soundtrack targato UK come quello di Jonny Greenwood) è stato il concerto n° 27 dei Proms 2019 dal titolo altisonante di “The Sound of Space”.
Si è trattato di un inanellamento di partiture tratte da dieci film, perloppiù moderni, di fantascienza mainstream. Questa la presentazione sul sito:
“A Late Night Prom with a futuristic spin brings together some of the best sci-fi film music. Excerpts from cult soundtracks come together with recent works by Hans Zimmer and Mica Levi.
The award winning London Contemporary Orchestra – whose collaborators include Radiohead, Goldfrapp and Steve Reich – perform music from Under the Skin, Interstellar and the recent Netflix series The Innocents, among other titles, as well as from Alien: Covenant, whose soundtrack the LCO recorded.”
Quindi ecco la sequenza:
Stephen Price “Gravity”
Mica Levi “Under The Skin” (la mia partitura preferita tra tutte)
John Murphy “Sunshine”
Wendy Carlos “Tron - Scherzo”
Carly Paradis “The Innocents”
Clint Mansell “Moon”
Louis and Bebe Barron “Forbidden Planet”
Jed Kurzel “Alien Covenant”
Jóhann Jóhannsson “Arrival - Suite No 1” (altro grandissimo picco)
Hans Zimmer “Interstellar”
Non serve fare panegirici su quanto sia un passo in là la concezione di diffusione di massa della musica classica in UK e nemmeno quanto hanno fatto per rendere lo sci-fi quel filone magnifico che è dagli anni Cinquanta ad oggi.
Ma questo è un programma che a gente come noi, di 19’40’’, incastrati in questa sottile via di mezzo tra dederio compulsivo di comprendere e “far” comprendere le cose alla gente normale, ci ha entusiasmato a livelli incalcolabili.
Qui si può ascoltare:
https://www.bbc.co.uk/sounds/play/m0007d2b
Fatelo e passerete del tempo prezioso con voi stessi e la musica che ha reso il cinema sci-fi importante per l’uomo e la sua origine di sognatore atavico…
https://www.bbc.co.uk/events/eqhj6q
https://www.bbc.co.uk/sounds/play/m0007d2b
Mort Garson’s "Mother Earth Plantasia" (1976) - warm earth music for plants...and the people who love them
Un giorno Franceso Fusaro, l’ingegnoso musicologo e dj della 19’40’’ disse “ragazzi, perché non facciamo un disco ambientalista?”. Beh, ottima idea. Ma da dove cominciare? Ambientalista, ecosostenibile, ecologico sono tutte cose che in musica si traducono male. Anche perché a ben sentire, solo il silenzio è la musica più ecologica che ci sia. Il silenzio è il predominio della natura che suona, anzi: è il suono dell’uomo che lascia suonare il mondo. L’assenza dell’uomo sarebbe la cosa più ecologia che c’è. E quindi l’uomo non può fare un disco ecosostenibile per ragioni intrinseche. È un cul-de-sac. “Caro Francesco” stavo per rispondere “non se ne esce”.
Ma il musicista Sebastiano De Gennaro conosceva un disco bizzarro (a sua volta consigliato da Matteo Lenzi, in una catena infinita di relazioni), registrato nel 1976 da Mort Garson, un arrangiatore e compositore americano di musica leggera, che si intitola “Mother Earth’s Plantasia”. Forse sulla scia del movimento hippie californiano, questo curioso signore decise di produrre un lavoro sonoro specifico per “la crescita delle piante”. In copertina c’è uno schizzo naif di due personaggi stilizzati che attorno ad una specie di rampicante dentro ad un vaso sorridono felici. È un art work tremendo, sembra l’etichetta di un diserbante. Ad implementare l’improbabile quadro concettuale c’è una scritta firmata “Dr. T.C. Singh, Department of Botany, Annamalai University India”. Un disco dal pollice verde, certificato da una ignota istituzione Indiana.
A sollevare però il tutto dall’operazione astruso-antropocentrica ci pensa il fatto che questa musica contenuta su disco è meravigliosa.
I dieci brani dai buffi titoli tipo “Rapsodia in verde” o “Concerto per Filodendro & Photos”, provengono dall’ingegno di un vero artigiano della forma strumentale, da uno che di scrittura armonica e di coscienza compositiva ne sapeva (Garson studiò alla Juilliard School). Ne più e ne meno del livello di Piero Umiliani o di Burt Bacharach. Probabilmente l’ossatura del progetto nacque dal pianoforte, ma poi, il signor Garson decise di registrare tutto quanto con l’uso del Moog e di altri sintetizzatori di cui, all’epoca, era un felice pioniere.
Per quanto “Plantasia” non sia un disco ecosostenibile di fatto e non contribuisca minimamente alla crescita delle piante (il consumo elettrico di un laboratorio fonologico pieno di oscillatori nel 1976 non era certo parsimonioso), è un progetto talmente para-scientifico, da essere perfetto per la crescita dei bambini! Genitori di tutto il mondo lo sperimentano di persona e pare funzioni a meraviglia. Un giorno faremo, con 19’40’’, una versione di questo album interamente acustica, con piccola orchestra. Così non consumeremo nemmeno un watt.
Sarà il nostro modo per essere ecosostenibili nella pratica e non nella teoria. Nei limiti di essere degli esseri umani, ovviamente.
Vi terremo aggiornati.
Sulle macerie: ricognizione di un futuro sospeso dentro un televisore catodico in bianco e nero / On the rubble: sweep of a future suspended within a black and white cathode-ray television set
Gianluca Tosi, autore dello straordinario Mr. Mah-nà Mah-nà, Piero Umiliani e la sua musica (Bloodbuster edizioni) ha scritto per noi una panoramica sul mondo “library music” in un articolo che sarà contenuto nel booklet della prossima uscita “Lesiman, in arte Paolo Renosto” (19m40s_08).
Buona lettura!
Paolo Renosto by Andrea “Scarfo” Scarfone
Cologno Monzese, 1973 – Circa una decina di anni prima che Silvio Berlusconi acquistasse glistudi Cinelandia di viale Europa, il violinista, compositore e produttore discografico Armando Sciascia apriva le porte di quei luoghi destinati a dare la luce a produzioni come Ok il Prezzo è Giusto e La Ruota della Fortuna, a Paolo Renosto (1935-1988), compositore fiorentino formatosi nella musica colta e d’avanguardia che dedicò parte della sua carriera anche all’ambito della musica applicata a programmi televisivi o radiofonici, la cosiddetta library music. Erano i plumbei anni Settanta, quelli del piombo, dei dolcevita scuri e degli schermi in bianco e nero. Il monopolio dell’etere e del tubo catodico era ancora saldo nelle mani della RAI, che mediante un micromondo interno di faccendieri, musicisti e operatori dello spettacolo, portava dentro le case degli italiani cultura, divertimento e attualità. Ecco quindi la necessità costante di avere sottofondi descrittivi multiformi con cui far dialogare (o semplicemente su cui far scorrere) immagini e suoni dai soggetti più disparati: dai documentari sul mondo sottomarino, ai reportage sui problemi dell’uomo; dagli sceneggiati televisivi, ai radiodrammi.
Braen, Peymont, H. Tical, Raskovich, Zalla, Narassa, Atmo, sono stati alcuni tra gli innumerevoli eroi musicali di quelle stagioni, compositori che, sotto pseudonimo, si sono dedicati all’attività di sonorizzazione sia perché la maggior parte di loro non ebbe modo di trovare spazio a Cinecittà, sia perché, per quanto considerata da loro stessi una prosaica attività di ‘serie B’, fruttava guadagni sostanziosi e permetteva una libertà creativa a dir poco assoluta.
Per far fronte a questa immensa quantità di musica, sorse in breve tempo un numero impressionante di etichette discografiche, spesso create ad hoc dai compositori stessi: è il caso, ad esempio, della Rotary e della Omicron dei pianisti Amedeo Tommasi e Piero Umiliani, della New Tape del sassofonista Cicci Santucci e della Vedette di Armando Sciascia. E proprio per quest’ultima, Paolo Renosto incise sotto lo pseudonimo di Lesiman dischi di sincronizzazione davvero notevoli, come Here and Now vol. 1 e 2 (1973-1974), un dittico per piccolo organico dominato da ipnotici pedali di basso e magnetici swing di batteria, sopra i quali tastiere e sintetizzatori plasmano loop oscuri e fraseggi evocativi: un mix disarmante di angoscia tensiva e vibrazioni futuristiche. Ascoltando brani come “Colloquio”, “Confronto” o “Moto Centripeto” sembra di galleggiare nel tempo, ma con un peso attaccato ai piedi: una sorta di ‘disagio sospeso’, penetrate e vagamente sinistro, che vorrebbe emergere in un’assenza totale di riferimenti direzionali.
Un ancora più vivido e inquietante senso di spaesamento emerge nelle altre quattro produzioni Vedette, ovvero High Tension vol. 1, 2, 3 e 4 (1973-1978): qui non si levita più nell’aria, semmai si respira a fatica nel vuoto di paesaggi desolanti, immersi nell’atmosfera cinerea e rarefatta di macerie e fabbriche fatiscenti. Già dai titoli delle composizioni si può immaginare a quale tipologia di servizi giornalistici fossero dirette queste musiche rabbuianti: “Ricognizione sulle macerie”, “Incubo di Prigionia”, “Sveglia Tragica” non possono che farci immergere in un’umbratile alba apocalittica scandita da tastiere sferraglianti, tamburi marziali e rintocchi atonali lugubri e ossessivi. Talvolta il fumo si dirada, lasciando spazio anche a qualche momento più mosso e meno disperato, per quanto sempre intriso di un’atmosfera fredda e inquieta: penso ai groove funk-disco di “Irruzione”, a quelli metropolitani di “Milano ‘72” e alle chitarre malinconiche di “Fiaccole di Pino” e “Trepido e Ilare giorno”, che tratteggiano melodie desaturando l’aria dalle scorie oppressive di un mondo in rovina.
Certo Lesiman/Renosto non è solamente Cinelandia e la sua musica non può essere semplicemente derubricata a perfetta colonna sonora per i postumi di un’apocalisse. Il bagaglio di studi e di esperienze che fece all’interno della musica colta è immenso – ebbe come maestri, tra gli altri, Luigi Dallapiccola, Angelo Francesco Lavagnino e Bruno Maderna; si confrontò con il teatro musicale d’avanguardia sperimentando interazioni e manipolazioni tra suoni umani e analogici (Andante Amoroso, 1970) e non perse l’occasione per frequentare anche la musica ‘leggera’, componendo canzoni e lavorando, nel 1963-64, come direttore d’orchestra per la trasmissione RAI Gran Premio, abbinata alla Lotteria di Capodanno.
E poi il jazz tensivo, riflessivo e ‘futuristico’ usato in programmi tv come A come Agricoltura, l‘easy listening del disco Renosto Major (Metropole, 1971), le collaborazioni con altri importanti compositori per piccolo schermo, come Giuliano Sorgini e Romolo Grano, una colonna sonora per il film Irene Irene (1975) di Peter Del Monte... e molto altro.
Ma non serve sorvolare le rovine di un mondo ancora sospeso dentro a un televisore bicromatico per trovare l‘essenza di Renosto/Lesiman: ci hanno già pensato egregiamente quelli di 19’40’’ insieme ai Calibro 35 e all’ensemble Esecutori di Metallo su Carta.
Basta schiacciare play e prendere il volo.
Gianluca Tosi
Players (1968)
About ten years before Silvio Berlusconi purchased the Cinelandia studios of Viale Europa, the violinist, composer and record producer Armando Sciascia opened the doors of those places intended to give birth to productions like Ok il prezzo è giusto and La Ruota della Fortuna, to Paolo Renosto (1935-1988), a Florentine composer who studied classical and avant-garde music and who dedicated part of his career to the field of music applied to television and radio programmes, the so-called library music.
They were the leaden seventies, those of lead, dark turtlenecks and black and white screens. The monopoly of the ether and the cathode ray tube was still firmly in the hands of RAI, which with the help of an internal microcosm of fixers, musicians and show business operators, carried culture, entertainment and current affairs into Italian homes. Here is the constant need to have multi-form descriptive backdrops with which to communicate (or simply to accompany) images and sounds from the most disparate subjects: from documentaries on the underwater world, to reportages on human problems, from television dramas to radio dramas.
Braen, Peymont, H. Tical, Raskovich, Zalla, Narassa, Atmo, were some of the innumerable musical heroes of those seasons, composers who, under pseudonym, have dedicated themselves to the activity of soundtracking. The reason for this was that most of them had no way of finding space in Cinecittà, and also because, although considered by them to be a prosaic 'B series' activity, it yielded substantial earnings and allowed them absolute creative freedom, to say the least.
In order to cope with this immense quantity of music, an impressive number of record labels arose in a short time. They were often created ad hoc by the composers themselves: this is the case, for example, of Rotary and the Omicron of pianists Amedeo Tommasi and Piero Umiliani, of the New Tape of saxophonist Cicci Santucci and of the Vedette of Armando Sciascia. And for the latter, Paolo Renosto recorded under the pseudonym of Lesiman some really remarkable synchronization records, such as Here and Now vol. 1 and 2 (1973-1974), a two-part creation for small band dominated by hypnotic bass pedals and magnetic drum swings, on which keyboards and synthesizers shape dark loops and evocative phrases: a disarming mix of tension anguish and futuristic vibrations. Pieces like ''Colloquio", ''Confronto" and ''Moto Centripeto" seem to float in time, but with a weight weighing down the feet: a sort of ''suspended discomfort' penetrating and vaguely sinister, which would like to emerge in a total absence of directional references.
An even more vivid and disturbing sense of disorientation emerges in the other four productions Vedette, or High Tension vol. 1, 2, 3 and 4 (1973-1978): here you no longer levitate, rather you can hardly breathe in the emptiness of desolate landscapes, immersed in the ashy and rarefied atmosphere of rubble and crumbling factories. From the titles of the compositions it is already possible to imagine what kind of journalistic reports were directed at these darkening musical creations: ''Ricognizione sulle macerie" (Sweep on the rubble), ''Incubo di Prigionia" (Nightmare of imprisonment), ''Sveglia Tragica" (Dramatic awake) can only immerse us in a shadowy apocalyptic dawn punctuated by clattering keyboards, martial drums and lugubrious and obsessive atonal chimes. Sometimes the smoke thins, giving way for a for a few moments of movement and less desperation, although always permeated by a cold atmosphere of disquiet: I think of the funk-disco grooves of ''Irruzione" the metropolitan ones of ''Milano '72'' and the melancholy guitars of ''Fiaccole di Pino"and ''Trepido e ilare giorno" which sketch melodies desaturating the air from the oppressive waste of a world in ruins.
Of course Lesiman/Renosto is not only Cinelandia and his music can't simply be pigeon-holedclassified as the perfect soundtrack for the aftermath of an apocalypse. The wealth of studies and experiences he contributed to art music is immense - he had as teachers, among others, Luigi Dallapiccola, Angelo Francesco Lavagnino and Bruno Maderna; he confronted the avant-garde musical theater experimenting with interactions and manipulations between human and analog sounds (Andante Amoroso, 1970) and did not miss the opportunity to attend also the 'light'; music, composing songs and working, in 1963-64, as conductor for the RAI Grand Prix program, combined with the New Year's Lottery.
And then the tense, reflective and 'futuristic' jazz used in TV programs like A as Agriculture, the easy listening of the album Renosto Major (Metropole, 1971), the collaborations with other significant composers for small screens, such as Giuliano Sorgini and Romolo Grano, a soundtrack for the film Irene Irene (1975) by Peter Del Monte. . . and much more.
But it is not necessary to fly over the ruins of a world still suspended inside a two-colour television set to find the essence of Renosto/Lesiman: those of 19'40'' have already thought of it very well together with Calibre 35 and the ensemble Esecutori di Metallo su Carta Just crush play and take off.
Gianluca Tosi
Il maestro d'orchestra a Sanremo: appunti
Come funziona il Festival della Canzone Italiana dal punto di vista di coloro che devono occuparsi di quella strana macchina che si chiama “orchestra”?
Non posso dichiararmi un veterano, né tanto meno un fervente accolito della chiesa del Santo Remo. Ma da piccolo ricordo che però lo si guardava, un po’ sulla scia lunga della depressione post Natalizia e l’euforia pre Carnevalesca. Ora però che del Carnevale non frega niente a nessuno questa associazione pare vieppiù anacronistica. Però le parentele tra il Festival della Canzone Italiana e il Carnevale per me sono sempre state evidenti: costumi, sfarzo, fiori, falsa allegria, luci. In una sola parola: una “carnevalata”. La musica è sempre stato un “poi”, un “dopo”, la foglia di lattuga nell’hamburger.
Poi è successo, negli anni, che Sanremo ha perso e ripreso aderenza nell’interesse collettivo come le onde di una risacca. Di questi tempi, ad esempio, pare essere tornato ad incuriosire. Gli insospettabili lo guardano, i sospettosi lo scrutano, i detrattori detraggono informazioni utili sulla salute dello status quo culturale.
Io ci sono stato nel 2009 che l’orchestra aveva lo stesso organico: flauto, oboe, due clarinetti (anche sassofoni), due trombe, due tromboni, archi, percussioni e il resto della ciurma rock con tre chitarristi, sei coristi, un bassista, un batterista e tre tastieristi. Mi pare che abbiano aggiunto solamente i corni francesi e per quanto avessi un vago ricordo ci fosse anche l’arpa, ciò non è vero: l’arpa a Sanremo c’era solo fino a vent’anni fa. L’assetto dell’organico, se si va a vedere le prime esibizioni televisive negli anni sessanta, era prevalentemente classico con elementi da jazz orchestra. L’orchestra negli anni ’80, con il playback, era addirittura scomparsa. In seguito, dagli anni novanta, sarebbe tornata tanto prepotente e battagliera da conformare uno standard sound “sanremese”, con un gusto e una retorica che arriva fino ad oggi.
Un fatto nuovo è che l’orchestra negli ultimi cinque o sei anni a Sanremo si ascolta meglio.
Uno degli adagi, per coloro che si cimentavano con il palco dei fiori era che l’orchestra non si sentiva mai bene in televisione. Per cui si scriveva attenti a non far emergere troppo strumenti stravaganti, e puntuali nel ricoprire il dettaglio di melassa.
Ricordo ancora che quando andammo con gli Afterhours con “Il Paese è reale” il ragionamento fu proprio questo: il risultato fu quello di esagerare il registro alto degli archi e mettere dinamiche “di fuoco” agli ottoni sperando che qualcosa sarebbe uscito.
Al di là di questioni capziose di qualità delle esecuzioni che non sono oggetto di analisi in questa sede, l’orchestra nelle ultime edizioni sembra aver trovato la sua (se pur vaga) collocazione nel mix. Molto probabilmente è perché si è iniziato ad adottare una tecnica che nelle televisioni anglosassoni era già in uso da un po’: sovrapporre l’orchestra da vivo con quella (intera o parziale) preregistrata in studio. Ciò aiuta a coprire eventuali errori e a potenziare la massa arrotondando le frequenze. Si dice, in gergo tecnico mandare una “sequenza” in base. Nella scheda tecnica fornita dalla RAI, in cui danno informazioni sull’organico disponibile, c’è un capitolo di alcune righe in cui viene spiegata la questione tecnica relativa all’uso delle sequenze. Ciò significa che viene posta grande attenzione a questo elemento funzionale. È anche segno dei tempi in cui la RAI si ritrova (finalmente) ad essere aggiornata sulle specifiche in uso worldwide sulla gestione del semi-playback. La cosa, però, completamente anacronistica è che per le voci vige il divieto assoluto di utilizzare in base cori o doppie voci. L’epoca in cui viviamo, così “artefatta” e digitale, necessiterebbe di eliminare le celebri stecche del palco dei fiori e sarebbe giunta l’ora che l’emotività del cantante venga sorretta da un minimo di garanzia di resa. Ma su questo la RAI è categorica. Mah…
Ma di preciso, cosa succede quando sei assunto nella baRAIcca?
I tempi di consegna delle parti d’orchestra del brano in genere sono subito dopo Natale. Il che significa che un pezzo inedito per Sanremo è stato vagliato dalla commissione tra ottobre e novembre e finito di missare a dicembre. DI sicuro la RAI non è ancora paperless: le parti vanno spedite in pacco espresso alla sede legale del Festival della Canzone Italiana nella versione cartacea, con una doppia copia d’archivio. Nei primi quindici giorni di gennaio viene fatta una lettura rapida senza il direttore e pochi giorni dopo una lettura meno rapida. Non è necessaria la presenza del/i cantante/i, almeno che non abbia un ruolo strutturale come musicista attivo (vedi una band). Questa prima sessione di lettura avviene in RAI, a volte negli studi di Cinecittà. Ma più spesso in uno dei capannoni di Saxa Rubra.
Quest’anno la disposizione in prova è a terrazzamenti, con la parte sinfonica in un piano ammezzato e la schiera estesa di musicisti pop della parte elettrica nel piano basso. Verso la ventina del mese di gennaio tutte le maestranze si trasferiscono al Teatro Ariston. Finché non è allestito il palco, non è dato sapere, come sarà disposta l’orchestra. Ci sono casi in cui gli strumenti vengono smembrati e messi a mo’ di scenografia in giro per il teatro. E questa cosa, per chi dirige, è un problema gigantesco. Altro dettaglio che sfugge al telespettatore (ma che crea enorme disagio a tutti quanti) sono le dimensioni reali del Teatro Ariston. Generalmente a soffrirne di più sono gli strumenti che avrebbero bisogno di uno spazio vitale ampio: i tromboni, ad esempio, avrebbero necessità di libertà di azione per la coulisse e così i contrabbassi e i violoncelli per l’utilizzo dell’arco. A quanto pare, però, vivono da sempre una battaglia contro la claustrofobia.
Se c’è una cosa che ho sempre detestato del recente direttore d’orchestra leggera è la gestualità piaciona e disimpegnata. Mi piaceva il direttore RAI maturo, elegante e compito, figura compassata sì, ma presa in prestito dal podio illustre della musica classica. Gradirei maggiormente una presa di coscienza e una maggiore, mi scuso per il termine, “dignità di servizio”. Cosa sono questi sorrisi, questi ammiccamenti? Sembra spesso che il direttore si bei del suo ruolo, come se essere direttori a Sanremo sia una conquista prestigiosa. Io auspico al ritorno della severità del ruolo, soprattutto perché il contrasto, con la leggerezza ostentata dall’establishment, è interessante. E visti i tempi, dove la musica è mezza scema, urge il gioco opposto. Non il giogo, ma il gioco. Ovviamente.
Scrivere con le regole di un contesto del genere è una sfida in puzzle-game di tempi per l’autore e un esercizio di stile coadiuvante per l’arrangiatore. Ma una persona non addentro potrebbe giustamente chiedere: “cos’è un arrangiatore”? E un altro più puntiglioso potrebbe aggiungere “che differenza c’è tra il produttore e l’arrangiatore”?
Con calma…
L’arrangiatore, storicamente, è colui che cuce il vestito al brano. E quanto è più bravo quanto più il vestito si fa brano e viceversa, senza che il proprietario di diritto del vestito soffochi nello sfarzo delle vesti o che resti nudo. Il produttore è colui che decide che quel vestito è giusto per l’autore oppure no. Un tempo le figure dell’arrangiatore e del produttore non si distinguevano quasi: Luis Bacalov che arrangiò su spartito “Legata ad un granello di sabbia” ne era, in un certo senso, anche il produttore. Oggi il produttore, che fa tutto su computer, ha un potere smisurato e può tutto anche sulle idee arrangiative messe in campo da altri. Può tagliare, sminuzzare, triturare, moltiplicare o (più spesso) eliminare. Può anche rendere infelice l’autore. Può, in taluni casi, sostituirsi ad esso e finire il disco in solitudine.
Morricone quando registrò un’arrangiamento per un disco di Morrisey sentì che di tutto il lavoro il produttore Tony Visconti aveva tenuto solo trenta secondi. E si imbestialì.
L’arrangiatore ”su carta” oggi ha vita durissima, e per quanto l’informatica possa sostituito bellamente, Sanremo è l’unica kermesse che lo riporta un po’ coprotagonista del fenomeno culturale massificato.
Finalmente costui lo guardano, attraverso i volteggiamenti delle telecamere a volo d’angelo, alcuni milioni di italiani sintonizzati. E la frase “dirige il maestro etc, etc,” risuona come una honoris causa popolare. Per i parenti, i cugini, gli zii è l’unico modo in cui dimostri di aver raggiunto lo status professionale.
E, se non è oberato dalla mole di stress che ne consegue, il “maestro” pensa per un attimo a quanto poco sa la gente di lui, e di quanta fatica c’è dietro quell’unica canzone (probabilmente brutta) per cui ha realizzato una partitura, fatta controllare dal copista nota per nota e parte per parte, provato con l’orchestra dopo una prima lettura disastrosa, ascoltato tutte le richieste di regia, del cantante, dell’autore (se non è lo stesso), del produttore, del primo violino e dei membri della band in loco.
Se poi la batteria non è scritta con tutti i crismi e il basso non ha adeguate informazioni sul suono da ottenere? Se poi non si ha mai diretto prima, la prova senza click fallisce miseramente sotto tonnellate di imbarazzo? Se poi durante la diretta agli in-ear monitor (gli ascolti, ciò, fatti attraverso una cuffia auricolare speciale aderente all’orecchio e invisibile all’esterno) si scaricano le pile?
Il disastro incombe e la gente non lo sa che è tutto in mano sua. Anche il cantante, ben più celebre di lui, è nel palmo della sua mano. E il discografico si agita e il cerone cola copioso sul colletto bianco.
Chi guarderà il 69° Festival della Canzone Italiana dia un occhio di riguardo al direttore d’orchestra e sappia che lui è il vero anello di congiunzione tra l’Homo neanderthalensis e l’Homo sanremus.
appunti della versione con ospiti de “Il paese è reale” - 2009
Breve apologia della collettività on stage
AMEO
Non mi meraviglierei che un giorno un signor matematico, deciso di sconfinare nella critica musicale, scriverà la seguente proporzione: più gente sul palco significa meno gente in sala. Poi arriverà un altro collega che aggiungerà, su un altro sistema parametrico, un secondo, quanto più insidioso, paradigma: a maggior raffinatezza del sistema linguistico musicale proposto sul palco, corrisponderà minor pubblico in sala. I due matematici avrebbero trovato una formula generalmente valida per determinare lo status quo del moderno successo. Il risultato di queste due formule è che è meglio far cose semplici ed essere da soli.
Come un eroe.
L’eroe è solo.
Lui porta dietro di sé la scia della verità e noi, che lo abbiamo seguito, sintonizziamo con le sue gesta. Anche nella musica la vicenda umana è un fatto importante. Non confondiamo: non il gossip morboso, non il sipario strappato sulla privacy di una celebrity e basta. È importante il fatto che la musica stessa restituisca a noi, poveri e anonimi utenti sociali, una parte cospicua e ipotizzabile dei pensieri intimi del tal cantante o della tal’altra popstar. Meglio ancora se il nostro eroe sia il veicolo di uno stile di vita, il catalizzatore di qualcosa che potremmo riutilizzare per corredare la nostra nudità, che ci dia un vestito attuale, qualcosa che faccia allacciare i recinti della comunità, che ci brandizzi e che arrivi a farci dire “io sono parte dire tutto”.
Oggi anche l’antagonismo vive meglio da insider che da outsider; il nostro “amico strano” è sempre più appassionato di cose scontate. Il processo storico in corso è un lento trascolorare verso l’abbandono delle velleità ideologiche. Grazie all’imbuto del mezzo informatico e alle opinioni innocue dell’eroe di turno, artista o opinionista che sia, tutto si polarizza di valori spiccioli e lineari. Inevitabilmente, dunque, non c’è più interesse per le manifestazioni collettivizzate o per le gruppaglie di assemblaggi politici post ideologici. Da soli, eroicamente, ci si fa carico di riflettere l’opinione degli individui, come una sola corda che va in simpatia per ragioni dinamiche misteriose. Mai vero come adesso è dire “tu sei come me”. Soli uguale a solo in compagnia.
Oggigiorno in arte non c’è né collettivo artistico, né anonimato pluralitario, né band, che regga il confronto con un solista o un provocatore rumoroso o uno scrittore autobiografico che scrive l’ennesima “based on true story”. Dell’orchestra risplende il direttore, del film il protagonista. L’MC dell’hip hop nostrano è talmente solo che spesso si presenta ai concerti con un computer di compagnia (come un cane), ma basta poco per riempire palazzetti e club a capienza massima. Stessa cosa per i canzonettari, o per l’ennesimo eroe classico romantico che esegue Schubert nell’auditorium cittadino.
La nostra nazione poi paga il pegno della fama di essere culla del “belcanto”; cos’altro è se non dunque l’apoteosi del solista, la gabbia d’oro dell’egomaniaco? La musica in Italia non è uno sport di squadra: è un lancio del martello. In quanto a notorietà Ottavio Dantone troneggia sull’Accademia Bizantina, la fama di Manuel impera sugli Afterhours e Calcutta batte Bella Venezia mille a uno. Chiusa la parentesi degli esempi vicini o lontani.
Contro, dunque, ogni interesse sociologico a noi qui piacerebbe fare una brevissima rassegna lampo di realtà musicali prioritariamente collettive. Badare bene: non assembramenti di persone che suonano sotto il diktat dell’anonimato. Figuriamoci! I caproni che stanno assieme, timbrano i cartellini, fanno “les moutons de panurge” (come direbbe Rzewski) li lasciamo ai porci. Qui ci interessano le perle, ci attirano le masse di personalità creative e brillanti, a dimostrazione del fascino che hanno (ancora?) le manifestazioni plurali in carne ed ossa (e non nel tratto irreale del sociale informatico). Riuscire a stare insieme è la più ardua impresa che c’è, e vincerla è segno inequivocabile di intelligenza. Lo spartito è di grande aiuto, ma noi confidiamo che un allenamento dell’ego sia alla base di ogni buona convivenza civile.
Ecco un esempio fulgido: la berlinese Andromeda Mega Express Orchestra, nata nel 2006 e con all’attivo concerti in contesti tra i più disparati. Si tratta senz’altro di una bella rivitalizzazione dell’idea di orchestra sinfonica tradizionale, dove lo zampino (o lo zappino?) di Zappa lascia traccia evidente.
Andromeda Mega Express Orchestra - “In Light of Turmoil” (live Berlin, 2014)
Il termine ensemble è così spiegato sulla Treccani: complesso musicale in cui perde spicco la personalità di ciascuno degli esecutori perché risulti più perfetta l’armonia dell’insieme ed è affascinante che la parola sia rimasta in francese. Il motivo storico si perde nella notte dei tempi, ma indiscusso è la definizione di capacità nella concertazione collettiva, cosa che l’intera Francia ha dichiarato come proprio marchio di fabbrica dai tempi della Rivoluzione. Mentre noi italiani riusciamo, su questo tasto, a contraddirci pure nei proverbi: da un lato “chi fa da se fa per tre” e dall’altro “l’unione fa la forza”.
Una delle più belle manifestazioni d’ensemble che abbia mai avuto modo di sentire è il progetto della francese Eve Risser, pianista di area jazz nel senso più ampio del termine. Assieme alla White Desert Orchestra viene fuori un gramelot (parola francese anch’essa) di intenzioni apparentemente in contrasto tra loro; ma il risultato è di altissimo valore compositivo. Ècoute s'il te plait:
Eve Risser avec White Desert Orchestra
Forse sul piano squisitamente virtuosistico l’Ensemble Denada è quello che più impressiona al primo ascolto. Si tratta di una “miniature big band”, nata ad Oslo nel 2000 in quella lunga parabola che della Norvegia ha fatto una nuova inattesa culla del jazz glaciale di inizio millennio. La stessa Norvegia dei celeberrimi Jaga Jazzist (non si poteva non citarli) che mettiamo in questa piccola bacheca di fianco all’ensemble sopra citato.
Ensemble Denada - “The Speedcouch” (live Ozella Music, 2014)
Jaga Jazzist - “Toccata” (live Tønsberg's grand church, 2010)
Con garbo e disincanto l’ensemble olandese fondato ad Amsterdam nel 2009 e denominato Lunapark esegue splendide trascrizioni di brani di Aphex Twin. La veste interamente acustica stupisce in eleganza ed efficacia tanto da ampliare il concetto di trascrizione su carta a livelli “altri”. L’atteggiamento colto si fa, qui, fluido. Come la costellazione di tram nordeuropei sullo sfondo del video.
Lunapark - Apex Twin/"Flim”
America, New York, Brooklyn, e dove sennò? Il musicista e compositore Simon Hanes dopo essersi diplomato al New England Conservatory ha adottato l’alias di "Luxardo" come arrangiatore, compositore, direttore d'orchestra e chitarrista, e ha messo in piedi una band “di proporzioni orchestrali epiche”. Così dice il curriculum su bandcamp a proposito del collettivo Tredici Bacci, pastrocchio lessicale (ops, voleva dire Thirteen Kiss, non è uno scherzo) con cui Hanes ha incanalato la sua profonda infatuazione per la colonna sonora degli anni Sessanta e Settanta italiani.
Tredici Bacci - “Columbo” (live on The Special Without Brett Davis, 2017)
Una dichiarazione d’amore per la collettività all’opera come questa, non poteva concludere se non con un esempio personale.
La cosa che, di recente, più si è avvicinata nell’esperienza di 19’40’’ ad un ensemble espanso, coeso e complesso è stato senz’altro il tour di “Decade” della band italiana Calibro 35. Nell’estate 2018 il tour si è trasformato in “dirty decade”, e assoltati elementi degli Esecutori di Metallo su Carta il concerto è stato un florilegio di strumenti. Dieci persone sul palco (sei in più del normale organico) ma un solo suono. Ad esempio del fatto che per quanto in Italia sia fuori moda essere in tanti on stage, esperienze simili si possono ancora osare. Augurandoci che presto o tardi il potere torni al popolo. Se mai ce lo ha avuto.
Calibro 35 + Esecutori di Metallo su Carta - “Agogica” (studio version 2018)
EG
Eve Risser WDO
Arte VS Intrattenimento
Arte e Intrattenimento si pongono come antipodali, ma potrebbero anche essere una sfumatura reciproca.
Declinati in modo diverso, acquistano o perdono valore intrinseco più o meno a loro insaputa.
Una delle differenze sostanziali tra Arte e Intrattenimento è il rapporto con il pubblico: nell’Intrattenimento il pubblico viene confortato, nell’Arte viene indifferentemente sorpreso o deluso.
Questa epoca generalista, sottopone qualsiasi fatto ad un processo di etichettatura sintetica (di tags), spesso attraverso incubazioni lessicali anglo-cibernetiche (vedi blue whale o artentainment o fake news).
Così l’Arte diventa sempre di più un settore e l’Intrattenimento un sincretismo che divora l’Arte stessa.
Sia pur coscienti o inconsapevoli, noi tutti adottiamo atteggiamenti sistematici di appartenenza tipologica.
Il “come vestirsi”, il “cosa comprare”, il “cosa dire” o il “dove stare”, ad esempio possono essere ispirati ad estetiche storiche pregresse (vedi i moustache inizio Novecento che vanno di moda oggi) e a tendenze sociali e divieti culturali del passato che possono interferire a livello essenziale su certe scelte personali per il futuro. Il passato può creare modelli per nuove forme di appartenenza (vedi i nuovi fascisti) e un giorno questi modelli potrebbero divenire degli obblighi, come avveniva nelle remote epoche tribali.
Gli artisti, anche i più liberi, non sono esenti da tutto ciò e possono diventare i più rigidi, intolleranti, omologati e opportunisti tra i soggetti sociali.
Le tipologie disfunzionali sono precise e si presentano in ogni ambiente delle arti, indiscriminatamente da quello della composizione musicale a quello delle arti visive.
Nella musica contemporanea, per esempio, la ricerca della propria personalità attraverso la composizione storica può portare a pura vanità: docenti che, raggiunto uno status, riflettono se stessi senza riflettere l’allievo, frammentato in tanti piccoli specchi che riflettono a loro volta un modello istituzionale incrinato.
E l’altro guaio è che si ricerca la scientificità dei processi e si finisce col diventare sterili ingegneri della musica. Lo si capisce perché uno spirito d’artista (che magari è un cliché, d’accordo) non può passare attraverso tutto questo senza intoppi: subisce un adeguato addomesticamento che potrebbe, in alcuni casi demotivare.
La molecolarizzazione, la frammentazione, l’incostanza sono i tre pantoni dei colori nazionali: l’Italia, Stato filiforme che precipita in discesa, è incapace di solide iniziative interdisciplinari.
Forse l’Intrattenimento in Italia è più vario, meno ipocrita, e meglio disposto a fare i conti con la realtà.
È il momento che ci si adoperi ad una forma di recupero di un pubblico, anche nella musica d’Arte.
Lo si può fare solo se l’Arte esce dalla pratica di “giardinaggio del palazzo del Re” e prende coscienza di esser piombata in una pratica lussuosa e (dunque) futile.
A quel punto tutto tornerebbe ad ardere di nuovo desiderio e le persone diventerebbero uno dei parametri compositivi più importanti.
Prossimamente, con 19’40’’, indiremo un call-for-score di composizioni specifiche per contesti popolari e non protetti. Dove la gente anche se ha la birra in mano ha moltissima voglia di ascoltare.
E vedremo, senza nasconderci, l’effetto che fa.
EG
Collattività
In Italia ci sono alcuni cognomi con poche sillabe che hanno una natura semantica.
Colla è la “colla” per attaccare, ma è anche una preposizione articolata che significa “con la”. La Compagnia Marionettistica Carlo Colla & figli fa abbondante uso di colla per fabbricare parte delle cartapesta di scena e contemporaneamente si esprime con la forza di una collettività che, dopo svariate generazioni, ha mantenuto intatto lo spirito di compagnia familiare dove si fa tutto assieme, si mangia tutti assieme e si distribuiscono equamente ruoli e responsabilità. Potremmo dire: “colla” comunità si fa la forza.
Li ricordo bene, nel 1998, quando a seguito dell’ensemble di Danilo Lorenzini andammo a Losanna per alcune rappresentazioni del ballo “Excelsior” di Romualdo Marenco nella celebre versione marionettistica. Per chi non sa cos'era, il ballo “Excelsior” fu uno dei primi colossal danzanti, dove personaggi come la Luce, la Civiltà e l’Oscurantismo si battevano a suon di pas double sullo sfondo delle grande opere ingegneristiche e tecniche di fin siècle. Il M° Danilo Lorenzini, eccellente docente di composizione tradizionale al Conservatorio di Milano aveva (ed ha tutt’ora) l’incarico di mastro concertatore e compositore di musiche originali per la celebre Compagnia meneghina. Sue le splendide composizioni de “Il pifferaio magico” e “Pocahontas” (e non quell’obbrobrio della Disney) e sue le riduzioni per piccolo ensemble dell’”Excelsior”.
In quella settimana di stretta convivenza, ebbi modo di conoscere quel grandissimo uomo di teatro che fu Eugenio Monti Colla. Ricordo benissimo quanto mi sentivo piccolo e inadeguato di fronte alle categorie culturali del signor Eugenio, che aveva in testa modelli di teatro d’opera settecento-ottocenteschi e centocinquant'anni di tradizione artigianale. Era anche un maniaco del dettaglio ed ancor più un maniaco della minuzia narrativa, manie che a volte sfociavano nel giudizio umano attraverso un sarcasmo elegante, e a tratti crudele, come quello di Carmelo Bene.
All’Atelier Colla, attivo e accogliente (in via Montegani 35), nelle brochure di sala c’è un elenco infinito di personalità che dal 1863 (o giù di lì!) hanno visitato i loro spettacoli: da Manuel De Falla ad Igor Stravinskij, da Simon Weil a Luchino Visconti, da Erminio Macario a Giorgio Strehler, da Paolo Poli a Carla Fracci, da Ciro Menotti a Filippo Crivelli etc.. Viaggiano in tutto il mondo, portando il gonfalone di “Compagnia di marionette di Milano”, malgrado la città meneghina, proiettata verso la quinta (o quarta?) linea della metropolitana e la fine dei primi vent’anni del millennio, sembri non essere pienamente a conoscenza di questo tesoro, di questo cimelio culturale imprescindibile. Ricordo che penavano per avere una sede istituzionale adeguata. Da poco però è stato riaperto il Teatro Gerolamo (la "piccola Scala"), in piazza Beccaria, nelle forme nuove ma rispettose di ciò che fu il teatro di adozione dei Colla per moltissimi anni. E questo spero sarà un bene.
Prima di imbarcarsi in quella megalitica avventura che fu UPM - Unità di produzione Musicale, Enece Film ha realizzato un bellissimo documentario su Eugenio Monti Colla, suo cugino Carlo III e sulla Compagnia. Si tratta di un documento video atipico perché il centro d’interesse sono gli esseri umani, la compagnia-famiglia dietro alla macchina scenica, impegnati nell’allestimento di una splendida versione del “Macbeth”. Gli attori di legno svolgono al meglio il ruolo della tragedia Shakespeariana senza essere, in pratica, mai inquadrati.
È caldamente consigliata la sua visione per vedere il “dal di dentro” del complesso lavorio quotidiano, stupefacente nella sua semplicità e nel suo utilizzo di mezzi artigianali.
Ma che sia questo documentario, che sia l’Atelier, il Teatro Gerolamo o il Teatro Studio Melato, ovunque si trovino in cartellone nei sette angoli del pianeta, andarli a vedere è un beneficio dell’anima, per vedere se la nostra anima di uomini è degna dei materiali celesti di cui son fatti quegli incredibili homunculus di cinquanta centimetri.
https://www.marionettecolla.org/
EG