Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 10 - Shadows di Alan Abd El Monim

Shadows è una composizione di Alan Abd El Monim scritta nel maggio 2021. L’organico prevede solo tre strumenti: clarinetto, violino e violoncello. Oltre ad una breve legenda iniziale, non sono presenti introduzioni al brano curate dall’autore. Il brano è scritto in modo estremamente ordinato e pulito.

A colpo d’occhio la nostra idea era quella di essere di fronte ad un brano spettralista: certo, un’analisi superficiale, ma decisamente funzionale. Se masticate un po’ di pianoforte, saprete sicuramente che ad un primo sguardo Beethoven è riconoscibile da Mozart, da Haydn e, naturalmente, da Chopin, Debussy, Bartok. Ogni musicista con una forte identità compositiva ha anche una forte identità visuale. Ce ne siamo resi davvero conto bandendo il nostro primo Call for Scores: le composizioni più interessanti erano anche quelle banalmente più belle, più strutturate, con più identità grafica.

Un estratto da Talea di Gérard Grisey

C’erano però alcuni elementi che mancavano, tra cui la presenza, appunto, di uno o più spettri riconoscibili. Era una via sbagliata, nonostante la suggestione iniziale. ll mancato accostamento agli spettralisti ci ha però illuminati sebben in maniera tardiva: la breve analisi che segue, cui solo il compositore potrà dare conferma o smentita, non comparirà sul libretto del cd dal momento che è stata scritta solo nel mese di Luglio. Vogliate perdonare questo terribile ritardo: siamo però sicuri che succederà ancora per cui non vi chiediamo scusa.

Ombre, Luci e rifrazione

Shadowns è diviso in quattro parti. Nella prima sezione è evidente come Violino e Violoncello altro non siano che l’ombra proiettata del suono del clarinetto: i confini più sfocati e indefiniti dell’ombra sono probabilmente dovuti all’effetto fisico della rifrazione, ricreata dal compositore attraverso il pulviscolo di gruppi di trentaduesimi. In questa sezione il compositore sembra raccontare una situazione di pieno sole, dove le ombre sono comunque nette e definite. Attenzione però: quest’immagine, frutto solo di una nostra speculazione, non sarà percepibile all’ascolto, ma solo alla vista.

Un estratto di Shadows di Alan And El Monim

Nella seconda sezione abbiamo invece immaginato una situazione di luce completamente differente: le ombre sembrano più pallide, meno profilate e più confuse. È come se un velo di nuvole avesse coperto il sole: le situazioni di non luce sono molto simili a quelle di luce: i colori e le tonalità si confondono, perdono di nitore e di conseguenza lo stesso succede ai suoni.

La seconda sezione di Shadows

La terza sezione sembra invece descrivere una situazione ancora differente: le ombre e la luce si mescolano e diventano una cosa sola. Il clarinetto è un alone che emerge di tanto in tanto da una densa coltre di buio. Abbiamo immaginato che la luce sia in questo caso completamente assente e che l’occhio dell’osservatore fatichi a distinguere aloni di oscurità all’interno di un’ipotetica notte.

La terza sezione di Shadows (più lenta, quasi come un lamento)

La quarta ed ultima sezione è invece pervasa da ombre estremamente nette e contrastate. Abbiamo immaginato alla proiezione delle sagome di alcuni oggetti durante un temporale: il fulmine proietta confini netti e improvvisi che si stagliano con precisione nel buio. Possiamo fare un passo in più immaginando che il Jeté col legno altro non sia che il rumore lontano di un tuono. Il compositore stesso sembra suggerirci questa lettura indicando come Tempo di questa sezione “Come un fulmine”.

La sezione finale di Shadows (più rapida, come un fulmine)

Nello scrivere, ci rendiamo perfettamente conto che si potrebbe scavare molto di più nel lavoro di Abd El Monim: si potrebbe andare alla ricerca delle motivazioni dietro alla scelta delle singole note, si potrebbe cercare una correlazione tra le tessiture e la condizione di luce, si potrebbe scavare nell’utilizzo delle dinamiche a conferma o smentita dell’analisi di cui sopra. Si potrebbe infine andare alla ricerca di altri significati, diversi da quello individuato, e ampliare lo sguardo analizzando i lavori precedenti del compositore. Si potrebbe.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Shadows è un brano scritto molto bene: la partitura, la notazione strumentale, la coloristica e la densità sono alcuni degli aspetti che più ci hanno colpito. Non conosciamo altra musica di Alan Abd El Monim, ma da queste poche battute traspare non solo la ricerca di un percorso individuale che conduce a risultati sonori molto interessanti, ma anche una conoscenza approfondita degli strumenti musicali.

Shadows è una composizione che fin da subito ci ha colpito per via di una sua particolare densità o, come ha detto Enrico Gabrielli durante una delle nostre riunioni, per la sua apparente monocromia. In verità solo tardivamente abbiamo potuto immaginare che questo brano altro non sia che un catalogo di ombre e quindi di luce. Pieno giorno, cielo velato, notte e temporale sono i quattro capitoli di un piccolo poema sinfonico che in tre minuti scarsi affresca con gesto bello, intelligente, scaltro e brillante un fenomeno fisico che gli spettralisti avrebbero apprezzato solo da un punto di vista scientifico.

Bravo. bravo davvero.

Chi è Alan Abd El Monim?


Alan Abd El Monim, ha studiato ingegneria del suono e musica elettronica presso il SAE institute. Ha intrapreso gli studi di Composizione sotto la guida di Massimo Botter e di Composizione per la Musica Applicata presso la Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” di Milano. Si specializza frequentando costantemente Masterclass di Composizione. Ha iniziato la sua attività come fonico collaborando con lo studio di registrazione TDMC Recording Studio e Hiroshima Mon Amour di Torino. La sua ricerca musicale e indirizzata con particolare attenzione verso la Musica Contemporanea e l'utilizzo delle nuove tecnologie, dedicandosi alla Composizione di Musica Contemporanea e alla realizzazione di musica finalizzata all'interazione tra arti. Nel 2017 ha vinto il Concorso Internazionale di Composizione Silenzio Musica. Ha collaborato con l'artista Giovanni Oberti, scrivendo due brani dal titolo “Specchi” e “Noccioli” per la mostra personale “La pelle degli oggetti” (Galleria Milano 2019), ha iniziato una collaborazione con il poeta Milo De Angelis, musicando la lirica “A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi” tratta dalla raccolta “Alfabeto del momento”. Sue musiche sono state eseguite in Rassegne e Festival fra le quali: Percorsi del Sentire – Riccione (Laura Catrani, voce); Luci d'Artista – Salerno, durante la quale ha musicato il monologo “La Maschera della Morte Rossa” commissione dell'attore Andrea Palladino.

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Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 9 - JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi

JIN:GO!LOwBAH... è una composizione per sax contralto, viola, violoncello, udu e pianoforte verticale di Vincenzo Parisi. Questo lavoro è stato concluso a Milano “in una lunga notte nel maggio 2021”: era il 19, il giorno di chiusura del nostro Call for Scores. Vincenzo Parisi nell’introduzione alla partitura, presenta il suo lavoro con queste parole:

La composizione vuole essere una trascrizione-cocktail di alcune delle più celebri versioni della canzone di origine yoruba resa famosa nel 1960 dal percussionista nigeriano Babatunde Olatunji e contenuta nell'album Drums of Passion, per l'appunto Jin-Go-Lo-Ba. Cellule ritmiche e melodiche sono state trascritte e rimescolate cercando di far sì che l'inusuale organico di destinazione potesse riportare alla luce certi atteggiamenti sonori tipici del materiale di partenza pur in una nuova veste strutturale.

Le versioni da cui si è preso spunto sono:

- Babatunde Olatunji, Jin-Go-Lo-Ba, 1960
- Serge Gainsbourg, Marabout, dall'album "Gainsbourg Percussions", 1964
- Carlos Santana, Jingo, dall'album "Santana", 1969
- Fatboy Slim, Jin Go Lo Ba, dall'album "Palookaville", 2004

Un estratto della partitura di JIN:GO!LOwBAH... di Vincenzo Parisi

Nella copertina del brano inoltre Parisi si diverte a creare una Inception di trascrizioni dicendo che il brano in oggetto altro non è che Vincenzo Parisi's transcription of Fatboy Slim's transcription of Carlos Santana's transcription of Serge Gainsbourg's transcription of Babatunde Olatunji's transcription of Yoruba Traditional Song "Jin Go Lo Ba".

Partitura alla mano, a noi di 19’40’’ è sembrato immediato dire che JIN:GO!LOwBAH... è un Petit Concert per Udu ed ensemble in movimento unico. Questo particolare strumento a percussione sembra infatti essere il perno di tutto: Parisi stesso ne indica la collocazione nelle indicazioni iniziali prevedendo l’udu al centro, quasi fosse un pianoforte. Parisi è costretto a fare i conti con la dinamica tutt’altro che esplosiva dell’udu: la scrittura è molto attenta a valorizzare questo strumento elevandolo dalla suo naturale ruolo di accompagnamento fino a quella di solista.

Scopri gli abbonamenti di 19'40’‘

Parisi esplora la notazione dell’udu e rivoluziona quella del Sax alto eliminando il pentagramma ed inserendo una lunga sezione notata su trigramma. La motivazione di questa elisione momentanea di righe è una delle nostre preferite: la comodità. L’intera partitura infatti è di facile accesso, di facile lettura e di facile comprensione: sono tutti sintomi di grande qualità compositiva e grande conoscenza degli strumenti musicali. Se poi sia anche di facile esecuzione, lo scopriremo nei primi giorni di febbraio.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Innanzitutto per l’udu: uno strumento decisamente insolito ma dalle ampie potenzialità. Sebastiano De Gennaro ne parla in questo video didattico realizzato nel maggio 2020. Il compositore sembra divertirsi scambiando di ruolo il pianoforte e l’udu: se il tamburo diventa solista, il pianoforte si fa macchina ritmica, batteria, accompagnamento a suoni determinati ma non troppo. Più di tutto ci ha convinto il grande pensiero che c’è dietro a JIN:GO!LOwBAH... . Parisi scava tra diverse stratificazioni storiche alla ricerca di elementi comuni, di caratteri distintivi e di segni particolari. Ricostruisce poi una fototessera che, più che catturare l’impressione del brano originale, ne dona una visione cubista, multiprospettica, multispaziale e, se vogliamo dirla tutta, anche multitemporale. È come se Rick&Morty avessero scelto di utilizzare la pistola dimensionale per riascoltare JIN:GO!LOwBAH... sovrapponendo alcuni dei diversi ed infiniti multiversi possibili.

Fantascienza? Divertimento? Pastiche? Non lo sappiamo, ma sappiamo che JIN:GO!LOwBAH... sarà uno splendido punto di incontro tra la musica colta contemporanea e le orecchie del nostro pubblico. Poi che cosa significhi musica colta noi non lo abbiamo ancora capito: forse tra qualche articolo, sciolte le dita e oliato il cervello, oseremo addentrarci in questo genere di disquisizioni.

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Parisi inoltre con JIN:GO!LOwBAH... rivela di essere un inguaribile romanticone. Non in senso affettivo, ci mancherebbe, ma in senso strettamente musicale. Vincenzo racconta viaggi, racconta ricordi, racconta storie proprio come quel vecchietto rannicchiato ad un crocicchio di un piccolo paese austriaco: costui, dopo aver attraversato distese innevate e tempestose, dopo aver parlato con un corvo ed essere stato scacciato come un cane, si siede all’angolo della strada e suona il suo organetto.

Parisi sembra condensare in poco più di tre minuti un viaggio, tutt’altro che invernale, che muove i primi passi dalla profonda Nigeria e giunge al qui ed ora. Nelle ultime misure del suo piccolo grande lavoro, ci immaginiamo il compositore stesso all’angolo di una strada con in bocca un vecchio sassofono della Orsi, da ritamponare. Con nostalgia ripete incessantemente quelle poche note oramai entrate, contaminazione dopo contaminazione, a far parte della cultura umana. Ci guarda dal suo cantuccio e tra le gambe possiamo scorgere non un’organetto, ma un udu. Ci avviciniamo e riflettiamo un istante se domandare “Wunderlicher Alter, soll ich mit dir geh'n? Willst zu meinen Liedern deine Leier dreh'n?”, o se augurargli un semplice “Do not worry”.

Qualche curiosità in più su cosa è successo nei mesi scorsi

Cos’è l’udu in tre parole? È un tamburo senza membrane, una via di mezzo tra un idiofono ed un aerofono. Si presenta come un vaso di terracotta con un foro in più sul lato ed è originario della Nigeria. Si suona con una o due mani giocando sull’apertura più o meno completa dei due fori. Anche se è possibile avvalersi anche dell’utilizzo di una bacchetta lignea per avere un timbro ulteriore con cui giocare, l’udu si suona principalmente con le dieci dita. In Italia il più grande contributo alla fama dell’udu è stato dato da Fabrizio Jermano: lo potete ascoltare nella canzone di Fabrizio De Andrè “Le acciughe fanno il pallone”.

Nonostante l’udu sia uno strumento conosciuto dai percussionisti, il suo utilizzo nella musica colta contemporanea (vedi sopra) sembra comunque marginale se non completamente assente. Online ci sono delle piccole comunità. Ci siamo divertiti a cercare qualche registrazione vera dove fosse possibile ascoltare l’udu all’opera. Ne abbiamo trovate poche tra cui:

Evelyn Glennie: Her Greatest Hits
Evelyn Glennie
RCA Victor, 1997
Evelyn Glennie, percussionist
“Sorbet No. 3: Udu Trail” 1:55

Ghatam
Antenna Repairmen
M-A Recordings, 2000 (recorded 1995)
Robert Fernandez, M.B. Gordy, Arthur
Jarvenin, percussionists
“Ghatam” 51:02

Percussive Voices
Brian Melick
Hudson Valley Records, 2001
Brian Melick, percussionist
Shell Shock” 7:45
Udu Trance” 7:32
Conversations” 3:25

Planet Drum
Mickey Hart
Ryko, 1991
Udu Chant” 3:40
Sikiru Adepoju, Mickey Hart, Zakir Hussain, Airto Moreira, percussionists

Di opere per udu pubblicate non ce ne sono molte: Robert J. Damm, ha composto Udu Dances per udu solo per la Steve Weiss Music. Damm ha naturalmente dovuto confrontarsi con la notazione dell’udu scegliendo, a differenza di Parisi, di sfruttare un pentagramma. Restiamo aperti a suggerimenti da parte vostra su ascolti e partiture che ruotano attorno all’udu. Sarebbe bello poter abbinare al brano di Parisi, un MIXTAPE per avvicinare gli ascoltatori al suono, al mondo di questo noto ma non troppo strumento a percussione.

Attorno all’udu sembra comunque che ci sia una folta community di appassionati: tra questi si possono incontrare musicisti e costruttori. Uno di questi è Frank Giorgini: è considerato l’inventore dell’udu moderno. Giorgini haa appreso la tecniche tradizionale della ceramica nigeriana da Abbas M. Ahuwan nel 1974. Nel corso degli anni ha sviluppato molte innovazioni di design, ricerca sui materiali e diverse tecniche di cottura migliorando la qualità del suono, la durata e la versatilità di questo strumento. Frank ha introdotto l'udunegli Stati Uniti e attraverso i suoi sforzi il suono dell'uduha influenzato la musica moderna su scala globale. Alcuni udu realizzati da Frank Giorgini sono stati inseriti nella collezione permanente del Metropolitan Museum of Art di New York nel 1985.

Chi è Vincenzo Parisi?

Parisi in uno scatto di Stefano Michelin

Brillantemente diplomato in pianoforte sotto la guida di Irene Schiavetta, Vincenzo Parisi ha studiato lungamente con Massimiliano Damerini. Si è perfezionato inoltre con importanti pianisti contemporanei quali Aquiles Delle Vigne (Universität Mozarteum, Salzburg), Andrea Lucchesini, Antonio Ballista, Boris Petrushansky.

Ha studiato composizione prima con Fabio Vacchi e attualmente presso il Conservatorio “G. Verdi” con Mario Garuti. Ha studiato inoltre con Salvatore Sciarrino, Ramon Lazkano, Francesco Filidei, Mauro Lanza, Mark Andre, Gabriele Manca, Mauro Bonifacio (Accademia Filarmonica di Bologna).

Vincitore del 1° Premio al Concorso di Composizione del Conservatorio “G.Verdi” di Milano 2021.

Vincitore del 1° Premio al Concorso Internazionale “Jorge Peixinho” 2021 a Lisbona indetto dal Grupo de Musica Contemporanea de Lisboa.

Finalista al Concorso Internazionale “Macerata Opera Festival 2019” per la scrittura di un’opera di teatro musicale insieme alla regista Hannah Gelesz.

La sua musica è stata diretta da importanti direttori quali Yoichi Sugiyama e Rui Pinheiro, ed eseguita da prestigiose compagini musicali quali Barcelona Modern Ensemble, Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano, mdi ensemble, Grupo de Musica Contemporanea de Lisboa, e da altri musicisti di riconosciuto talento quali Silvia Giliberto, Stefano Grasso, Sahba Khalili Amiri, Irina Ghiviér, Carolina Santiago, Francisco Martì Hernandez (Syntagma Piano Duo).

Trasmesso in diretta nazionale radio su Antena2 in Portogallo nell’ottobre 2021, il suo quintetto dal titolo “Fulmine randagio” è edito dalla casa editrice portoghese AVA Musical Editions.

Fondatore della rockband Kafka On The Shore, si è esibito in qualità di tastierista in più di 200 concerti in tutta Europa con l’album “Beautiful But Empty” (La Fabbrica Etichetta Indipendente), ha collaborato e si è esibito con artisti della scena musicale rock/pop italiana fra i quali Nicolò Carnesi, Gianluca De Rubertis (Il Genio), Lodo Guenzi (Lo Stato Sociale), Francesco De Leo, Chiara Castello.

Nel maggio 2020 ha pubblicato l’album “Zolfo” (Piano B Agency), comprendente composizioni per pianoforte solo ispirate a canti antichi siciliani da lui stesso eseguite e registrate nel quartiere di Ballarò, Palermo.

E’ laureato in Economia per Arte Cultura e Comunicazione presso l’Università “L.Bocconi”.

Biografia consigliata sull’udu

Agu, Joe. (1998). Udu Magic: The Art of Udu Drum Playing [video]. Sunnyvale, CA: Rhythms Exotic Afro Percussions

Akpabot, Samuel. (1975). Ibibio music in Nigerian culture. East Lansing, MI: Michigan State University Press

Nicklin, Keith. (1973). “The Ibibio Musical Pot.” African Arts, USA VII (1), 50–55

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Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 8 - TARKUS Eruption/Aquatarkus di Fabio Cuccu

TARKUS Eruption/Aquatarkus di Fabio Cuccu

Tarkus è un brano di Fabio Cuccu composto nel 2021. L’organico prevede flauto traverso e ottavino, clarinetto basso, pianoforte, violino, violoncello ed un ampia sezione di percussioni con un solo esecutore: xilofono, marimba, vibrafono, due piatti sospesi, tre tom, un tam-tam e un timpano da 29’’. Tarkus è stato selezionato tra i brani che hanno partecipato al CfS2021 nella categoria trascrizioni. Nelle note introduttive, è Cuccu stesso a spiegare il suo lavoro:

Dalla suite degli Emerson, Lake and Palmer è stata estratta la cornice strumentale che apre e chiude il brano: "Eruption" (senza l'introduzione in fade in di circa 30") e la coda conclusiva di "Aquatarkus", per una durata totale di circa 3 minuti e 20 secondi.

Si è scelto di utilizzare una formazione interamente acustica e di adattare il più possibile l'originale alla scrittura tipica dell'ensemble da camera. Per questo motivo molte dinamiche si discostano dalla sorgente, a favore della varietà timbrica e dei contrasti tipici di questo organico.

In questo senso l'arrangiamento si pone come un'operazione parallela a quella compiuta da Keith Emerson coi The Nice gli ELP nei confronti della musica colta del Novecento.

Le ultime battute di Tarkus a firma Fabio Cuccu

La trascrizione è sempre un terreno molto pericoloso: all’interno di un organico nuovo occorre trovare un equilibrio che possa valorizzare e non penalizzare l’originale. Una simile operazione è ancora più delicata per via del cambio di registro che l’atto della trascrizione porta in sé. In generale il problema che Cuccu affronta è quello che Carlo Boccadoro, nel suo libello Analfabeti sonori: musica e presente descrive come una delle grandi sfide della contemporaneità.

Trovare dei fili tra linguaggi differenti, saper sintetizzare una sostanza musicale diversa scegliendo l’essenziale ed eliminando il superfluo da musiche che apparentemente non avrebbero nulla in comune: questo è certamente possibile ma richiede un lavoro intellettuale estremamente complicato e faticoso, dove la possibilità di riuscite finali non sono numerose.

La copertina del libello di Carlo Boccadoro, prezioso e alla portata di tutti.

Il lavoro del compositore in questo caso sembra pienamente riuscito. La partitura realizzata da Cuccu è davvero ben scritta: ci immaginiamo il timbro graffiante del clarinetto basso, distorto senza distorsore, amalgamarsi pienamente con il calore degli archi. Ci divertiamo a riflettere su che tipo di sonorità cercare con il flauto traverso, se più JethroTulliana o più aderente all’estetica classica. Nel frattempo sentiamo il sapore lontano di quella libertà musicale tanto, troppo lontana dall’accademia e da quei barattoli vuoti di conserve dal sapore impreciso.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

TARKUS ci ha convinto per due motivi opposti: Cuccu sceglie di salvare un capolavoro del progrock dall’intecamento forzato e lo riporta in vita sotto una nuova veste: ne fa rivivere la complessità, la bellezza, ne mette in risalto nuovi aspetti e nuovi chiaroscuri e lo strappa da uno spaziotempo oramai vicino alla musealizzazione. Allo stesso tempo, l’operazione di Cuccu è aderente allo spirito di Progetto Generativo e quindi di 19’40’’: La prima pubblicazione dell’etichetta discografica più anticlassica d’Italia è infatti una raccolta di trascrizioni per ensemble di brani indipendenti.

Nella playlist di progetto generativo si poteva (e si può: il CD è ancora in vendita sul nostro portale) ascoltare musica di Bologna violenta, Julie’s Haircut, Zu, Zeus! e altri gruppi del sottobosco indie nazionale, trascritti dalla mano di Enrico Gabrielli. Un Progetto Generativo vol.2 potrebbe idealmente includere non solo Emerson, Lake & Palmer, ma anche Genesis, Yes, King Crimson, Gentle Giant, Van der Graaf Generator, Jethro Tull e, perché no, anche i Pink Floyd.

Per citare Enrico Gabrielli: “cosa ce ne facciamo di una ulteriore esecuzione della Settima di Beethoven? Abbiamo bisogno di altro”.

Chi è Fabio Cuccu?

Fabio Cuccu (volete ascoltare qualcosa di nuovo, di suo e di bello? cliccate qui) è nato a Sassari nel 1995. Cresce circondato di stimoli musicali grazie alla madre cantante, ma non riceve nessuna educazione formale durante l'infanzia. Dopo aver ascoltato i Black Sabbath all'età di 12 anni, impara a suonare la chitarra elettrica da autodidatta e inizia fin da subito a orientarsi nell'improvvisazione e a scrivere canzoni. fonda un gruppo progressive rock nel 2010, del quale è tuttora chitarrista, tastierista, cantante e coautore di testi e musica. I suoi interessi lo spingono a voler approfondire altri generi, dal jazz fusion alla musica tuvana, fino ad arrivare alla musica classica.

A 19 anni decide di intraprendere gli studi di Composizione in conservatorio: fondamentale la guida del maestro Alberto Colla, con il quale ha studiato dal 2014 al 2019. In questo periodo vengono eseguiti i suoi primi lavori, tra cui due composizioni per ensemble nel 2018 e il primo brano per orchestra sinfonica nel 2019. Parallelamente continua a lavorare al progetto progressive rock e pubblica un album autoprodotto nel 2019 e un singolo nel 2021. Dal 2020 studia con Marco Quagliarini con cui ha conseguito Diploma Accademico di I livello. Sta proseguendo gli studi del Diploma Accademico di II livello di composizione con Mario Pagotto a Trieste.

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Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 7 - PER ASPERA AD RVSPA di Matteo Minotto

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

PER ASPERA AD RVSPA di Matteo Minotto

PER ASPERA AD RVSPA, rigorosamente scritto in maiuscolo, quasi fosse un’incisione su una pietra miliare, è una composizione di Matteo Minotto. L’organico scelto è flauto, clarinetto, percussioni, pianoforte, violino e violoncello. Il brano è suddiviso in quattro sezioni: nelle misure introduttive, Minotto espone in modo disordinato e (apparentemente) casuale il materiale tematico che verrà ripreso successivamente. La tenue e dolcissima melodia esposta dal clarinetto nella seconda sezione viene accompagnata da violentissimi strappi dal carattere percussivo, decontestualizzanti e senza ragione. La terza sezione è un delicato ed espressivo momento di lirismo arricchito da rumorosi respiri, chiaro segno di compartecipazione interpretativa da parte degli esecutori coinvolti non all’esagerato romanticismo della musica, bensì all’attitudine a tratti insopportabile degli affettatissimi patinati interpreti dei grandi cartelloni.

SCOPRI GLI ABBONAMENTI DI 19’40’’

Minotto alterna sprazzi di tonalità e di follia in un brano che Milano Musica, spostati. Tra le righe sembra essere inciso a caratteri cubitali: “non siate seri, che se avessimo voluto esserlo, a quest’ora saremmo tutti quanti commercialisti”. Il brano di Minotto è istintivo sia nella concezione che nella scrittura ma, nonostante questo, il risultato è perfettamente eseguibile e non ha difetti dal punto di vista organologico.

Abbiamo trascorso alcuni quarti d’ora ad interrogarci se RVSPA facesse riferimento al mezzo meccanico (per noi in prima declinazione femminile e quindi all’accusativo singolare RVSPAM e al plurale RVSPAS. Nella fattispecie si tratterebbe di un ablativo) oppure al rospo (da RVSPUM, sostantivo neutro tardo-latino con scarsa documentazione ma in questo caso correttamente declinato all’accusativo plurale). Dopo qualche elucubrazione, abbiamo deciso di rinunciare lasciando il dilemma aperto, sicuri che nessuno (incluso lo scrivente) avrebbe sentito la mancanza di una simile disputa linguistica. Restiamo comunque aperti a qualsiasi suggerimento i nostri lettori vogliano inviarci attraverso i nostri canali social.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Ci piace la libertà di Minotto, ci piace il suo senso dell’umorismo di confine, ci piace la contaminazione stilistica, ci piace il suo non essere etichettabile o riconducibile ad altro o ad altri. Ci piace l’idea di poterci divertire facendo i musicisti senza, per una volta, indossare tunica, casacca, barba e papalina. Nella musica e nel percorso di Matteo Minotto, forse per via della sua visione dissacrante nei confronti di tutto quello che profuma di accademia, vediamo un po’ di noi stessi .

La nostra parte preferita di PER ASPERA AD RVSPA

Inoltre PER ASPERA AD RVSPA rientra appieno in quel percorso che 19’40’’ sta compiendo: dare voce a compositori non inseriti nei grandi cartelloni nazionali ed internazionali della musica colta contemporanea. Abbiamo bisogno di altre esecuzioni di Metamorphosis? E’ necessaria un’altra incisione di Professor Bad Trip? Ha senso replicare cartelloni già rodati riproponendo accostamenti? Forse sì, ma lo lasciamo fare a chi è più bravo di noi nel raccogliere fondi.

Chi è Matteo Minotto?

Dice Minotto:

Sono diplomato a mia insaputa in fagotto (io da grande avrei voluto suonare i timpani). Mi destreggio quindi tra precariato e frustrazione nella speranza di diventare un giorno uno statale ma con un futuro probabilmente agreste, vista la regione da cui provengo. Scrivo musica sin dall’adolescenza per i miei progetti musicali dove ho suonato come percussionista e fagottista (Friedrich Micio, 3sacchetti, Franzoni!), collaboro con “Musica per Bambini” (Manuel Bongiorni) da qualche tempo e altri cantautori semi sconosciuti della scena locale veneta (Ornello, Marcho’s, Alberto Gesù). Penso erroneamente di insegnare ma in realtà sono io che imparo dai miei allievi, ciò nonostante tengo da qualche anno il corso di “creatività musicale” nell’ambito della rassegna “Gioie musicali” ad Asolo TV. Sto per presentare una serie di performance anfibie tra le quali “TUBI” che uscirà a breve. Ho scritto musiche per alcuni spettacoli teatrali della compagnia “Stivalaccio teatro” di Vicenza. Non ho purtroppo studiato, neppure in maniera non accademica, composizione e me ne dolgo o forse no. Ho una particolare propensione per il rumore, ma forse sono solo acufeni. Salto a piè pari la lista della spesa degli ensemble con cui ho suonato, di PPP (prolunghe per pene) non ce n’è bisogno.

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19'40" 19'40"

19'40'' a Roma per il D'UVA di Firenze

Giovedì 26 Maggio alle ore 19:15 presso la Basilica di San Lorenzo in Lucina, Roma, Yoko Morimyo e Damiano Afrifa eseguiranno le musiche di Enrico Gabrielli composte per l’audioguida “Da Turista a Pellegrino”. L’evento vede la partecipazione straordinaria di Monica Guerritore, voce narrante dell’audioguida.

È possibile partecipare alla presentazione confermando la propria presenza a marketing@duva.eu .

L’invito alla presentazione dell’audioguida


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Marcello Corti Marcello Corti

SLEEPING CONCERT alla Centrale Fies

19’40’’ sarà in concerto il 28 Maggio 2022 presso la Centrale Fies di Dro in occasione di Un Weekend Cannibale da Sogno.

Cos’è un Weekend Cannibale da Sogno?

Un weekend cannibale da sogno nasce dalla collaborazione tra Centrale Fies e Francesca Pennini/CollettivO CineticO in un’ottica di ampliamento del percorso attuale di ricerca della coreografa. Al centro del programma, che si articola in durational performance, coreografia, foraging, yoga, installazioni, è la presenza del corpo, i suoi stati biologici e fisiologici, le sue alterazioni e la sua virtualità, la sua resistenza e la sua trascendenza, viste come terreno su cui incontrarsi, respirare, mangiare, dormire e sognare, dove muoversi o stare assolutamente immobili. Un luogo per virtuosismi improbabili nascosti nelle funzioni dell’esistenza più semplici e dunque vertiginose. Corpi che si immergono nella natura recuperando tradizioni antiche per riconoscere ciò che è cibo, in piccoli atti di resistenza all’imprinting capitalistico. Corpi che si addormentano nei sogni collettivi degli sleeping concerts, che assaporano cibi ripensati come esperienze creative, che si trasformano grazie a pratiche respiratorie che diventano metamorfosi alchemiche. 

Quando?

Un Weekend Cannibale da Sogno 26-27-28-29 MAGGIO 2022
Sleeping Concert: 28 MAGGIO 2022 dalle 24 alle 6. A seguire colazione

Dove?

Centrale Fies, Dro, TN

Centrale Fies è un centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. É situato all’interno di una centrale idroelettrica di inizio novecento, in parte ancora attiva, proprietà di Hydro Dolomiti Energia.

BIGLIETTI

La performance di 19’40’’

Il sonno presenta un'alternanza regolare di fasi non-REM e REM costituita da cicli di durata simile tra loro. Ognuno di questi cicli è caratterizzato da un'attività cerebrale traducibile in onde con frequenze specifiche. Il nostro Sleeping Concert è organizzato utilizzando le caratteristiche di queste fasi; le diverse sezioni sono fondate sulle diverse frequenze d’onda che le contraddistinguono. L’ipnogramma (il grafico che rappresenta le fasi del sonno in funzione del tempo) è la nostra partitura musicale. Il trio composto da Francesco Fusaro, Alberto Ricca e Sebastiano De Gennaro utilizza due laptop, strumenti percussivi come vibrafono, piatti o gong, elementi vocali ed una diffusione in quadrifonia per calare i partecipanti in una immersione ipnagogica in cui tanto il sonno quanto l'ascolto possano essere profondi.

Artisti

Sebastiano De Gennaro, percussionista di formazione classica, da vent’anni uno dei più importanti musicisti italiani, in magico equilibrio fra tecnica e invenzioni dell’immaginazione. Ha lavorato al fianco di importanti artisti del panorama nazionale e internazionale da Terry Riley a Vinicio Capossela passando per L’orchestra Nazionale della Rai ed incidendo più di settanta dischi

Alberto Ricca (Bienoise), compositore attratto dagli elementi non-musicali, da computazione e contemplazione. È considerato da molte riviste specializzate uno dei migliori musicisti elettronici italiani, i suoi dischi sono pubblicati dall’etichetta di culto tedesca Mille Plateaux. È fondatore della Label di improvvisazione radicale Floating Forest

Francesco Fusaro, DJ resident di NTS Radio, musicologo e musicista elettronico. Ha pubblicato musica con il suo vero nome e altri moniker per diverse etichette indipendenti, fra le quali MFZ Records, di cui è co-fondatore e label manager. Per Norient ha recentemente curato la raccolta di saggi Sonic Traces: From Italy

Francesco Fusaro 19'40''
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Marcello Corti Marcello Corti

Un'ora di Musica Razionale

Il 13 Aprile 2022 Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro sono andati a Radio Raheem per parlare di Musica Razionale. Ne è uscita una splendida passeggiata di fronte ad un panorama mozzafiato: numeri, musica e contaminazioni. Radio Raheem ha reso disponibile l’intervista per intero sul suo sito: è possibile vedere l’intervento in formato audio o in formato video.

GUarda l’intervista completa

Cos’è Radio Raheem?

Radio Raheem è un editore e media indipendente che si esprime innanzitutto come web radio. Oltre ad occuparsi di musica, si occupa di tutti quegli aspetti che rendono il fatto culturale interessante. La Radio trasmette dalla Triennale di Milano, uno dei luoghi più significativi per il design e la cultura contemporanea non solo di Milano ma del mondo.

Scopri l’universo anticlassico di 19’40’’

Cosa abbiamo fatto a Radio Raheem?

Sebastiano De Gennaro e Francesco Fusaro hanno parlato non solo di Musica Razionale, l’imminente uscita di 19’40’’, ma hanno anche condotto con mano gli ascoltatori attraverso composizioni in un modo o nell’altro riconducibili alla composizione matematica. Se volete approfondire il percorso e ripulirvi le orecchie da Musica Spirituale, è l’occasione giusta: abbiamo ricostruito la tracklist della serata e ve la proponiamo volentieri.

Playlist

Franco Battiato L’egitto prima delle sabbie da Musica Spirituale (perf. Damiano Afrifa)
György Sándor Ligeti Poème symphonique
Sebastiano De Gennaro Congettura Collatz da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)
Robert Schneider Reverie
Sebastiano De Gennaro Lo Shu da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)
Giovanni Albini Una teoria della prossimità (exc)
Sebastiano De Gennaro Farey da Musica Razionale (perf. Sebastiano De Gennaro)

Quando esce Musica Razionale?

I nostri abbonati riceveranno Musica Razionale in formato digitale alle 19:40 di Domenica 17 Aprile 2022. La copia fisica della registrazione, in tiratura limitata a 200 copie numerate, giungerà nelle case degli abbonati attorno a questa stessa data. Se volete maggiori informazioni, potete sempre scriverci.

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Marcello Corti Marcello Corti

Call for Scores - Capitolo 6 - Dither, Flourish, Dissolve di Alice Hunter

Continua la serie di brevi articoli dedicati ai brani ricevuti e selezionati per il Call for Scores 2021 lanciato nel mese di marzo 2021 e in fase di conclusione.

DITHER, FLOURISH, DISSOLVE di Alice Hunter

Dither, Flourish, Dissolve è un brano per Flauto Basso, Clarinetto Basso, Percussioni, Sintetizzatore, Violino e Violoncello composto da Alice Hunter. La compositrice scrive in modo specifico per il Roland JUNO-6, strumento indicato come tra i possibili nel bando del CfS2021. La partitura è corredata da un’illustrazione intitolata “Dissolve me” realizzata da Dàniel Taylor (potete vedere i suoi lavori qui). Le percussioni presenti in partitura sono un timpano da 29, tam-tam, vibrafono ed un piatto sospeso da 20’’.

Il frontespizio di Dither, Flourish, Dissolve con l’immagine di Dàniel Taylor

Alice inserisce una nota che recita quanto segue:

.....Being timeless at times, the whale song at the start begins an exploration into the outcome of a choice made; dithering, flourishing or dissolving. The words from Helen Faulkner, founder of Ocean Heart, "whale sounds in particular seem to really affect people. It gives you a great sense of stillness and peace. It's very comforting,” seem to frame this composition. It’s a composition of strength in working with people, even though they can seem distant, to help grow to the next stage. Instrumentalists are encouraged to space ‘Dither, Flourish, Dissolve’ according to the instrumentalists around them, working as a team to grow to shape the work.

Segue una densa legenda dove con precisione vengono spiegati non solo la notazione e gli effetti sonori ricercati, ma anche il setup del JUNO-6: la partitura è corredata di un ricco apparato di immagini in cui niente è di troppo e niente è tralasciato.

Perché abbiamo scelto questo brano per il Call for Scores?

Lo ammettiamo: ci siamo inteneriti. Alice, con delicatezza, ha deciso di aprire la partitura con una dedicatio:

Dither, Flourish, Dissolve was composed in April 2021 for the EdMsC Call for Scores

Non solo Dither, Flourish, Dissolve è un brano pensato, scritto e impaginato con cura, con amore, con bravura e con intelligenza, ma è stato pensato proprio per il nostro ensemble e ne porta il segno. Ma non ci sarebbe nessuna tenerezza, nessuna commozione se dietro alle mielosità tanto gradite, non fosse celata tanta, ma davvero tanta sostanza.

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Dither, Flourish, Dissolve è una di quelle composizioni davvero entusiasmanti. La struttura del lavoro è evidentemente tripartita. Dither e Flourish sono le due sezioni più corpose ed elaborate mentre Dissolve occupa l’ultima pagina della partitura. La composizione sembra prendere il via da un particolare suono generato da un piatto sospeso posto, rovesciato, sopra un timpano. Anche solo immaginando la resa sonora, siamo immediatamente trasportati all’ascolto di un timbro nuovo, forse marino: il cupo risuonare del metallo sulla pelle richiama il timbro di una balenottera azzurra e, sebbene il brano non abbia particolari riferimenti alla sfera acquatica, a noi piace lasciarci suggestionare in questa direzione, forse traviati dalla nota introduttiva.

L’impasto timbrico tra ensemble e synth è imprevedibile: solo il giorno dell’incisione ne avremo contezza. Di fatto la Hunter suggerisce quale sarà la resa sonora indicando, ad esempio, come rich triangle wave sound il primo setting del Juno6: ci aspettiamo un suono avvolgente con tantissimo attacco e tantissimo sustain, un suono in grado di avvolgere il timbro degli strumenti analogici e di creare un impasto davvero unico.

La notazione del JUNO6

Il difficile primo cambio di setting è agevolato da una sezione di semplice noise ed il secondo suono, più articolato e netto e soprattutto sagomato sotto forma di arpeggio, riporta immediatamente ad una sonorità che sprizza anni ‘80 da tutti i pori. Il terzo suono ricorda invece una marimba ed è forse per questo più prevedibile: inizia la seconda sezione della composizione, il flourish. L’ensemble si appoggia allo sviluppo ritmico in accelerando dell’arpeggio: idealmente il brano non dovrebbe prevedere la presenza di un direttore. Il tactus viene preso dalle oscillazioni del synth o da segnali convenuti in ensemble. Ai fini della registrazione, è però probabile che decideremo di avvalerci di un gesto direttoriale per agevolare la costruzione del brano.

Il processo di fioritura conduce fino alla presenza di una melodia che porta evidenti segni di tonalità: quasi a voler disturbare Talea, all’interno degli spettri parziali del sintetizzatore sembrano comparire petali leggeri e profumati. È però solo un breve accenno: la fioritura viene sollevata verso l’alto dal glissando degli archi e si dissolve, dando il via all’ultima sezione del brano. I suoni, i colori e le emozioni (sì, crediamo che sia un brano emozionante) sembrano evaporare e scomparire. Nell’ultima facciata del brano gli strumenti analogici si disperdono nell’aria mentre il sintetizzatore sprofonda nelle oscurità più buie.

Alice Hunter last page

L’ultima pagina di Dither, Flourish, Dissolve.

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Sono belli i colori, cupi, profondi e soprattutto tanti. La lettura è di immediata comprensione probabilmente per favorire un processo di esecuzione il più possibile condiviso e basato sull’ascolto. La struttura non è solo visibile, ma anche percepibile. Sebbene eseguire Dither, Flourish, Dissolve dal vivo possa essere una sfida tutt’altro che facile, al contrario, il suo ascolto ne risulterà sicuramente immediato e gradevole: anche il pubblico meno avvezzo ai grandi cartelloni della contemporanea saprà apprezzare il lavoro splendido della Hunter.

Chi è Alice Hunter?

Alice Hunter è una compositrice inglese. È conosciuta per la sua musica complessa e riflessiva che sfida le convenzioni attraverso l’invenzione di progressioni armoniche, attraverso tecniche strumentali estese e frasi melodicamente esplorative. Il percorso compositivo di Alice muove i suoi passi dallo studio del clarinetto, del violoncello e delle percussioni unito all’amore per le tradizioni culturali in continuo cambiamento, al fatto psicologico ed al progresso nella moderna quotidianità.

Alice ha studiato alla Guildhall Music and Drama, University of Surrey e ha conseguito il MA in composizione presso la Royal Academy of Music studiando con Peter Maxwell Davies, Oliver Knussen, Harrison Birtwistle, Tansy Davies e Edmund Finnis.

La sua musica è stata eseguita in festival di tutto il mondo come il Kaleidoscope Musarts Echoes of time 2020 a Miami, o presso il ‘British and Armenian vocal music’ a Yereva. Oltre a numerosi premi e riconoscimenti, la musica di Alice Hunter è stata eseguita dalla Bournemouth Symphony Orchestra, dal CHROMA ensemble, Rolf Hind, e Zubin Kanga.

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Enrico Gabrielli Enrico Gabrielli

CONSIGLI DI LETTURA DA 19’40’’ Fiorenzo Carpi Ma Mi - Musica Teatro Cinema Televisione - #2 /March 21, 2022 by Enrico Gabrielli

Fiorenzo Carpi Ma Mi Enrico Gabrielli

“Dichiaro che Fiorenzo è grande e io sono colpevole di non averglielo detto”, dice un biglietto autografo di Giorgio Stehler posto a pagina 166 (la penultima) di questo bellissimo libro. Con questa frase io non avrei resistito alla tentazione di aprirci il libro. Invece il fatto che sia stata messa in fondo dagli autori è un gesto che probabilmente meglio interpreta l’umiltà dichiarata del M° Carpi.

Nel libro, infatti, emerge prima di tutto l’uomo perché questo non è un tipico testo musicologico, ma sembra la testimonianza affettuosa e amorevole di persone che gli erano spiritualmente vicine, che lo avevano visto lavorare e che avevano conosciuto l’indole peculiare della persona.

Si parla di un’infanzia felice a Milano in una famiglia di artisti dove il padre Aldo (1886-1973) era un importante pittore e uno dei fratelli, il Pinin (1920-2004), sarebbe divenuto un celebre autore di libri per l’infanzia (si consiglia il bellissimo Cion Cion Blu).

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Si racconta di come i fascisti nel 1944 deportarono il padre in un campo di sterminio dove continuò a dipingere come risposta civile alla barbarie (da qui il libro Diario di Gusen). Si parla molto dell’inizio di tutto ciò che un giorno sarà Fiorenzo.

Leggendo questo libro si può meglio capire da dove proveniva quel sano eclettismo che caratterizzerà la sua curiosità e che gli consentirà di muoversi con disinvoltura tra la pura composizione, la colonna sonora, la musica di scena, la canzone e l’arrangiamento.

Dopo il diploma di composizione conseguito nel travagliato luglio 1945 (leggo tra i firmatari Bruno Bettinelli, che incontrai personalmente nel 1995 durante la mia fase di incerto apprendistato al Conservatorio di Milano), incontrerà Roberto Lupi un curioso compositore (sua era la sigla della chiusura dei programmi RAI in uso fino al 1986) che nel 1946 aveva esposto il concetto di “armonia gravitazionale”, una teoria che partiva da leggi fisiche di generazione e di interrelazione dei suoni (è possibile leggerne qui).

Vi è un frammento autografo di esercizi di armonia gravitazionale con titolo “Colonne cosmiche adoperate per le Varianti”.

In questo libro vi è un bellissimo corredo di partiture autografe, lettere e fotografie. Ad esempio c’è una lettera a firma Luciano Chailly con data del 1970 che si congratula con Carpi per il primo atto de “La porta divisoria” e che propone di metterla in programma al Teatro La Scala nel settembre 1971. A quanto ho desunto l’opera in questione, che è un libero adattamento su libretto di Strehler de La Metamorfosi di Kafka, non fu mai completata e dunque mai rappresentata.

Con la storia di Carpi vi è la storia del dopoguerra milanese e del suo teatro. Qui viene riportata una sua testimonianza diretta a proposito della fertile collaborazione con Strehler: “Giorgio mi illustra un po’ l’idea, l’impostazione della regia dello spettacolo, spesso non in gran dettaglio. […] Io partecipo quasi sempre alle prove, mi aiuta. Non faccio mai le musiche prima, ogni volta che posso, le faccio durante il corso delle prove. Aiuta una musica pensata contro piuttosto che pensata per la situazione”.

“Per scrivere musica per il teatro” continua Carpi “un musicista deve conoscere bene la storia della musica, dai trovatori e trovieri del Medioevo sino al repertorio contemporaneo, jazz, rock e cultura popolare compresi”. Poi vengono analizzate in dettaglio, con manoscritti a fronte, due lavori teatrali storici: La bambola abbandonata (1976/77) e La Tempesta (1977/78).

Ma per posizionare meglio la rilevanza di Carpi nella scena teatrale dell’epoca basta una foto del suo matrimonio dove ci sono lui e la moglie Luisa Rossi attorniati da Giorgio Strehler, Franco Parenti e Paolo Grassi. Al di là delle collaborazioni con Dario Fo, Franca Rame, Giorgio Gaber, Franca Valeri, Gigi Proietti, Vittorio Gassman e molti altri ancora, sarebbe riduttivo posizionare il Carpi nell’empireo del palcoscenico. Lui lavorò moltissimo sulla forma canzone e fu un grandissimo arrangiatore. Un disco a cui sono personalmente molto legato è Stramilano con la cantante Milly del 1964 (e di cui possiedo fieramente il vinile uscito per la Joker), un vero manuale applicato di come si scrive per orchestra leggera.

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Si parla anche del Carpi compositore per il cinema in particolare con il regista “dei bambini” Luigi Comencini (L’Incompreso, Marcellino pane e vino, Le Avventure di Pinocchio e molti altri titoli) e l’esordio del Tinto Brass sensuale (L’urlo, La vacanza, Salon Kitty). Scopro inoltre che Carpi discese a Roma dove lavorò assiduamente con Bruno Nicolai e che assieme a lui, Egisto Macchi e Ennio Morricone fondarono lo studio “M4”.

Come si evince dalle numerose informazioni che ho qui riportato in piccolissima parte, in questo libro risiedono una gran mole di nomi, di luoghi e di storie che compongono un mosaico di storia culturale italiana, di nobiltà popolare e di fascino narrativo.

Carpi è stato un inesauribile ingegno musicale, caleidoscopico ed eclettico. Ma forse più di altri è stato capace di capire attraverso la musica l’uomo che c’era nel bambino e il bambino che c’era nell’uomo. Come forse fece Gianni Rodari per l’arte della parola o Bruno Munari con la materia visiva.   

PS: ringrazio il buon Luca Bernini per avermi fatto conoscere questo testo mentre stavamo realizzando Pinocchio! (19m40s_13) con gli Esecutori di Metallo su Carta e Francesco Bianconi. E ringrazio la signora Martina Carpi per la gentilezza e il plauso con cui ha accolto il nostro lavoro.

Pinocchio al Cenacolo Francescano di Lecco nel novembre 2019. In prima fila a sinistra, Luca Bernini.

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Enrico Gabrielli Enrico Gabrielli

CONSIGLI DI LETTURA DA 19’40’’ Morricone, la musica, il cinema - #1

Consigli di Lettura di 19’40’’, a cura di Enrico Gabrielli: Morricone, la musica, il cinema

Sergio Miceli (nuova edizione a cura di Maurizio Corbella)

Morricone, la musica, il cinema [Ricordi, LIM 2022] 

Si apre con questo post una nuova rubrica in pieno spirito 19’40’’: Consigli di Lettura.

Testi, pubblicazioni e libri assemblati o reperiti all’interno della vita del gruppo che anima il lavoro dietro a questa nostra collana, ormai giunta alla vigilia della 17esima uscita (Musica Razionale). Faremo brevi cenni, recensioni e appunti di viaggio a cadenza non regolare. Questa è la prima “puntata”, se così si può dire.

Speriamo ne trarrete giovamento.

Sul signor Morricone è stato detto molto di recente. Ma quello che io personalmente non sapevo è che era stato detto quasi tutto con un solo semplice testo a firma Sergio Miceli. Grazie alla riedizione critica di Maurizio Corbella (insigne musicologo che ha regalato all’uscita “Pictures at an Exhibition” 19m40s_04 una meravigliosa perla di prefazione), e alla bella presentazione in compagnia del nostro Francesco Fusaro alla libreria Birdland di Milano, mi sono deciso ad acquistarlo. 

In questo straordinario scrigno analitico di oltre 500 pagine, ci sono perle musicali che mi erano o sfuggite o che si erano sperse nel mare magnum della produzione morriconiana. 

Tra alcuni degli esempi interessanti c’è una breve analisi della versione della tradizionale piemontese Ciribiribin, cantata da una splendida Miranda Martino (1962):

L’arrangiamento è per quattro pianoforti e partendo da un Bartòk dichiarato, si passa a citazioni classiche a cascata (Mozart, Donizzetti, Beethoven e Schubert) e come dice Miceli con effetto umoristico ma anche straniante. A margine del manoscritto si può leggere la seguente annotazione “Questi pezzettini dovrebbero tutti uscire da un vecchio grammofono difettoso”. 

Altro pregevolissimo esempio del Morricone colto, è un brano per violino, violoncello e pianoforte del 1958 dal titolo Distanze e per cui è riportato un aneddoto in cui il maestro avrebbe incitato un’interprete tedesca nell’esecuzione del brano alzandosi in piedi e battendo una mano sul pianoforte all’esclamazione di “Sturm und Drang!”. Immagino il solo tedesco parlato che il Maestro conoscesse…

Una parte decisamente sorprendente e di cui finalmente ho potuto avere di fronte un esempio diretto (con brani in partitura e in riduzione) è il Morricone che scrive brani modulari per il cinema. Pare che quasi tutti i film di Dario Argento e gli altri del genere thrilling venissero partoriti con questa tecnica, ma qui si parla di uno dei film più iconici del Sergio Leone maturo: Giù la testa (…coglione!) del 1971.

Non è un caso che del brano in questione, dal titolo Invenzione per John, ci siano più versioni con durate e forme diverse. Del resto era inevitabile perché è scritto per brevi blocchi interscambiabili e sovrapponibili, suddivisi in sezione di strumenti o in timbri isolati. Ecco la versione cosiddetta “originale” del brano:

E un’altra denominata #2:

A pagina 195 si legge: ad alcuni strumenti è affidata una funzione ancor più coloristica e indirettamente di “disturbo” armonico: è il caso della fascia della chitarra elettrica, tutta basata sull’urto di secona maggiore, raddoppiata dal vibrafono […]” L’analisi è di estremo interesse e di rara chiarezza, molto utile per chi volesse capire meglio un certo pensiero contrappuntistico e allo stesso tempo pragmatico del compositore. Eh sì perché la modularità consente di comporre pagine brevi per musica lunga, approccio fondamentale per il cinema dove la produzione è spesso in continua gara contro il tempo.

Miceli non risparmia anche critiche, soprattutto ad una parte del lavoro con Nuova Consonanza. In particolare si accanisce sulla title track del disco The Feed-Back: una banalissima figurazione ritmica affidata alla batteria (il grande Vincenzo Restuccia, n.d.A.) così come la si può ascoltare in “Flash”, un motivetto strumentale di un oscuro complesso, “The Duke of Burlington”, che in Italia ebbe una certa diffusione nel 1969, quindi un anno prima della realizzazione del disco […].

Comparando i brani effettivamente il nesso è molto forte e la cosa mi ha molto sorpreso:

Flash, The Duke of Burlington

The Feed-back, Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza

Un altro interessantissimo lavoro modulare, applicato però alla composizione pura (o “assoluta” come la chiamava Morricone) è un bellissimo brano per coro di 18 voci bianche del 1979 dal titolo Bambini del mondo.

Si tratta di un canto politestuale formato da quindici linee tratte da sistemi scalari etnici e inscatolato in nove moduli interscambiabili e sovrapponibili. Alla maniera di Invenzioni per John di cui abbiam fatto un accenno poco fa. Per quanto esuli dal Morricone cinematografico, si sente in nuce molta della linfa espressiva che emerge in film come Chi l’ha vista morire?, o lo stesso Mission, dove c’è abbondante uso di voci infantili.

Insomma, questo libro è caldamente consigliato per uscire dal cliché del Morricone-emozionale e per entrare nella sua materia architettonica vera e propria. 

Costo 35€, molto ben spesi.

EG

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